Etica Pubblica e convivenza politica sono sotto molti aspetti interdipendenti. Il modo d'intendere la prima si riflette sul modo d'intendere la seconda, e così anche al rovescio.
In un articolo pubblicato su MicroMega (n. 2 del 2006), si è cercato di discutere questo rapporto, con riferimento alle posizioni attuali della Chiesa cattolica nell'uno e nell'altro campo. Alle considerazioni espresse in quella sede, ha risposto La Civiltà cattolica, la prestigiosa rivista dei Gesuiti italiani (editoriale del n. 3739 dello aprile). I Padri gesuiti, quanto all'etica pubblica (di questo si tratta qui, non dell'etica o morale individuale), rifiutano l'affermazione che la Chiesa cattolica, nelle sue espressioni dottrinali ufficiali, posponga la carità alla verità; quanto alla politica, respingono i dubbi sollevati circa il buon rapporto tra cattolicesimo e democrazia, esprimendo "stupore e amarezza" per considerazioni che ritengono prive di fondamento e perfino offensive. Essere stato causa di cotale reazione è motivo di rammarico. Si era voluto, sì, essere chiaro ma non certo mancare di rispetto a qualcuno. Approfondire le rispettive ragioni può forse facilitarne il confronto e, ove possibile, favorirne l'avvicinamento.
1. Su cosa si basi l'etica cristiana è il primo degli oggetti in discussione: sulla carità o sulla verità? La differenza tra etica della carità ed etica della verità è irriducibile e capitale. La carità è un concreto rapporto di dedizione che coinvolge e si esprime in concreti atteggiamenti, azioni e rapporti di compassione (nel senso proprio di passione in comune). La verità è un insieme di proposizioni dottrinali che si esprime in codici di credenze e comportamenti astratti, come i catechismi, cattolici o laici che siano. La carità è vissuta; la verità, conosciuta. La carità agisce dall'interno delle coscienze; la verità, dall'esterno. La carità considera ogni essere umano come individuo irriducibile e inconfondibile; la verità, come individuo riconducibile e assimilabile ad altri, in classi o categorie: persona, nel primo caso, numero, nel secondo. La carità è libera e non sopporta regole generali; le regole generali e i vincoli derivano dalla verità. La carità si incarna negli esseri umani; la verità tende a stabilizzarsi in istituzioni. Infine, la carità sprona alla vita buona, ma rifugge dalle condanne perdona e riconcilia; la verità, al contrario, formula precetti, commina sanzioni e separa gli eletti dai reprobi. La rappresentazione letteraria forse più netta e toccante di questa contrapposizione è nel capitolo sul Grande Inquisitore de I Fratelli Karamazov di Fedor Dostoevskij, dove al denso silenzio e al compassionevole bacio del Cristo inerme corrisponde la verbosità precettistica dell'Inquisitore che, a partire dalle sofferenze dell' essere umano, finisce per dipingere una massa indifferenziata di docili osservanti di regole imposte dall' autorità ecclesiastica. Entrambi, a loro modo, amano, ma l'uno ama "il prossimo", l'altro ama "il popolo", "gli uomini deboli", "l'umanità"; il primo modo di amare è - letteralmente - compassione e compatimento, il secondo è filantropia. L' amore per il prossimo - si può dire così - è rapporto caldo, dedizione vitale; l'amore per l'umanità, atteggiamento freddo, attaccamento a un'idea dominante. Normalmente, chi dice di amare l'umanità disdegna l'essere umano in carne e ossa; al più, prova pietà per lui e per le sue pene ma è pronto all'occorrenza, a passarci sopra: "Per amore dell'umanità, siate inumani!", diceva una petizione rivoluzionaria alla Convenzione di Parigi. Naturalmente, la carità non conosce che il particolare; può estendersi a un gran numero di persone, quando è grande, e così può creare grandi strutture della carità, ma, per restare tale, non deve perdere mai il rapporto personale, non può permettersi di diventare una burocrazia. La verità, al contrario, astrae dalle persone, non ha bisogno di conoscerle e può creare agenzie burocratiche che amministrano l'ortodossia.
2. L'etica cristiana è etica della carità o della verità? Per Gesù di Nazareth, non c'è dubbio, la carità predomina. La sua predicazione è l'amore concreto. Non risulta che egli abbia mai parlato dell'umanità, né che, in campo etico, abbia mai fatto uso di verità generali e astratte. Il suo atteggiamento è tutto compreso nel volgersi ai tormentati da malattie e dolori (Mt 4,24), nell'indirizzare parole salvifiche concrete: "Fanciulla, alzati", alla piccola figlia del capo della Sinagoga (Lc 9, 54; Mc 5, 41). Le sue parabole parlano tutte di esseri umani, in carne e ossa, con i quali si è in rapporto; parlano del "prossimo" (Lc 11,36-37).Il "più grande comandamento" è il comandamento della carità concreta, da cui tutta la legge dipende: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente; amerai il prossimo tuo come te stesso" (Mt 22, 37; Mc 12, 33). All'adultera che, secondo la legge, avrebbe meritato la morte, Gesù, voltosi intorno e, visti i suoi accusatori che, non avendo potuto "scagliare per primi la pietra", se ne erano andati via, dice: "Neanch'io ti condanno", e aggiunge un'esortazione, non una minaccia: "Va e non peccare più" (Gv 8, 9). Il Padre nostro, infine, il testo dove più facilmente avrebbe potuto annidarsi un discorso teologico sulla verità, è al contrario una commovente espressione di spirito filiale. Cosa c'è di più concreto e personale di un dialogo padre-figIio? Su questo non c'è da aggiungere altro, se non per notare, come fanno i Padri gesuiti, che in effetti Gesù parla bensì talora di verità. Ma questa verità (aletheia, parola che richiama saldezza nel rammentare: non-dimenticanza) non è un corpo di dottrine teologiche, filosofiche o sociali. E' il Cristo stesso: "Io sono la verità" (Gv 8,31; 14, 6). Dunque, si è nella verità quando si aderisce fedelmente a lui, perché la verità, in senso evangelico è la vita secondo il Cristo veritiero, è imitatio Christi; è la trasformazione della esistenza umana secondo Gesù di Nazareth. Il Dio dei cristiani, infatti, è il dio che Gesù ha raccontato in verità attraverso la sua vita con gli uomini.
3. Fin qui, il messaggio cristiano evangelico. E la Chiesa cattolica? La domanda non solo non è impropria ma è anche perfino doverosa. La fedeltà della Chiesa e della sua azione all'annuncio del fondatore non può sottrarsi a questa verifica permanente, nel corso dei tempi che mutano. Ora, non possiamo fare ameno di osservare l’impressionante complesso dottrinale venutosi a produrre nel corso dei secoli. All'imponente edificio dà oggi nuovo impulso la rinnovata alleanza fede-ragione, riproposta in termini inversi a quelli d'un tempo: non più la ragione e, al di là dei suoi limiti, la fede, ma prima la fede e poi la ragione che, sulle verità di fede, costruisce e costruisce ancora, deduttivamente e induttivamente, con pretese di validità razionale generale. Operando così, non c'è più limite: potenzialmente, ogni aspetto dell’esistenza,solo che lo si volesse, potrebbe essere ricondotto a una qualche prescrizione teologicamente imperativa. Non dalla carità, ma dalla dottrina della verità, l'etica cristiana predicata dal magistero è così venuta a dipendere. Nella "nuova alleanza" di fede e ragione, l'etica della carità resta soverchiata e 1'etica della verità si trasforma in precettistica, in codici di condotta non molto diversi da quelli giuridici. E difatti essa non prova alcuna ripugnanza, anzi mostra una naturale propensione a volersi imporre attraverso l'ordinamento delle leggi civili. In questo, può scorgersi l'oblio dello spirito originario evangelico, e l'averlo detto non è affatto un' offesa, come hanno purtroppo ritenuto i Padri gesuiti, ma è una constatazione. Ad esempio, in tema di concepimento della vita, maternità, cure terapeutiche, eutanasia, questioni di bioetica in generale, il magistero della Chiesa parla più di Vita che di viventi; in tema di sessualità, più di Ordine naturale che di sesso; in tema di unioni tra esseri umani, più di Famiglia che non di persone che hanno tra loro relazioni di vita concreta. Si è detto, tuttavia: attraverso la difesa dell'astratto (Vita, Famiglia, ecc.: la lettera maiuscola vale a indicare ipostatizzazioni, cioè oggettivazioni di situazioni e relazioni personali), la Chiesa protegge l'esistenza di milioni di singole persone: le vite dei più deboli, i nascituri, i bambini, i moribondi; la natura integra delle esistenze future; l'ordinata vita nelle società. La distinzione astratto-concreto, verità-carità, sarebbe perciò illusoria. Ma non è propriamente così. Ogni impostazione astratta dei problemi etici sacrifica necessariamente posizioni concrete, le quali, secondo la carità, troverebbero anch' esse ragione di essere riconosciute e sono invece disconosciute, spesso, con grandi sofferenze personali. Questa dialettica, anzi questa contraddizione, tra idea e realtà è ben conosciuta da chi vi è immerso e non trova nella fredda norma astratta l'aiuto per affrontare le roventi circostanze dell' esistenza, anzi vi trova ostacoli e motivi per rifiutarla. Il fenomeno del cosiddetto "scisma sommerso" in tema di ética, col quale la Chiesa cattolica si deve confrontare particolarmente al tempo presente, nasce da qui: dalla domanda di carità cui si risponde con parole di verità e legalità.
4. Tuttavia, sappiamo chel'etica della carità si addice alle piccole comunità, alle cerchie di soggetti legati da rapporti vitali sperimentabili personalmente. E altrettanto bene sappiamo che la logica dei grandi numeri e la necessità di assicurare unità, disciplina e governo portano inevitabilmente alla considerazione astratta delle questioni etiche cosicché facilmente la legalità prende il posto della carità. Nel caso delle confessioni religiose, i due tipi di legame segnano la differenza, rispettivamente, tra le sette e le religioni; con riguardo al Cristianesimo, tra le piccole chiese cristiane dei primi secoli e la Cristianità cattolica, cioè universalistica. In nuce, la duplicità delle prospettive è presente in Paolo, per il quale la carità vicendevole, che viene dalla fede, è la linfa vitale della vita cristiana (Rom 13,8; Gal5, 6)) ma la legge ha, secondo l’immagine famosa (Gal 3, 24), la funzione del pedagogo, indispensabile quando carità e fede fanno difetto. E Paolo stesso ha in effetti esercitato ampiamente questa funzione di pedagogo legalista. Era forse nella natura delle cose che, quanto più il mondo cristiano andava crescendo nelle sue dimensioni numeriche, tanto più crescesse la necessità del pedagogo che parla della verità e delle sue leggi. L'innesto del cristianesimo nel potere imperiale romano, a partire dal IV secolo, ha poi fatto il resto: diventando forza etica di governo della società aveva più da aspettarsi dall’etica della legalità che da quella, talora sovversiva, della carità. Tutto questo è un dato di fatto che sarebbe ingenuo cercare di contrastare oggi con un appello, senza speranza e dunque senza senso storico, allo spirito restaurato delle piccole comunità cristiane dell' origine.
5. Ma, onde non sacrificare quella che indubbiamente fa parte dell'essenza del messaggio evangelico, è necessario cercare il modo di conciliare con la logica della carità la regola rigida e astratta aprendola alla considerazione delle condizioni di vita concreta in cui essa è chiamata a operare: condizioni che l’eterna tentazione legalista può indurre. a ignorare e che, invece, sollecitano la carità a pretendere la sua parte di riconoscimento. Di recente (Colloquio con Ignazio Marino, l'Espresso, 21 aprile 2006) il cardinale Carlo Maria Martini, implicitamente ma chiaramente, ha posto questo problema quando, in relazione a problemi etici come quelli riguardanti la fecondazione assistita, la ricerca sulle cellule staminali embrionali, la sorte degli embrioni congelati, l'adozione da parte di persone singole, l'aborto, la donazione di organi, i rapporti sessuali, l'eutanasia e l'accanimento terapeutico, ha chiamato in causa l'antico principio del "male minore", in una riflessione incentrata sulla responsabilità di fronte al "doloroso divario" tra teoria e pratica e sulle ragioni della carità che militano a favore di questa seconda. Il male minore è un principio a doppio taglio: applicato alle questioni politiche, ha talora perfino giustificato atteggiamenti opportunistici e conniventi nei confronti di regimi criminali, come il nazismo e, in genere, le dittature in giro per il mondo, prevalentemente di destra, intese come utili difese dall'insidia del comunismo. Tuttavia esso è uno strumento indispensabile nelle questioni di etica pratica, perché apre alla considerazione di esigenze concrete, anch’esse dotate di valore, le quali sarebbero completamente sacrificate dall'applicazione della norma, nella sua fredda astrattezza. Per esempio: la concezione cattolica del rapporto sessuale esclude, come" disordinato", il ricorso a qualunque espediente anti-concezionale (salva, ovviamente, l'astinenza). Questa, la regola. Tuttavia, le tragiche conseguenze, perdi più concentrate in gran parte nei paesi più poveri della terra, della mancanza di prevenzione nei confronti della diffusione di malattie terribili come l'Aids, può indurre a considerare l'uso del profilattico, un "male minore": minore, rispetto alla malattia; male pur sempre, rispetto all'astratto "ordine sessuale". L’espressione "male minore" suggerisce l'idea di qualche cosa un limite, una costrizione - che, noi nolenti, si sia costretti a subire. Tuttavia questa è un'idea, nei casi come quello esemplificato, che può essere fuorviante. Se riteniamo che le esigenze pratiche con le quali ci si confronta portino con sé un valore dal punto di vista dell' etica della carità, meritino cioè di essere riconosciute, è forse preferibile l'espressione, opposta nella forma se non nella sostanza, del "bene maggiore", possibile nelle condizioni concrete date. Ma, quale che sia la formula, risulta comunque che l'atteggiamento etico che si richiede non è quello rigidamente deduttivo da astratti principi di verità e che si tratta invece della ricerca degli equilibri più fecondi di bene, che non trascurino ciò che la carità implica, nella concretezza delle situazioni storiche che viviamo.
6. Giunti a questo punto, il discorso sull'etica pubblica potrebbe proseguire costruttivamente in un discorso sulla democrazia. E' addirittura intuitivo che la democrazia è inconciliabile con la pretesa di una parte, quale che essa sia, di possedere la verità e di imporla a chi non vi si riconosce. Questa pretesa sarebbe non democrazia ma autocrazia. La carità ci introduce invece in un campo in cui la verità retrocede, in un campo che, per sua natura, non è quello delle certezze assolute e necessarie, ma quello delle possibilità. La democrazia è per l'appunto il regime delle possibilità da esplorare, attraverso discussione e confronto e secondo la logica del male minore o del bene maggiore nelle condizioni date. In certo senso, carità e (è) democrazia. In questa dimensione pratica, essenzialmente relativa, nessuno può pretendere di possedere la verità. Anzi,l' idea stessa di verità non ha luogo. Così, però, ci stiamo già addentrando nel secondo ordine di problemi su cui i Padri gesuiti, nell'editoriale de La civiltà cattolica sopra citato, sono intervenuti: Chiesa cattolica e democràzia. E' bene, per ora, fermarsi qui, nell'attesa di ritornarci in modo adeguato alla grande importanza del tema.
Gustavo Zagrebelsky la Repubblica, 13.05.06