La cacciata a Sud
Ponticelli, Rosarno, Castel Volturno, Lampedusa. L'Italia dei
respingimenti nel libro di Laura
Boldrini
«Si può essere d'accordo con tutto questo?». È la frase che dà la spinta a Laura
Boldrini per scrivere
Tutti indietro (Rizzoli, 216 pagine, 18 euro. I proventi saranno destinati a
borse di studio in Italia
per ragazzi afghani senza genitori). Boldrini è la portavoce in Italia
dell'Alto Commissariato delle
Nazioni unite per i rifugiati. Una funzionaria dell'Onu che da vent'anni aiuta
la stampa italiana e
estera a districarsi nel complicato mondo dei flussi dei profughi verso
l'Italia: da sempre si batte per
spiegare la differenza tra la migrazione economica e la fuga delle persone che
scappano dalla
guerra. Senza mai dimenticare di dire che i primi non meritano di essere
buttati a mare solo perché
non rientrano nel canone che le convenzioni internazionali hanno studiato per
proteggere chi rischia
la vita nel proprio paese.
Particolare che già dice molto sull'autrice, spesso bersaglio
di pesanti
attacchi da parte del governo. Qualche parziale soddisfazione l'ha ricevuta
(Famiglia Cristiana nel
2009 la nominò «italiana dell'anno»). Ma forse la ricompensa più importante
viene dall'appoggio
che le è sempre stato riconosciuto dalla sua agenzia, tanto da avergli permesso
- non era scontato di
mettere nero su bianco le sue esperienze e i suoi pensieri. Ai quali si
accompagnano, come cifra
di stile, anche le sue emozioni e i suoi ricordi personali. D'altronde Boldrini
è senza dubbio una
funzionaria sui generis: non oltrepassa mai le regole del protocollo,
ma non dimentica che del suo
lavoro fa parte prima di tutto il non tacere, il non essere consenzienti col
potere.
Lo dimostra il libro da poco uscito nelle librerie: Tutti
indietro è una presa di posizione senza
possibilità di fraintendimenti. Come l'autrice spiega nella premessa, l'idea di
scrivere la prima
pagina è nata nell'estate del 2009, quando il governo italiano ha deciso di
inaugurare la pratica dei
respingimenti in mare. Quando, come scrive Boldrini, «da questa parte del
Mediterraneo» hanno
iniziato a non contare più i distinguo. Tutti indietro verso la Libia, e poi -
molto spesso - verso sud.
Tutti: donne e bambini, chi scappa da guerre e persecuzioni. Tutti, ma
anche noi. Perché
respingendo quelle persone l'Italia ha anche respinto uno dei capisaldi degli
stati di diritto: il
riconoscimento dei diritti fondamentali della persona umana, al di là della
carta di identità.
Il libro non è un pamphlet, non c'è da aspettarsi
un'invettiva contro i nostri governanti. Tutt'altro.
Perché tutt'altro è l'atteggiamento che contraddistingue chi è abituato a
lavorare in ambienti che non
indulgono nella facile retorica della politica, ma si sforzano di applicare e
far rispettare le regole,
come di norma avviene negli organismi internazionali quali l'Unhcr (che per
qualcuno «non conta
un fico secco», Ignazio La Russa dixit). Con una prosa molto semplice,
divulgativa, l'autrice
racconta chi sono i profughi. Li fa parlare perché ne ha incontrati parecchi
nella sua vita. Boldrini è
stata sul fronte di tutte le principali emergenze umanitarie degli ultimi anni.
Il suo è uno sguardo
interessante. Perché se oggi è al porto di Ancona e da un container
appena scaricato vede uscire
cinque ragazzini afghani, intirizziti dal freddo e spaventati, ieri era a
Bamiyan, 230 chilometri da
Kabul, in missione per l'Onu. E poi Tirana, il Kossovo. Ma i racconti più
numerosi riguardano
questo «lato» delle emergenze umanitarie. Visto che anche in Italia ce ne sono,
e non da poco.
Il libro, per la quasi totalità, copre un arco di tempo di un
paio di anni: 2008-2009. Ventiquattro
mesi che hanno cambiato profondamente le politiche italiane in materia di
immigrazione e asilo.
Ponticelli, Rosarno, la strage di Castel Volturno e poi - ovviamente -
Lampedusa. Laura Boldrini ha
sempre difeso, e lo fa con piglio anche in questo libro, il «modello Lampedusa»
che si era creato
con l'apertura sull'isola del nuovo centro di primo soccorso e che - come scrive
- è «andato in fumo»
con il centro stesso, distrutto da un incendio - prologo simbolico a tutto
quello che sarebbe seguito
di lì a poco con l'inizio dei respingimenti verso la Libia. Sull'efficacia di
quel modello, che
sostanzialmente aveva sdoganato l'esistenza di un centro chiuso nell'isola
lampedusana, si può
essere più o meno d'accordo. Ma di certo quel presidio (e Praesidum si
chiamava non a caso il
progetto lampedusano) rappresentava in ogni caso un tentativo di mantenere il
rispetto delle leggi
internazionali. Affondate in quel tratto di mare che, ora, è calmo. Boldrini la
definisce una «calma
apparente». Che non riesce a spegnere l'eco delle storie di uomini e donne
incontrate sulle coste
dell'Italia meridionale.
MIGRANTI
MONDO RIFUGIATO
L'Europa assediata dai rifugiati? È bene ricordare che l'80% dei rifugiati -
riconosciuti in base alla
Convenzione di Ginevra - si trova fuori dai confini dei paesi occidentali. Tra
Siria e Giordania
vivono circa due milioni di iracheni. Tra Pakistan e Iran si dividono circa 3
milioni di afghani. Nei
27 paesi dell'Unione europea ci sono, invece, solo 1,5 milioni di rifugiati. Ha
ragione l'Italia a
sentirsi troppo pressata rispetto agli altri paesi dell'Europa? Anche in questo
caso i dati parlano
chiaro: in Germania sono 600 mila, Nel Regno unito 300 mila. In Italia si stima
siano 47 mila, pari
a 0,7 rifugiati ogni 1000 residenti. In Svezia ce ne sono 7 ogni mille abitanti.
FRONTIERA
LAMPEDUSA
Da quando il governo italiano, nel 2009, ha deciso di respingere verso la Libia
tutte le barche
cariche di migranti intercettate in mare, l'isola delle Pelagie non è più la
«porta d'Europa» per gli
africani, come veniva chiamata. Ma era davvero una «porta aperta»? In realtà il
flusso di migranti
diretti a Lampedusa non è mai stato numeroso, tra le 20 e le 30 mila persone
all'anno. Il problema
semmai era la pericolosità di quei viaggi che hanno causato centinaia di morti
in mare.
Cinzia Gubbini il manifesto 6 giugno 2010