La caccia all'eretico

Nella tradizione della chiesa cristiana d'Occidente la condanna dell'errore ha preso il nome latino di
una istituzione dell'antica Roma: censura.
Non è solo una questione di parole. La lotta contro l'errore, per la Chiesa, ha cessato presto di essere
la parola carismatica dell'apostolo che corregge Simon Mago per diventare la funzione di un potere
regolato dal diritto. Da correzione fraterna dell'errante si è trasformata in volontà di uniformazione
del consenso e domanda di adesione acritica secondo la formula recitata dall'eretico pentito
: «Credo
quod credit Sancta Mater Ecclesia
» (credo quello che crede la santa madre chiesa)
. Il percorso
storico è stato lungo ma lo spirito del dubbio e della disobbedienza è sempre stato identificato col
volto di Satana, il tentatore.
E col costituirsi della Chiesa come società gerarchica dominata da un
potere sacrale accentrato la censura si è esercitata soprattutto contro gli ingegni indocili. La scelta
personale ("eresia")
fu la colpa da perseguire. Se all'inizio scoprire l'errore e denunciarlo fu il
compito di vescovi e concili, l'ascesa del potere papale portò a concentrare la censura delle opinioni
e la persecuzione degli eretici nelle mani di corpi specializzati alla esclusiva dipendenza del papato:
gli ordini religiosi domenicano e francescano. Dominanti nella predicazione e nell'insegnamento
della teologia, i frati furono anche i titolari dell'ufficio dell'inquisizione. Fu così che i roghi di libri
aprirono la via ai roghi di uomini.

La "rivoluzione silenziosa" del libro a stampa e quella del movimento luterano portarono a profonde
modifiche. Fu allora che il papato accentrò nelle sue mani la censura. Il primo e più celebre degli
indici dei libri proibiti fu pubblicato da Papa Paolo IV nel 1559 inaugurando una tradizione
destinata a lunga durata. Da allora la censura divenne una funzione ordinaria del potere
ecclesiastico che precedette quello statale.
Si trattò di un'impresa gigantesca: oltre alla propaganda
protestante ci si propose di passare al setaccio tutta la produzione libraria antica e moderna. L'esito
fu micidiale per l'attività intellettuale e per l'editoria (quella veneziana perse la sua egemonia
europea). Era un esito obbligato per un sistema teocratico: nella Ginevra calvinista, per salvare
affari e religione, si ricorse all'astuzia di far pubblicare i testi pagani "licenziosi" sotto il falso luogo
di stampa di Lione. Nel mondo cattolico italiano i libri pericolosi furono distrutti (Machiavelli) o
"espurgati" (Boccaccio). Ci furono autori di pasquinate anticlericali che pagarono la satira con la
vita. Al popolo, considerato come un gregge da mantenere docile o come un fanciullo destinato a
non diventare mai adulto, si fornì una cultura premasticata e innocua.
L'autodenunzia di Torquato
Tasso, il rogo di Giordano Bruno, il processo a Galileo, sono gli episodi più celebri della svolta
dell'attività intellettuale in Italia verso l'età dell'autocensura preventiva e dell'ossequio cortigiano.

Mentre la migliore cultura italiana trovava ospitalità fuori d'Italia, si svolse il lavoro assiduo dei
laboratori della censura accentrati nella Roma papale: la Congregazione cardinalizia
dell'Inquisizione (creata nel 1542) e la Congregazione dell'Indice (1571) hanno accompagnato la
cultura cattolica e in modo speciale quella italiana fino al secolo XX inoltrato. Oggi la loro eredità
sopravvive nell'opera della Congregazione Vaticana per la Dottrina della Fede.

Adriano Prosperi       la Repubblica 30 giugno 2009