La bestia nera del Vaticano
La vicenda è degna di attenzione in un Paese che da tempo sente parlare solo di grembiulini e voti
di condotta. La sentenza del Tar ha annullato le ordinanze del ministro Fioroni (governo Prodi) sui
crediti scolastici a chi frequenta le lezioni di religione.
«Lo Stato, – scrivono i giudici – dopo aver sancito il postulato costituzionale dell'assoluta,
inviolabile libertà di coscienza nelle questioni religiose, di professione e di pratica di qualsiasi culto
"noto", non può conferire ad una determinata confessione una posizione "dominante" – e quindi una
indiscriminata tutela ed un'evidentissima netta priorità – violando il pluralismo ideologico e
religioso che caratterizza indefettibilmente ogni ordinamento democratico moderno». È una prosa
chiara. Dice cose di limpida ovvietà. Cosa c'è di più ovvio del principio costituzionale che impegna
la Repubblica a tutelare sempre e comunque la libertà di coscienza come il postulato che fonda la
stessa esistenza di un ordinamento autenticamente democratico? Un postulato – si badi – che non è
calato dal cielo. Si è affermato nella storia come scelta necessaria per chiudere con le crociate e le
guerre di religione. È stato pagato con infinite sofferenze e tragedie collettive ai tempi in cui lo
Stato come «braccio secolare» di menti ecclesiastiche scatenava la sua violenza contro chi osava
scelte dissidenti. L'Italia, politicamente divisa, ha conosciuto una tradizione di deboli poteri statali
in cerca di sostegno da parte della Chiesa e perciò pronti a imporre a popoli interi non una religione
condivisa ma una uniformazione forzata a pratiche religiose obbligatorie. Questo passato ha lasciato
un segno ancora riconoscibile nella debole o inesistente etica pubblica, nella scarsa e incerta
reazione a comportamenti di leader politici che altrove, in democrazie più salde, avrebbero avuto
l'effetto di un immediato rigetto. Paghiamo così gli esiti di un passato che vide nel secolo scorso
l'obbligatorietà dell'insegnamento del cattolicesimo nelle scuole dello Stato sostenuta in nome del
principio della «integrità della razza».
Oggi si parla di «libertà» e di «identità», ma la musica è la
stessa. La ministra Mariastella Gelmini dice che è ingiusto limitare la libertà di scelta degli studenti
(peraltro così severamente disciplinati dalle sue ordinanze). E nelle parole di mons. Diego Coletti,
presidente della Commissione episcopale per l'educazione cattolica, l'integrità della razza è
diventata la difesa dell'identità collettiva del popolo italiano. Ma il nemico è quello di sempre. Se
non si possono equiparare le diverse religioni nella scuola – dice il monsignore – è perché questo
sarebbe una «cancellazione delle diversità e delle identità», cioè il «bieco e negativo risvolto
dell'Illuminismo». Eccola la bestia nera: qui si alza robusta la voce della Cei, così flebile davanti
alle vergogne dei suoi alleati politici. Naturalmente i tempi cambiano e le parole anche: oggi non si
parla più della romanità di Cristo ma lo si riveste di indumenti liberali, laici, pluralisti. Si dice: le
ordinanze ministeriali consentivano di attribuire crediti alla frequenza alle lezioni di religione come
a quelle di altre attività, per esempio la danza caraibica; quella definizione ministeriale, atto positivo
di governo, ha creato un diritto e bisogna rispettarlo. Si ignora – come accade da tempo – che il
potere politico non è l'unzione di Dio ma un mandato popolare di governare secondo i principi della
Costituzione. Quell'ordinanza fu una delle tante scelte sbagliate prodotte dalla pulsione
incontrollabile dei politici a cercare l'appoggio della Chiesa e a pagarlo con l'erosione furtiva o
arrogante dei principi della Costituzione. E di queste erosioni ne conosciamo tante: è così che si
sono immessi nella scuola insegnanti di religione subordinando l'immissione alla approvazione del
vescovo cattolico competente per territorio: e a quegli insegnanti si è dato il compito di insegnare
non «una» religione accanto ad altri insegnanti di altre religioni, ma «la» religione fingendo che
quell'insegnamento fosse un innocuo arricchimento culturale, pari allo studio della danza caraibica.
Ipocrisia che produce ipocrisia e opportunismo, nelle famiglie e nei giovani; confusione di
linguaggi, cancellazione subdola dei valori essenziali di una democrazia. Lasciamo la Chiesa alle
prese con le sue contraddizioni, con l'irritazione delle altre confessioni cristiane, con la stravagante
battaglia contro una serie di ismi (relativismo, evoluzionismo, nichilismo) che stanno via via
togliendo al nazismo la sua solitaria immensa incomparabile negatività. Lasciamole il diritto di
cancellare il riconoscimento della libertà di coscienza che i padri conciliari del Vaticano II siglarono
in tempi recenti. Più ci importa la tutela del principio – questo sì veramente e indiscutibilmente
laico – che i padri costituenti dell'assemblea eletta dagli italiani nel 1946 approvarono all'unanimità,
saldando le loro diverse fedi nella comune fiducia che solo su quei postulati poteva nascere un
paese capace di riscattare le vergogne immense del suo passato. Su questo sono chiamate oggi a
Adriano Prosperi