La battaglia su un
simbolo
Ancora una volta una sentenza prevedibile, ben argomentata giuridicamente, non
suscita le riflessioni che meritano le difficili questioni affrontate, ma
induce a proteste sopra le righe, annunci di barricate, ambigue
sottovalutazioni.
Dovremmo ricordare che le precedenti decisioni italiane, che avevano ritenuto
legittima la presenza del crocifisso nelle aule, erano state assai criticate per
la debolezza del ragionamento giuridico, per il ricorso ad argomenti che nulla
avevano a che fare con la legittimità costituzionale. E, considerando il fatto
che la nostra Corte costituzionale aveva ritenuto inammissibile per ragioni
formali un ricorso in materia, s´era parlato addirittura di una "fuga della
Corte", nelle cui sentenze si potevano ritrovare molte indicazioni nel senso
della illegittimità della esposizione del crocifisso.
Nella decisione della Corte europea dei diritti dell´uomo di Strasburgo, che ha
ritenuto quella esposizione in contrasto con quanto disposto dalla Convenzione
europea dei diritti dell´uomo, non v´è traccia alcuna di sottovalutazione della
rilevanza della religione, della quale, al contrario, si mette in evidenza
l´importanza addirittura determinante per quanto riguarda il diritto dei
genitori di educare i figli secondo le loro convinzioni e la libertà religiosa
degli alunni. La sentenza, infatti, sottolinea come la scuola sia un luogo
dove convivono presenze diverse, caratterizzate da molteplici credenze religiose
o dal non professare alcuna religione. Si tratta, allora, di evitare che
la presenza di un "segno esteriore forte" della religione cattolica, quale
certamente è il crocifisso, "possa essere perturbante dal punto di vista
emozionale per gli studenti di altre religioni o che non ne professano alcuna".
Inoltre, il rispetto delle convinzioni religiose di alcuni genitori non
può prescindere dalle convinzioni degli altri genitori. È in questo
crocevia che si colloca la decisione dei giudici di Strasburgo che, in ossequio
al loro mandato, devono garantire equilibri difficili, evitare ingiustificate
prevaricazioni, assicurare la tutela d´ogni diritto.
Non si può
ricorrere, infatti, all´argomento maggioritario, come incautamente aveva fatto
il Tar del Veneto, che per primo aveva respinto la richiesta di togliere il
crocifisso dalle aule, ricorrendo ai risultati di un sondaggio che sottolineava
come la grande maggioranza degli interpellati fosse a favore del mantenimento di
quel simbolo.
Un grande teorico del diritto, Ronald Dworkin, ha ricordato che «l´istituzione
dei diritti è cruciale perché rappresenta la promessa della maggioranza alla
minoranza che la sua dignità ed eguaglianza saranno rispettate. Quando le
divisioni tra i gruppi sono molto violente, allora questa promessa, se si vuole
far funzionare il diritto, dev´essere ancor più sincera». La garanzia
del diritto, fosse pure quella di uno solo, è sempre un essenziale punto di
riferimento per misurare proprio la tenuta di uno Stato costituzionale.
Guai a considerare la sentenza di ieri come un documento che apre un insanabile
conflitto, che nega l´identità europea, che è "sintomo di una dittatura del
relativismo", addirittura "un colpo mortale all´Europa dei valori e dei
diritti". Soprattutto da chi ha responsabilità di governo sarebbe lecito
attendersi un linguaggio più sorvegliato. Non vorrei che, abbandonandosi a
queste invettive e parlando di una "corte europea ideologizzata", si volesse
trasferire in Europa lo stereotipo devastante dei giudici "rossi", che tanti
guai sta procurando al nostro paese. Allo stesso modo sarebbe sbagliato se il
fronte "laicista" cavalcasse il pronunciamento per rilanciare una battaglia
anti-cristiana.
Mantenendo lucidità di giudizio, si dovrebbe piuttosto concludere che la
sentenza della Corte europea vuole sottrarre il crocifisso a ogni contesa. In
questo è la sua superiore laicità. Viviamo tempi in cui la difesa della
libertà religiosa non può essere disgiunta dal rispetto del pluralismo, da una
riflessione più profonda sulla convivenza tra diversi. L´ossessione identitaria,
manifestata anche in questa occasione e che percorre pericolosamente i territori
dell´Unione europea, era lontanissima dai pensieri e dalla consapevolezza che
ispirarono i padri fondatori dell´Europa, tra i quali i cattolici Alcide De
Gasperi e Konrad Adenauer, che proprio quando si scrisse la Convenzione sui
diritti dell´uomo nel 1950, quella sulla quale è fondata la sentenza di ieri,
mai cedettero alla tentazione di ancorarla a "radici cristiane", che
avrebbero introdotto un elemento di divisione nel momento in cui si voleva
unificare l´Europa, anche intorno all´eguale diritto di tutti e di ciascuno.
Dobbiamo rimpiangere quella lungimiranza?
Questa sentenza ci porta verso un´Europa più ricca, verso un´Italia in cui si
rafforzano le condizioni della convivenza tra diversi, dove acquista pienezza
quel diritto all´educazione dei genitori che i cattolici rivendicano, ma che
deve valere per tutti. Libera anche il mondo cattolico da argomentazioni
strumentali che, pur di salvare quella presenza sui muri delle scuole,
riducevano il simbolo drammatico della morte di Cristo a una icona culturale,
ad una mediocre concessione compromissoria ai partiti d´ispirazione cristiana
(così è scritto nella memoria presentata a Strasburgo della nostra Avvocatura
dello Stato). L´Europa ci guarda e, con il voto unanime dei suoi giudici, ci
aiuta.
Stefano Rodotà Repubblica 4.11.09