Le elezioni sono alle porte e la Chiesa
italiana ha parlato: o meglio, ha parlato la Cei per bocca del cardinal
Bagnasco. La precisazione è d'obbligo: è possibile che una sola voce
riesca ad esprimere la quantità e la qualità delle posizioni che si muovono
nella realtà del mondo cattolico?
Ci si chiede anche se le elezioni amministrative siano un'occasione di tale
importanza da imporre che si levi in modo speciale la voce di un'autorità morale
e spirituale come la Chiesa nella sua espressione gerarchica, obbligata dalla
sua stessa natura a essere al di sopra delle parti . E non intendiamo levare la
pur sacrosanta protesta di chi chiede che le autorità ecclesiastiche si
astengano dalla lotta politica: anche se si potrebbe - e forse si dovrebbe,
visti i tempi - ricordare ai vescovi che ci sono tante occasioni di
urgenze grosse e di scandali clamorosi davanti ai quali la loro voce dovrebbe
trovare il coraggio di levarsi. Lo stato morale del Paese è disastroso. C'è una
corruzione che ha invaso - partendo dall'alto - anche i più remoti angoli
dove si dà esercizio del potere. È cosa recentissima la pubblicazione
del rapporto annuale dell'agenzia internazionale per il monitoraggio dello stato
dei diritti umani nel mondo: e lì abbiamo letto note ben poco confortanti per il
nostro
Paese. Che cosa può fare un vescovo in questa situazione?
I modelli di vescovi che hanno saputo affrontare senza paura i potenti per
esercitare il loro compito di pastori di anime e di guide di coscienze non
mancano certo nella millenaria storia della Chiesa: il gesto di ripulsa e di
condanna di Sant'Ambrogio davanti all'imperatore Teodosio fondò il diritto del
vescovo di Milano a guidare il suo popolo. Non sono più tempi così drammatici,
penserà qualcuno. Eppure l'appello del cardinal Bagnasco ha un tono di una certa
drammaticità. Anche se nel suo discorso sono stati toccati diversi problemi,
nella sostanza uno domina su tutti gli altri. Gli elettori sono stati invitati a
seguire nella scelta elettorale la bussola della questione dell'aborto.
Ora, la domanda che si pone è se
questo è veramente il problema dei problemi, quello per cui sta o cade la
società. Si dice che questa funzione è quella che prima di tutte le
altre appartiene alla Chiesa: la difesa della vita. Bandiera nobile, se altre ce
ne sono. La vita umana va difesa. Su questo siamo tutti d'accordo. Ma
allora bisogna essere conseguenti e andare fino in fondo. Prendiamo un
caso: sono passati appena pochi giorni da un episodio gravissimo: una madre ha
partorito in una stazione di sport invernali dove lavorava, sulla neve
dell'Abetone. Aveva un permesso di soggiorno legato al suo posto di lavoro. Ha
nascosto il parto, il neonato è morto soffocato. Un'immigrata non può avere
figli senza rischiare di perdere il lavoro: è l'effetto di una legge approvata
da un governo di centrodestra che si vanta di avere il consenso degli italiani.
E l'appoggio della Chiesa a questo governo produce ogni giorno effetti
devastanti.
Noi non sappiamo quanti siano gli aborti clandestini che si praticano in Italia.
Fu per affrontare la piaga dell'aborto clandestino che fu varata la legge 194. E
l'effetto si è visto. Era un modo civile di affrontare una piaga antica, ben
nota alle autorità ecclesiastiche. Per secoli l'arma della scomunica non ha
impedito che nel segreto delle famiglie si eliminassero i figli indesiderati
laddove le ferree catene del bisogno imponevano di non aumentare le bocche e di
non avere figlie femmine. Allora la scomunica non colpiva i colpevoli della
iniqua distribuzione delle risorse. E ancora oggi la condanna
ecclesiastica non colpisce coloro che hanno varato quella legge che provoca
lutti e dolori, che impedisce alle donne immigrate di avere figli. Né
colpisce le forze politiche che non hanno a cuore la tutela della famiglia e che
dedicano tutta la loro forza a sottrarre alla legge un presidente del Consiglio
invece di varare una riforma fiscale che introduca il quoziente famiglia. Invece
basta un normale appuntamento elettorale perché si ripeta ancora lo stanco
spettacolo di un'autorità ecclesiastica che si schiera a favore di una parte
politica contro un'altra. È un rito vecchio, logorato dall'uso, ripetitivo,
facilmente decifrabile. Siamo a una scadenza elettorale resa inquieta dal
silenzio della televisione di Stato, assurdamente determinata a lasciare i
cittadini in una condizione di dubbio e di perplessità. Sono semplici elezioni
amministrative. Non è in gioco la sorte del governo. Si tratta di scegliere i
candidati più credibili per affidare loro l'amministrazione di regioni e città.
Ci aspettavamo di essere messi in grado di scegliere serenamente sulla base dei
profili dei candidati e del contenuto dei loro programmi. Ma di programmi è
stato molto difficile parlare.
Il confronto è stato oscurato dall'episodio della clamorosa incapacità del più
potente partito italiano di mettere insieme una lista di candidati e di farla
pervenire alla scadenza dovuta davanti all'ufficio competente. Una
manifestazione di piazza ha costruito lo spettacolo televisivo per raggiungere
in un colpo solo tutti gli elettori. Ma forse anche questo spettacolo rischiava
di non essere efficace. E allora, che altro si poteva fare per dare una mano al
Pdl e combattere la candidatura di Emma Bonino nel Lazio?
Adriano Prosperi La Repubblica 23/3/2010