King, il Lutero nero dei diritti umani

 

L’Unità, a buona ragione, ha deciso di ristampare la biografia di Lerone Bennett, pubblicata per la prima volta in Italia nel 1969, a cura della Claudiana, e di farlo in occasione del 40° anniversario del tragico assassinio di Martin Luther King Jr. occorso il 4 aprile 1968.
Molti, nelle chiese, nei gruppi nonviolenti, nelle organizzazioni di volontariato e di solidarietà con gli immigrati, nelle associazioni contro il razzismo, non si lasceranno sfuggire l’occasione per riaprire, nel confronto con questo straordinario personaggio, un dossier che ha molti fascicoli e che non è stato mai del tutto chiuso. Un dossier che non riguarda solamente una pagina critica della democrazia statunitense di questo secolo, ma che tocca problematiche tuttora in discussione anche in Europa: pace e sicurezza, militarismo ed economia, soluzione nonviolenta dei conflitti, povertà, multiculturalismo, razzismo. Solo per citare i nomi di alcuni di questi fascicoli.
In questo sta certamente l’interesse sempre vivo per il movimento per i diritti civili e la vita di questo profeta di pace, e quindi la fondata motivazione di consentire al grande pubblico una rilettura della vita di Martin Luther King chiara, sintetica ma anche ben documentata come quella offerta da L. Bennett.
Dal 1969 a oggi l’interesse per il personaggio King non è andato mai scemando, testimonianza ne è la ristampa delle oltre quaranta edizioni de La forza di amare, famosa raccolta di alcuni suoi sermoni utilizzati da tempo tanto nelle catechesi ecclesiastiche quanto nelle scuole. Il «sogno» di King di una società riconciliata e pacifica, pur nelle sue differenze etniche e culturali, non è mai tramontato. Al contrario, direi che oggi, dinanzi alla crisi delle ideologie, soprattutto quelle di sinistra, alcune delle quali troppo frettolosamente liquidarono King come un borghese al servizio della società capitalistica, unitamente al sogno si riscopre e valorizza la capacità strategica del suo movimento e la profondità della sua analisi politica che, partendo dalla grave situazione di razzismo negli Usa degli anni Cinquanta e Sessanta, si allarga poi a riflessioni più complesse sul militarismo e imperialismo Usa e sulle condizioni di povertà strutturale di tante fasce della stessa popolazione americana.
A questo proposito ritengo che vadano segnalati ai lettori interessati a un approfondimento, alcuni testi scelti tra i tanti. Il primo è la pubblicazione da parte di James Cone, un famoso teologo afroamericano che insegna allo Union Theological Seminary di New York, di una biografia intrecciata di Martin Luther King e Malcolm X. Il titolo del testo è: Martin, Malcolm and America: A Dream or a Nightmare (Maryknoll, Orbiss, 1991). L’opera è importante perché esprime la rivendicazione da parte della maggioranza della comunità afroamericana di entrambi i personaggi.
A un primo sguardo i due hanno in comune, oltre che il colore della pelle e la loro lotta appassionata contro il razzismo, solamente la loro morte violenta. Per il resto, nella metodologia come nelle finalità, appaiono a tratti addirittura speculari. Martin coltiva il sogno di una società riconciliata in cui i neri siano del tutto integrati nella società americana. Egli, assieme alla comunità nera d’America e ai liberal bianchi, persegue il suo obiettivo con una strategia rigorosamente nonviolenta mutuata in larga misura da uno dei suoi maestri, Gandhi. Per Malcolm, invece, non c’è alcun sogno americano, c’è solo un incubo. Per dirla con le sue stesse parole, «No, io non sono un americano. Io sono uno dei 22 milioni di neri vittime dell’americanismo, una delle vittime della democrazia americana che è nient’altro che una deprecabile ipocrisia. E quindi io non sto qui a parlarvi come un americano, come un patriota, o come uno che onora e saluta la bandiera. No, io no! Io vi parlo piuttosto come una vittima del sistema americano, io vedo questa nazione con gli occhi della vittima. Io non vedo nessun sogno americano; io vedo solo un incubo americano!».
Malcolm non si fida per nulla dei bianchi, neppure di quelli più «illuminati». Per lui, non l’integrazione è l’unica via d’uscita, ma la separazione, dapprima parlando di un possibile ritorno in Africa, poi della costituzione di una nazione indipendente in America. E infine ritiene che la strategia nonviolenta non sia né necessaria, né efficace.
Martin si presenta come il profeta di pace dei neri degli Stati del Sud, Malcolm come il leader trascinatore dei neri che vivono nelle grandi metropoli americane del Nord. Il primo è cristiano, il secondo musulmano.
L’approccio originale della biografia comparata di Cone sta nel fatto che i due personaggi siano colti diacronicamente nello sviluppo delle loro idee e posizioni politiche e religiose. E la scoperta maggiore sta nel rilevare il processo di avvicinamento dei due grandi leader alla luce delle proprie esperienze. King negli ultimi anni della sua vita rivolge sempre più spesso la sua attenzione a questioni come la povertà strutturale del Terzo mondo, il militarismo americano e la guerra del Vietnam. Il sogno non svanisce, ma più profonda diviene la sua consapevolezza rispetto al sistema politico-economico-militare che tiene sotto scacco non solo i neri d’America, ma anche tanti altri poveri dentro e fuori la nazione. Malcolm, per converso, è costretto a rivedere l’impostazione religiosa e ideologica della Nazione dell’Islam cui aveva dato il suo entusiastico contributo di leader carismatico.
È proprio in questa linea, attenta a cogliere lo sviluppo e la maturazione del pensiero politico e religioso di King, che si aggiunge nel 1993 un’importante iniziativa editoriale della Claudiana, rappresentata dalla traduzione e pubblicazione a cura di Paolo Naso di diversi scritti di King selezionati dall’antologia A Testament of Hope: The Essential Writings and Spechees of Martin Luther King, jr. Il libro, emblematicamente intitolato L’«altro» Martin Luther King, presenta una ragionata introduzione dello stesso curatore. Con il crescere della consapevolezza da parte di King del filo rosso che unisce razzismo, povertà e militarismo, cresce anche, è questa la tesi di Naso, un certo isolamento del leader che lo renderà più vulnerabile alla vigilia del suo assassinio, occorso il 4 aprile 1968.
È del 1994 la pubblicazione di Gabriella Lavina Serpente e colomba: la ricerca religiosa di Martin Luther King, volume edito a Napoli da La Città del Sole. Si tratta di un’opera di 650 pagine che descrive, con rigore scientifico e dovizia di fonti, il pensiero di King e l’ambiente politico e culturale nel quale il suo genio è maturato. La prima parte del titolo del libro prende spunto da uno dei sermoni di King raccolti in La Forza di amare, quello sul testo di Matteo 10,16 «Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe». Lavina indica nella dialettica tra «mente acuta e cuore tenero» la sintesi antropologica di King. Ma la metafora del serpente e della colomba bene esprime anche un aspetto fondamentale della sua spiritualità. La «mente robusta» sta nel suo rigore scientifico e nell’appello, spesso reiterato nei suoi sermoni, alla autorealizzazione. Il nero deve uscire dalla sua condizione di subalternità sociale anche attraverso un processo di emancipazione culturale e psicologica che gli consenta di acquisire fiducia nei propri mezzi e nelle proprie potenzialità. L’emancipazione passa per la cruna d’ago della formazione del carattere e della disciplina. «Secondo me, uno degli scopi principali dell’educazione - scrive infatti King allora ancora diciannovenne - consiste nel salvare l’uomo dalla palude della propaganda. L’educazione deve mettere in grado ognuno di vagliare, soppesare i fatti per metterli in evidenza, di distinguere il vero dal falso, il reale dall’illusorio e i fatti dalle finzioni (…). Dobbiamo ricordare che l’intelligenza non basta. Intelligenza più carattere: ecco lo scopo della vera educazione» (p. 49).
La fertilità della mente deve esprimersi in lucide strategie per smascherare il conflitto senza mai edulcorarlo o nasconderlo. Il confronto con la società razzista viene inseguito e messo a nudo con puntualità e pignoleria da King. Forse l’insistenza sulla mente acuta e penetrante è anche legata alla riconosciuta emotività del nero. Non di rado, ci riferisce infatti Bennett, King era irritato dalla predicazione di certi pastori neri, i quali tendevano a ridurre tutto il messaggio evangelico a mera emotività, risolvendosi il più delle volte in azione sterile proprio perché difettosa di robustezza, approfondimento, rigore. «Egli pensava che vi fosse eccedenza di pastori “scarsamente dotati intellettualmente, e poco preparati” nella chiesa nera» (p. 47).
Ma King era anche cosciente che questa emotività della comunità nera rappresentasse una sua forza dirompente e una riserva di energia pressoché inesauribile per la lotta. D’altra parte, nelle parole stesse di King «avere le qualità del serpente senza quelle della colomba, significa essere freddi, meschini ed egoisti; così come avere le qualità della colomba senza quelle del serpente significa essere sentimentali, anemici e inconsistenti» (La forza di amare).
Infine segnalo la recente pubblicazione, ancora da parte della Claudiana del testo curato da Paolo Naso, Il sogno e la storia. Il pensiero e l’attualità di Martin Luther King (Torino, 2007). Il testo, presentato in occasione di un importante convegno internazionale organizzato dall’Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia e dalla Lott Carey Convention degli Usa, propone diversi saggi di autori italiani e americani sulla legacy del messaggio di King oggi.
Si tratta di un testo agevole, con saggi brevi, decisamente interessante, perché vi si intrecciano voci di uomini e donne, battisti italiani e afroamericani, persone credenti e non, che concorrono a ricomporre la personalità di King, inserendola nel contesto del movimento della Sclc (Southern Christian Leadership Conference), organizzazione che King stesso fondò nel febbraio del 1957, e della storia di quegli anni negli Usa e nel mondo.
La raccolta di saggi si interroga sull’attualità del messaggio di King a partire dalle questioni odierne della globalizzazione, della povertà e del dialogo interreligioso.

Massimo Aprile    Unità 03.04.2008