Karol Wojtyla santo subito? No grazie
Teologi critici Studiosi
contro l'«unanimismo affrettato» avallato da Ratzinger: «Il pontificato di
Giovanni Paolo II fu costellato di scelte controverse»
Wojtyla santo? Certo non
subito, come è stato chiesto a furor di popolo già il giorno dei suoi funerali.
Un po' più di prudenza santa madre chiesa farebbe bene a utilizzarla nel
valutare più a fondo il pontificato wojtyliano, che non è certo esente da
pecche. Bando ai trionfalismi e all'esaltazioni collettive, insomma, e spazio
all'ascolto di testimonianze contrarie e sugli aspetti controversi del
pontificato. A rompere un incantesimo che finora aveva visto un coro quasi
unanime di consensi sulla beatificazione del papa polacco, sono stati alcuni
teologi che, in un manifesto reso pubblico ieri, elencano sette punti per dire
no allo slogan «santo subito» che echeggiò nei giorni successivi alla morte del
pontefice. Non furono solo parole pronunciate sull'onda dell'esaltazione
emotiva: la causa di beatificazione di Wojtyla è stata aperta ufficialmente da
papa Ratzinger il 13 maggio scorso. Per papa Wojtyla, Benedetto XVI ha già fatto
una deroga al diritto canonico, che richiede cinque anni dalla morte per aprire
la causa di beatificazione. Ed è di pochi giorni fa l'indiscrezione sul miracolo
che già spalancherebbe a Giovanni Paolo II le porte del cielo: lo scorso ottobre
una suora francese è guarita da un cancro in fase terminale, dopo che le
consorelle al suo capezzale avevano invocato l'intercessione di Karol Wojtyla.
Sono dodici i teologi apertamente critici verso quello che
definiscono «unanimismo affrettato». L'appello alla chiarezza è stato illustrato
in una conferenza stampa dall'ex abate di San Paolo, Giovanni Franzoni, e
dall'altro teologo Giulio Girardi. Il testo oltre alle loro firme reca quelle
degli altri studiosi Jaume Botey, Casimir Marti e Ramon Maria Nogues
(Barcellona); Josè Maria Castillo (San Salvador), Rosa Cursach (Palma de
Mallorca); Casiano Floristan (Salamanca), Filippo Gentiloni e Josè Ramos Regidor
(Roma), Martha Heizer (Innsbruck). Sono per la maggior parte teologi laici che
hanno subìto, durante il pontificato wojtyliano (e sotto la supervisione del
cardinale Ratzinger), una compressione del loro pensiero.
Il documento elenca in particolare sette punti del
pontificato wojtyliano, che per il gruppo di teologi depongono a sfavore della
beatificazione. In primis «la repressione e l'emarginazione esercitate su
teologi, teologhe, religiose e religiosi, mediante interventi autoritari della
Congregazione per la dottrina della fede». Ne hanno fatto le spese personaggi di
spicco come Hans Küng, Tissa Balasuriya, Aloysius Pieris, Michael Amaladoss,
Samuel Rayan. Il documento cita poi «la tenace opposizione a riconsiderare, alla
luce dell'Evangelo, delle scienze e della storia, alcune normative di etica
sessuale che hanno manifestato tutta la loro contraddittorietà, limitatezza e
insostenibilità». Vietare l'uso del condom per combattere l'Aids in Africa
sembra uno dei provvedimenti sotto accusa.
Si parla poi della «dura riconferma della disciplina del
celibato ecclesiastico obbligatorio nella Chiesa latina», che ignora «il
diffondersi del concubinato fra il clero di molte regioni». Segue la denuncia di
aver celato, «fino a che non è esplosa pubblicamente, la devastante piaga
dell'abuso di ecclesiastici su minori».
Ma uno dei punti più cocenti è «il mancato controllo su
manovre torbide compiute in campo finanziario da istituzioni della santa Sede, e
l'impedimento a che le autorità italiane potessero fare piena luce sulle oscure
implicazioni dell'Istituto per le opere di religione (Ior, la banca vaticana)
con il crack del Banco Ambrosiano». Si nota anche «la riaffermata
indisponibilità del pontefice ad aprire un serio e reale dibattito sulla
condizione della donna nella Chiesa cattolica romana», nonché «il rinvio
continuo dell'attuazione dei principi di collegialità nel governo della Chiesa
romana». Infine il testo cita un caso particolare, realmente clamoroso:
«L'isolamento ecclesiale e fattuale in cui la diplomazia vaticana e la Santa
Sede hanno tenuto mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, e
l'improvvisa politica di debolezza verso governi - dal Salvador all'Argentina,
dal Guatemala al Cile - che in America latina hanno perseguitato e ucciso laici,
religiose e religiosi, sacerdoti e vescovi, che coraggiosamente denunciavano i
regimi politici dominanti e i poteri economici loro alleati».
Il manifesto riprende le critiche radicali che,
all'indomani della morte di Wojtyla, il teologo cattolico dissidente Hans Küng
aveva sollevato. Ma serve soprattutto a lanciare il sasso nello stagno, per una
valutazione più obiettiva degli ultimi 25 anni di storia vaticana.
MIMMO DE
CILLIS
Lettera 22
Una scorciatoia strumentale
Non perde tempo papa
Benedetto. Si è già aperto a Roma il «processo» per la beatificazione di
Giovanni Paolo II. A tempo di record, nonostante le prudenze e le lentezze
tipiche delle cause vaticane che normalmente non possono avere inizio prima di
cinque anni dalla morte del candidato. «Santo subito» aveva gridato la folla in
piazza San Pietro e il nuovo papa ha evidentemente preferito seguire l'onda
lunga del successo mediatico del suo predecessore. Probabilmente è convinto che
per questa via la chiesa cattolica possa affermarsi nel mondo, nonostante crisi
e difficoltà. Che le beatificazioni e canonizzazioni possano giovare a
sconfiggere il relativismo, il grande nemico? Una linea certamente non nuova: è
noto quanti siano stati i santi e i beati elevati da Giovanni Paolo II. Un
numero molto maggiore di quelli dei suoi predecessori. Fra questi, quasi tutti i
recenti pontefici, anche quelli la cui fama era oscurata da qualche ombra, come
Pio IX (beatificato nel 2000); la causa di Pio XII sembra ferma, anche per le
perplessità del mondo ebraico.
Per Wojtyla, dunque, tempi molto abbreviati (per Madre
Teresa di Calcutta ci vollero cinque anni). Comunque , dopo l'inizio, il
processo richiede un percorso complicato, inevitabilmente lungo e sempre
incerto. L'esame di molte testimonianze e degli scritti del candidato, anche di
quelli più personali e segreti. Ma il nodo più difficile da sciogliere rimane
sempre quello del miracolo: ne deve essere accertato almeno uno. Per Wojtyla
pare che ne arrivino a decine, forse centinaia: bisognerà vagliare, scegliere e
soprattutto essere certi che non si tratti di quelle mille e mille
contraffazioni, di quei tanti e tanti giochi che sono frutto più di alienazioni
e illusioni che di un intervento divino. Sembra che fra le testimonianze già
arrivate per l'esame della «postulazione» ci sia quella di una coppia polacca
che ha ottenuto mediante l'intervento di Wojtyla la gravidanza tanto desiderata
e sempre negata. Anche qui l'onda lunga, quella del referendum sulla
procreazione assistita?
Se è evidente che papa Ratzinger vuole muoversi sulla scia
del predecessore, è meno evidente la scelta delle beatificazioni. Più che una
risposta alla crescente secolarizzazione, la moltiplicazione di santi e beati
appare piuttosto come una concessione alla pietà popolare tipicamente cattolica.
Una concessione certamente difficile da digerire da parte del movimento
ecumenico: il nuovo papa con questa carta in mano non si presenta bene
soprattutto al mondo protestante , da sempre contrario a queste esaltazioni.
Né si presenta bene con un'altra novità che è stata resa
nota appena ieri, anche se era in preparazione da tempo. È stato pubblicato il
«compendio» del catechismo della chiesa cattolica. Un volumetto a scopo
didattico, articolato a domande e risposte. Bisognerebbe esaminarle
attentamente, ma è subito chiaro che queste precisazioni didattiche non giovano
al rapporto fra i cattolici e gli altri cristiani. Ma probabilmente anche il
catechismo, come le beatificazioni, nei palazzi vaticani rappresenta un'arma
contro il relativismo, grande nemico.
FILIPPO GENTILONI
i due articoli da: il manifesto 6/12/2005