Italia, cronaca di un paese senza


Ricordate il titolo di un libro bello e premonitore di Alberto Arbasino, Un Paese senza? "Senza memoria, senza storia, senza passato, senza esperienza, senza grandezza, senza dignità", e via continuando. In questi anni il catalogo si è allungato in maniera inquietante, persino drammatica, e il Presidente del Consiglio, con una accelerazione impressionante negli ultimi mesi, ce la mette tutta nel dire quel che dobbiamo aspettarci.
Ecco, allora, un Paese senza Parlamento e senza magistratura (perché queste istituzioni saranno gusci vuoti se si realizzeranno i progetti tante volte annunciati). Un Paese senza eguaglianza e senza diritti fondamentali (perché questa è la deriva indicata dagli ultimi provvedimenti in materia di sicurezza). Un Paese senza rispetto per se stesso (perché è sbalorditivo che tutti i giornalisti rimangano disciplinatamente seduti quando, in una conferenza stampa, il Presidente del Consiglio intima a una loro collega "o via lei o via io"). Un Paese senza opinione pubblica, senza lavoro…
Ma vi è un "senza" che campeggia su tutti gli altri. Nell´articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell´uomo e del cittadino del 1789, uno dei testi fondativi della moderna democrazia, si legge: "Una società, nella quale non è assicurata la garanzia dei diritti e non è determinata la separazione dei poteri, non ha Costituzione". Quando il Presidente del Consiglio attacca frontalmente Parlamento e magistratura, quando cancella o rende labili i confini tra i diversi poteri dello Stato, quando pone la fiducia su provvedimenti lesivi di diritti fondamentali delle persone, il risultato è proprio quello deprecato dalla Dichiarazione del 1789. Un Paese senza Costituzione.

Con una mossa per lui abituale, Berlusconi ha accusato opposizione e stampa di aver falsificato le sue opinioni sulla riforma delle Camere. Ma quelle tre definizioni del Parlamento – pletorico, inutile, controproducente – gli sono sfuggite, vanno lette insieme e sono rivelatrici. Pletoriche le Camere lo sono certamente, ed è colpa non piccola della sinistra l´aver trascurato in passato i suggerimenti provenienti dal suo interno sulla riduzione del numero dei parlamentari, lasciando così incancrenirsi un problema che sarebbe poi finito nelle polemiche sulla "casta" e avrebbe alimentato l´antipolitica. Ma vi sono due modi per pensare e attuare questa riduzione. Avere meno parlamentari può rispondere all´obiettivo di avere un lavoro più serrato, di poter rendere più incisivi i controlli, attribuendo ai parlamentari poteri e risorse adeguati. Un Parlamento non indebolito dalla diminuzione dei suoi componenti, ma sostanzialmente rafforzato nelle sue prerogative.
Quando, però, la riduzione è invocata da chi ha detto di volere in Parlamento una pattuglia di competenti e una folla di docili gregari, che ha proposto di far votare solo i capigruppo, che pretende di avere le mani libere nella decretazione d´urgenza, emerge clamorosamente proprio l´immagine di una istituzione ritenuta inutile, che intralcia e ritarda, dunque controproducente. Quando Berlusconi richiama il numero di 100 parlamentari, riferendosi al Senato degli Stati Uniti (dimenticando, però, i 432 membri della Camera dei rappresentanti), parla di un modello dove il potere di quei cento è grandissimo, può bloccare anche iniziative essenziali del Presidente, si concreta in fortissime possibilità di controllo, è basato su risorse umane e finanziarie cospicue. Questo modello fa a pugni con la richiesta berlusconiana di maggiori poteri al Presidente del Consiglio, che eccede le esigenze di un´azione di governo più spedita, si concreta in una espropriazione di competenze del Parlamento e dello stesso Presidente della Repubblica, alterando così la forma di governo repubblicana.
Non a caso la riforma invocata da Berlusconi dovrebbe passare attraverso una ulteriore e radicale mortificazione del Parlamento. Non disegni di legge del governo, non iniziative di senatori e deputati dovrebbero contenere le ipotesi di riforma. Queste sarebbero affidate ad una proposta di legge di iniziativa popolare sulla quale raccogliere milioni di firme. Come sarebbe condotta la campagna per la raccolta delle firme? Dicendo che un Parlamento inetto e recalcitrante, incapace di riformarsi, deve essere obbligato a farlo dalla forza del popolo. Quali sarebbero gli effetti di questa scelta? La definitiva legittimazione del rapporto esclusivo tra Capo e Popolo. Berlusconi lo aveva già annunciato qualche tempo fa. Di fronte al rifiuto del Presidente della Repubblica di firmare il decreto riguardante Eluana Englaro, aveva reagito dicendo di avere il diritto di seguire la via della decretazione d´urgenza senza alcun controllo, aggiungendo proprio che avrebbe fatto modificare la Costituzione da parte dei cittadini. Un Paese senza democrazia, allora, perché questa assumerebbe le forme della democrazia plebiscitaria.
Proprio questa linea è stata ribadita dal Presidente del Consiglio quando, rivolgendosi non a caso all´assemblea degli industriali, ha detto che il suo governo funziona come un consiglio d´amministrazione. In questa affermazione, peraltro non nuova, non si manifesta soltanto una idea autocratica e aziendalistica della politica. Si ritrova una visione della società che si esprimeva senza mezzi termini nella vecchia formula "la democrazia si arresta alle porte dell´impresa". Considerato appunto come un´impresa con il suo consiglio d´amministrazione, il governo vede come inammissibile intralcio ogni forma di controllo. Da questa visione generale, e non da singoli episodi, nasce l´assalto al Parlamento, alla magistratura, al sistema dell´informazione, sul quale si esercita un potere di normalizzazione (vedi le nomine Rai) e al quale si rifiuta ogni risposta.
Che cosa dire di questa continua pulsione verso un Paese senza democrazia, alla quale il Capo sostituisce i suoi riti, i suoi fedelissimi, i suoi bagni di folla? Non credo che gli anticorpi democratici siano del tutto scomparsi, e per ciò ritengo indispensabile che i politici d´opposizione guardino con rispetto e attenzione non strumentale a tutti quei cittadini che non si rassegnano a esser parte di un Paese senza. Questo, nell´immediato, significa che si possono certo presentare proposte di riforma istituzionale, ma essendo ben consapevoli del quadro politico del quale fanno parte. La riduzione del numero dei parlamentari, ha senso se non si presenta come una imbarazzata risposta all´appello berlusconiano, ma come l´occasione per ridare al Parlamento il ruolo che ha perduto, senza cadere in trappole come la concessione di ingannevoli statuti dell´opposizione. Altrimenti, il cerchio si chiuderebbe davvero, con una opposizione destituita della sua permanente funzione democratica, legittimata solo a pensare a una possibile rivincita alle prossime elezioni, alla quale viene elargita solo qualche minima possibilità di emendamento.

Stefano Rodotà     Repubblica 1.6.09

 

 



Il volto nuovo del potere

Silvio e i giornali di corte lanciano il pestaggio mediatico che oscura le verità scomode
Da Gino a Veronica, l´obiettivo è "degradarli"

Il premier impone perfino ai genitori di Noemi di datare a dieci anni fa una amicizia recente
Sotto tiro anche il fotografo sardo che ha ripreso l´arrivo delle ragazze ospiti del premier


Si sta dispiegando, sotto i nostri occhi, una tecnica della politica moderna che dovrebbe aprire gli occhi a coloro che, con sguardo accigliato e infastidito – anche nella sinistra – hanno liquidato il "caso Berlusconi" come gossip sconcio, di cui «non se ne può più». La faccenda, al contrario, è di grande interesse politico perché è venuta alla luce nel discorso pubblico, e nel cuore stesso della destra, la domanda se sia appropriato selezionare le classi dirigenti del Paese tra le giovanissime amiche del capo del governo e soltanto in virtù della loro affettuosità con il premier. L´affare interroga, con ogni evidenza, la qualità dello spazio democratico: il premier può, e fino a che punto, ingannare impunemente l´opinione pubblica mentendo, in questo caso, sulle candidature delle "veline", sulla sua amicizia con una minorenne e tacendo lo stato delle sue condizioni psicofisiche? Non è sempre una minaccia per la res publica la menzogna? La menzogna di chi governa non va bandita incondizionatamente dal discorso pubblico se si vuole salvaguardare il vincolo tra governati e governanti?
Il "caso Berlusconi" svela da oggi anche altro e di peggio. Ci mostra il dispositivo di un sistema politico dove la menzogna ha, non solo, un primato assoluto, ma una sua funzione specifica. Distruttiva, punitiva e creatrice allo stesso tempo. Distruttiva della trama stessa della realtà; punitiva della reputazione di chi, per ostinazione o ingenuità o professione, non occulta i "duri fatti"; creatrice di una narrazione fantastica che nega eventi, parole e luoghi per sostituirli con una scena di cartapesta popolata di fantasmi, falsi amori, immaginari complotti politici.

E´ stato per primo Silvio Berlusconi a muovere. Si scopre vulnerabile nelle condizioni di instabilità provocate dalle parole della moglie («frequenta minorenni», «non sta bene») e fragile per la sua presenza nella peggiore periferia di Napoli a una festa di compleanno di una minorenne. E´ dunque costretto a mostrare, senza finzioni ideologiche, il suo potere nelle forme più spietate dell´abuso e della pura violenza. E´ già un abuso di potere (come ha scritto qui Alexander Stille) in un pomeriggio di autunno telefonare, da un palazzo di Roma e senza conoscerla, a una ragazzina che sta facendo i compiti nella sua "cameretta" per sussurrarle ammirazione per «il volto angelico» e inviti a conservare la sua «purezza». E´ un abuso di potere ancora maggiore imporre ai genitori della ragazza di confermare la fiaba di «una decennale amicizia» con il premier, nata invece soltanto sette mesi prima grazie a un book fotografico finito non si sa come sullo scrittoio presidenziale.
E´ pura violenza pretendere che gli si creda quando dice: «Io non ho detto niente». Tutti abbiamo sentito Berlusconi dire, spiegare, raccontare in pubblico e soprattutto contraddirsi e mentire. Ora egli pretende che il potere delle sue parole sulla realtà e sui nostri stessi ricordi sia, per noi, illimitato e indiscusso. Esige che noi dimentichiamo ciò che ricordiamo e crediamo vero ciò che egli dice vero e noi sappiamo bugiardo. Non ha detto niente, no? Berlusconi chiede la nostra ubbidienza passiva, l´assuefazione a ogni manipolazione anche la più pasticciata. Reclama una sterilizzazione mentale (e morale) dell´intera società italiana.
Già basterebbe questo atto di pura violenza per riproporre le dieci domande a cui il capo del governo non vuole dare risposta da più di due settimane perché, palesemente, non è in grado di farlo. Se lo facesse, potrebbe compromettere se stesso, rivelare abitudini e comportamenti in rumorosa contraddizione con il suo messaggio politico (Dio, patria, famiglia).
C´è altro, però. Berlusconi sa che questa prova di forza non lo mette al sicuro dal potenziale catastrofico della "crisi di Casoria". Sa che spesso i fatti sono irriducibili e hanno la tendenza a riemergere. Sa che per distruggere quella realtà minacciosa, deve distruggere presto e nel modo più definitivo chi la può testimoniare. Anche in questo caso il premier ha deciso di muoversi con un canone di assoluta violenza. E´ quel che accade in queste ore. Per raccontarlo bisogna ricordare che i giorni non sono passati inutilmente perché hanno offerto a chi ha voglia di sapere e capire qualche accenno di "verità".
Veronica Lario dice a Repubblica che il premier «frequenta minorenni». Berlusconi nega dinanzi alle telecamere di Porta a porta di frequentare minorenni. Mente, ora è chiaro. Ci inganna intenzionalmente e consapevolmente, ben sapendo che cosa vuole deliberatamente nascondere. Ha frequentato la minorenne di Napoli come altre minorenni hanno affollato le sue feste e affollano i suoi weekend nella villa di Punta Lada in Sardegna. Dov´erano quelli che oggi minimizzano la presenza di ragazzine alla corte di un anziano potente di 73 anni quando quel signore negava di «frequentare minorenni»?

Un secondo punto, fermo e indiscutibile, è l´inizio dell´amicizia con Noemi, la ragazza napoletana. La retrodatazione del legame tra il premier e la famiglia della ragazza al 1991 si è rivelata posticcia e contraddittoria. I suoi incontri con la minorenne, anche in assenza dei genitori, sono stati documentati (Villa Madama; Capodanno 2009 a Villa Certosa). L´inizio dell´affettuosa e paterna amicizia tra il capo del governo e la minorenne è stata testimoniata dall´ex-fidanzato della ragazza, confermato da una zia di Noemi, fissato nell´autunno del 2008.
Contro questi "punti fermi", che lasciano il premier nudo con le sue bugie, si è scatenata una manovra utile a scomporre, ricomporre e confondere i fatti in un caleidoscopio mediatico di immagini false dove l´arma è la menzogna e gli armigeri sono i giornalisti stipendiati dal capo del governo, dimentichi di ogni deontologia professionale e trasformati in agenti provocatori; i corifei del leader, forti dell´immunità parlamentare e disposti a ogni calunnia. Buon´ultima Daniela Santanché che accetta di fare, nell´interesse del Capo, il lavoro sporco di diffamarne la moglie («ha un compagno»). Chiunque, in questo affare, abbia portato il suo granellino di verità viene ora sottoposto a un pubblico rito di degradazione fabbricato con un violento uso della menzogna.
Il primo assalto è toccato a Repubblica investita, dall´editore all´ultimo cronista che si è occupato del "caso", da un´onda di panzane. Prima il complotto politico (ma la polemica sulle veline è stata sollevata dal think tank di Gianfranco Fini). Poi la bubbola del pagamento del testimone (Gino Flaminio) che colloca la prima telefonata di Berlusconi a Noemi alla fine del 2008. L´accusa la grida in tv il ministro Bondi. Qualche giorno prima che un allegro commando di redattori del giornale della famiglia Berlusconi si scateni contro Flaminio allungandogli un paio di centoni «per l´incomodo» e realizzando la ridicola impresa di essere i soli a pagare l´ingenuo Gino. Che, anche se spaventato e intimorito, dice, ridice e conferma in tre occasioni di «non aver avuto un centesimo da Repubblica». Non è finita. Uguale trattamento viene inflitto al fotografo che ha immortalato, nell´aeroporto di Olbia, lo sbarco da un aereo di Stato delle ragazze (alcune, appaiono da lontano minorenni) invitate a allietare il fine settimana del presidente del consiglio. Infilato prima in una trappola dall´house organ di Casa Berlusconi, denunciato poi per truffa (improbabile reato) dall´avvocato del premier, la procura di Roma decide di sequestrare sia le immagini illegittime (scattate verso il patio di Villa Certosa) sia le foto legittime (raccolte in un luogo pubblico).
Siamo solo all´interludio perché il colpo finale, la menzogna usata come manganello punitivo, viene riservato alla prima e più autorevole testimone dell´instabilità psicofisica del premier e dei suoi giorni con le minorenni: Veronica Lario. Daniela Santanchè (non è un´amica della Lario, non frequenta la villa di Macherio) svela a Libero che «Veronica ha un compagno». E, se «Veronica ha un compagno», come possono essere attendibili i suoi rilievi al marito? Il cerchio ora è chiuso. Il pestaggio menzognero è completo, anche se non concluso. Ciascuno ha cominciato ad avere quel che si merita.
Questo spettacolo nero ha il suo significato politico. Berlusconi vuole insegnarci che, al di fuori della sua verità, non ce ne può essere un´altra. Vuole ricordarci che la memoria individuale e collettiva è a suo appannaggio, una sua proprietà, manipolabile a piacere. Si scorge nella "crisi di Casoria" un uso della menzogna come funzione distruttiva del potere che scongiura l´irruzione del reale e oscura i fatti. Si misura l´impiego dei media sotto controllo diretto o indiretto del premier come fabbrica di menzogne punitive di chi non si conforma (riflettano tutti coloro che ripetono che ormai il conflitto d´interesse è stato "assorbito" dal Paese). E´ il nuovo volto, finora nascosto, di un potere spietato. E´ il paradigma di una macchina politica che intimorisce. C´è ancora qualcuno che può pensare che questa sia la trama di un gossip e non la storia di un abuso di potere continuato, ora anche violento, e quindi una questione che scrolla la nostra democrazia?

Giuseppe D'Avanzo    Repubblica 1.6.09