Istituzioni umiliate

Per Berlusconi le assemblee larghe sono dannose. Ma parlamenti troppo esigui non sono una cosa buona per la democrazia. L´Italia si trova vicinissima a una svolta anti-democratica perché si vuole attaccare la divisione dei poteri

Cento deputati piacciono più di seicento al nostro presidente del Consiglio. Non c´è da stupirsi, perché corromperli o assoldarli o semplicemente metterli d´accordo con i suoi propri interessi sarebbe certamente meno costoso e più semplice. La relazione tra assemblee numerose e sicurezza della libertà l´avevano ben capita gli ateniesi di 2.500 anni fa, i quali proprio per evitare le scorciatoie nel nome della celerità di decisione istituirono giurie popolari numerosissime. Il loro intento principale era quello di impedire che nessun cittadino potente potesse condizionare le decisioni a suo piacimento.
Se pensavano che nessuno disponesse di tanti soldi quanti ne sarebbero stati necessari per corrompere seicento giudici (tanti erano i giudici che siedevano nelle loro giurie). E qui siamo di nuovo: il capo dell´esecutivo, abituato a comandare sottoposti e stipendiati, non ama né tollera assemblee larghe di rappresentanti che sono chiamati a rendere conto a nessun individuo o gruppo di individui ma solo alla nazione, la quale non è un padrone ma la fonte della loro autorità. Ma per il capo dell´esecutivo le assemblee larghe sono pletoriche e poi dannose agli interessi di chi decide – ovvero del suo esecutivo.
La logica del capo della maggioranza non è democratica ma è esattamente opposta a quella dei saggi democratici. Le assemblee deliberative devono essere non troppo piccole né troppo grandi, pensavano i Padri fondatori della democrazia americana. Se troppo piccole non possono più svolgere la loro funzione rappresentativa degli interessi più numerosi e diversi e inoltre possono facilmente dar luogo a unanimismi pericolosi o a "cabale" di fazioni. Se troppo grandi non possono svolgere efficacemente la funzione deliberativa, allungando i tempi di decisione e impedendo maggioranze stabili. Ma in nessun caso una manciata di rappresentanti è una cosa buona per la democrazia. La politica non va per nulla d´accordo con la semplificazione, una qualità degli apparati burocratici e di chi è chiamato a eseguire ordini e applicare pedissequamente regole che non fa; non è una qualità dei rappresentanti e dei cittadini che contribuiscono a determinare le scelte politiche con la loro diversa e complessa partecipazione. Semplificazione è una qualità per la "governance" ma non per il "government" – la prima è organizzazione di funzioni che mirano a risolvere problemi specifici; ma il secondo è azione politica che solleva problemi, crea agende di discussione e di proposte, mobilita idee e interessi, e infine decide facendo leggi che tutti, non solo chi siede in Parlamento e non solo chi è parte della maggioranza, deve ubbidire.
L´Italia si trova vicinissima a una svolta anti-democratica. L´attacco al Parlamento è un attacco alla divisione dei poteri e per affermare la centralità, anzi, il dominio di un potere sopra tutti: quello dell´esecutivo, che non ama eseguire o dover rendere conto e vuole fare quel che vuol fare senza impedimenti; che vuole fare tutto, legiferare e eseguire e, magari, anche determinare la giustizia. Semplificazione è l´equivalente di potere incontrastato.
Nel 1924, Gaetano Mosca, un conservatore di tutto rispetto, tenne un discorso memorabile nel Parlamento del Regno. Lui, che aveva sviluppato la teoria forse più corrosiva della democrazia sostenendo, con il soccorso della storia, che quale che sia la forma di governo, tutti i governi hanno come scopo evidente quello di formare e selezionare la classe politica. Che siano le guerre o le elezioni dipende dal tipo di organizzazione sociale, dalle forme di espansione e arricchimento, forme che possono essere violente e dirette oppure pacifiche e per vie di commercio. Nella moderna società di mercato, sosteneva Mosca, l´elezione e l´opinione sono forme più funzionali alla selezione della classe dirigente. Ebbene, questo critico dell´ideologia democratica e parlamentaristica, alla vigilia della fine delle libertà politiche e del parlamentarismo liberale, si schierò in Parlamento in difesa di quella istituzione, di quella forma democratica di selezione della classe politica e di governo. Non luogo in cui si perdeva tempo a chiacchierare o un "bivacco" come Benito Mussolini lo chiamava, ma istituzione di controllo e di monitoraggio senza la quale nessun cittadino poteva più sentirsi sicuro. Tra i conservatori di oggi, tra i moderati (se ancora ce ne sono) chi avrà la stessa saggezza o lo stesso coraggio del conservatore liberale Mosca? La difesa del sistema parlamentare non è una questione che interessa o deve interessare solo l´opposizione. Tutti, tutti indistintamente dovrebbero comprendere il rischio che una società corre quando chi è stato eletto per governare con il sostegno del Parlamento cerca di governare con la connivenza di una assemblea amica.

Nadia Urbinati    Repubblica 23.5.09

 

 


L’offensiva reazionaria è sempre iniziata così



Non sono sorpreso dall’affondo di Berlusconi contro il Parlamento. Ieri e oggi l’attacco alle assemblee è stato e resta un punto qualificante di ogni offensiva reazionaria. Basti pensare alla polemica di fascismo e nazismo contro la democrazia rappresentativa. L’antiparlamentarismo rappresenta un terreno chiave per le ideologie e le correnti autoritarie. Da sempre infatti il Parlamento incarna la difesa delle garanzie e del libero confronto politico. Il che disturba profondamente i conservatori. Non voglio dire che Berlusconi sia fascista, ma certe sue uscite vanno in una direzione allarmante e ben nota. Tutto ciò non significa che non siano necessarie delle modifiche all’ordinamento parlamentare. Un Parlamento di mille rappresentanti, che fanno tutti la stessa cosa, è pletorico. Ma ridurlo a cento persone, come vuole Berlusconi, sarebbe un annichilimento e uno svuotamento. Per fortuna però, su questo emergono allarmi anche a destra. E le parole di Fini a riguardo mi sono parse molto equilibrate. Da cittadino mi rivolgo perciò al Presidente della Repubblica e ai Presidenti delle Camere perché intervengano con decisione a salvaguardia delle istituzioni.

Pietro Ingrao    l’Unità 23.5.09