Israele - Palestina - 29.7.2006 Messaggi di paceQuaranta Registi Israeliani firmano un appello per la Pace con alcuni colleghi arabi.

Intervista ad Avi Mograbi, regista israeliano, che firma un appello con alcuni colleghi per la pace

 

 

“Noi registi israeliani salutiamo tutti i registi arabi riuniti a Parigi per la Biennale del cinema arabo. Ci opponiamo categoricamente alla brutalità e alla crudeltà della politica israeliana. Niente può giustificare il bombardamento della popolazione civile in Libano e a Gaza”.
Avi Mograbi è un regista israeliano. Con altri 40 suoi colleghi connazionali ha firmato questo messaggio di amicizia e solidarietà ai colleghi libanesi e palestinesi e alle popolazioni civili colpite dalla guerra. Da anni, Mograbi lotta contro l'occupazione israeliana. Nel 1982 si rifiutò di partire per la guerra in Libano, pagando la sua scelta con la prigione. In occasione della biennale del cinema arabo, in corso a Parigi dal 22 al 30 luglio e organizzato dall'Istituto del mondo arabo, dove vengono presentati un centinaio di film, questo messaggio testimonia il suo impegno continuo per la pace.
 
Come è nata l'iniziativa di lanciare un appello di solidarietà? E quanto crede che l'opinione pubblica in Israele condivida la vostra iniziativa?
 
Questa idea nasce innanzitutto dalla lunga relazione di amicizia che abbiamo con molti registi arabi, specialmente libanesi e palestinesi, poi sicuramente quello che è successo nelle ultime settimane è stato determinante. Non potevamo non farlo vedendo quello che succede ai nostri amici. Avevamo molte informazioni riguardo quello che succede nei Territori Occupati, ma molto meno per quello che riguarda il Libano. Eravamo contrari all'iniziativa presa dal nostro governo e abbiamo deciso di inviare questa lettera per far capire che non tutte le persone in Israele sono d'accordo con la linea politica intrapresa dal premier Olmert.
 
Quanto i film di registi libanesi e palestinesi sono diffusi in Israele e di quanta popolarità godono?
 
I film libanesi non vengono diffusi qui. Alcune persone li hanno perché li comprano in Francia dando così l'opportunità di conoscerli. I film palestinesi sono più conosciuti. Assieme ad altri registi  palestinesi abbiamo creato un club che si chiama ‘occupation club’, dove trasmettiamo film palestinesi e a volte, quando si può, il regista viene e parla del suo lavoro. Per esempio il film Paradise now è stato molto visto in Israele.
 
 
Nei suoi film molto spesso ha denunciato la politica del governo israeliano. Come si sente in questo momento lei che ha rifiutato, nell'82, di andare in Libano a combattere? Ritiene che Israele attaccando il Libano abbia fatto un passo indietro?
 
Certamente questo è un deja vu. Domenica scorsa ci sono state manifestazioni contro la guerra. Come nell'82, sono i libanesi a pagare il prezzo maggiore.
 
 

Come spiega che in Israele, almeno stando ai dati diffusi dai giornali, la gente è convinta che questa guerra sia giusta e sia di difesa?

 
Non posso spiegare questo in poche parole. Il nostro è un paese militare, l'educazione è militare. Si diffonde, tra la gente, la paura che si possa andare incontro ad un nuovo Olocausto. Il governo usa la storia ebraica  per creare miti e far pressione sulla gente, così ogni piccolo incidente, come il caso dei due soldati rapiti, può portare una totale crisi esistenziale e dopo, quando Hezbollah agisce, allora il governo non ha bisogno di spiegare più niente, ha raggiunto il suo scopo: far capire che l'unica cosa che resta da fare è combattere.
 
Oltre al messaggio a Parigi, quali altre sono le sue attività di solidarietà in questo periodo?
 
Organizziamo manifestazioni e attiviamo petizioni perché la guerra si arresti.
 
I registi libanesi e palestinesi hanno risposto al vostro messaggio invitando i colleghi di tutto il mondo a montare cortometraggi per rendere possibile il festival Ayyam Cinemai di settembre 2006, a Beirut. Ha già pensato a qualcosa? Parteciperà?
 
Per ora non ho niente in testa. Di questi tempi è molto difficile fare arte. Ma anche se io farò qualcosa non sono sicuro che i libanesi siano pronti a mostrare un film israeliano a Beirut che parla della nuova distruzione del Libano. Ma ora a me questo non interessa, quello che voglio è che tutto finisca e che si prenda un'altra strada perché così non andremo da nessuna parte.