Io spio tu spii egli spia
Il primo e più
clamoroso nostrano episodio di spionaggio sessual-politico a scopo ricattatorio
risale all’affare Montesi (1953/57). Fu interrogandosi intorno alla misteriosa
morte di una ragazza rinvenuta sul litorale di Ostia che l’Italia scoprì i
“balletti” rosa e verdi, riscoprì la coca, magica polvere bianca in auge
durante il Ventennio e poi vagamente oscurata dalla pruderie cattocomunista,
perse un bel po’ di fiducia nei pubblici poteri e, in definitiva, l’innocenza.
Fra i soggetti spiati e intercettati (si poteva fare anche allora) da
investigatori al soldo di questo o di quel potentato democristiano, una nota
toga “rossa” dell’epoca e il giudice istruttore del caso. Di quest’ultimo si
apprese che era sovrappeso, guidava un’automobile sportiva, intratteneva una
relazione sentimentale con un’elegante signora. Non venne divulgato il colore
dei calzini che, evidentemente, non destava alcun interesse. Negli stessi anni,
Edgard J. Hoover, capo dell’Fbi, schedava milioni di cittadini in cerca di
tracce di deviazioni sessuali, tossicofilia, vicinanza al comunismo. Si creò
così un accumulo di dossier che si sarebbero rivelati preziosi nella guerra che
avrebbe contrapposto i repubblicani al clan Kennedy. Oltre a garantire la
sopravvivenza del potere personale del detentore. Se si leggono i capolavori di
James Ellroy (American Tabloid e Sei Pezzi da Mille) dedicati alla vicenda, si
capirà che fatte le debite proporzioni fra il paesello italico e l’impero
americano non eravamo e non siamo poi così diversi. Il dossier
“riservato” è un’arma impropria che fa parte da lungo tempo dell’arsenale
occulto delle nostre democrazie. In tempi di grandi contrapposizioni ideologiche
alimenta la sensazione di una nobile contesa fra paladini della libertà e servi
dell’oscurantismo. In una situazione da paese dei campanelli si fa mediocre,
velenoso gossip.
Giancarlo De Cataldo l’Unità 27.10.09