Intercettazioni. La posta in gioco


Se si uccide l’articolo 21 della Carta

Primo esame di storia contemporanea in un’aula universitaria qualsiasi della penisola. Il docente si ferma e chiede agli studenti: come distinguiamo una democrazia dalla dittatura? E ancora precisa:quali sono le libertà elementari che una democrazia garantisce? Uno studente risponde:tra le libertà elementari che la democrazia deve ai cittadini è quella del pensiero e della sua espressione. Il professore insiste: E se così i giornali mettono in piazza gli affari privati di qualcuno? Così si viola la privacy a danno della libertà di ciascuno? Ma, come non manca di ricordare il presidente del Consiglio,siamo tutti spiati. Ma è proprio così?
L’Associazione Nazionale dei Magistrati ricorda che i dati reali smentiscono questa affermazione e afferma che l’anno scorso,nel 2009,sono state intercettate 132mila utenze, riferibili a non più di 35mila persone. E un magistrato siciliano esperto che ha riflettuto da molti anni sulla nostra storia, Roberto Scarpinato ammonisce:«La legge costituisce un gravissimo colpo alle indagini antimafia perché impedisce di scoprire molti reati che poi ci permettono di identificare l’attività mafiosa».

Insomma, nel contrasto ormai aperto che divide la maggioranza parlamentare berlusconiana dai pochi che, pur ancora nel Pdl,vorrebbero modificare il disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche e rinviarlo a settembre, il disegno di legge va avanti e non c’è da sperare che qualcuno possa fermarlo in dirittura di arrivo. Perciò nelle librerie Feltrinelli sono state raccolte in queste ultime settimane trentamila firme e a Trapani magistrati e cittadini hanno fatto una «notte bianca» per attirare l’attenzione della opinione pubblica sulla distruzione dell’articolo 21 e di altri articoli fondamentali sulle libertà repubblicane. Sembra che pochi si rendano conto fino in fondo della ferita mortale che la legge sulle intercettazioni apporterà al tessuto innovativo della repubblica e, se non ci saranno nei prossimi giorni manifestazioni adeguate alla gravità dell’attacco che il regime populistico berlusconiano vuole assestare alle basi della nostra democrazia, sarà difficile risalire la china di questo abisso. Dobbiamo renderci conto di quello che ci aspetta se la nuova legge passerà. Non si tratta di una battaglia che riguarda soltanto magistrati e giornalisti ma tutti quelli che, negli ultimi settanta anni, hanno goduto di una certa libertà di espressione. In questo senso c’è da sperare che le iniziative già prese dalla Federazione Nazionale della Stampa di ricorrere alla Corte di Giustizia europea e quelle prevedibili dell’opposizione di raccogliere le firme per un nuovo referendum abrogativo possano realizzarsi: quando ai cittadini si limita in maniera così forte la libertà di espressione, il passo verso un regime autoritario diventa decisivo in un momento nel quale il ricordo del fascismo sembra del tutto svanito.

Nicola Tranfaglia      l’Unità 25.6.10