Incitazione al razzismo

Con l’equazione immigrati uguale criminalità, Silvio Berlusconi aggiunge un nuovo record ai tanti
disonorevoli già raccolti: l’istigazione al razzismo di un premier nell’esercizio delle sue funzioni.
Una frase (della cui gravità, nel Pd, si è resa conto solo l’onorevole Livia Turco) pronunciata nella
visita ufficiale a Reggio Calabria che per il codazzo di ministri in gita fuoriporta, la durata lampo e
per il “piano straordinario antimafia buttato lì è apparsa subito per quello che realmente voleva
essere: uno spottone elettorale a favore del candidato pdl alla presidenza della regione Scopelliti. Di
assai elettorale, infatti, la dichiarazione berlusconiana ha soprattutto i destinatari. Che sono quei non
pochi calabresi (e non solo calabresi) che nella recente rivolta di Rosarno hanno pensato che gli
extracomunitari, prima schiavizzati nei campi e trattati da bestie, poi presi a mazzate e a fucilate
quando hanno fatto casino nelle strade e quindi cacciati a furor di popolo, che dunque quei negri se
l’erano proprio cercata. Sempre così pronto di battuta, in quei giorni di tensione il presidente del
Consiglio non aveva pronunciato verbo lasciando che fosse il ministro più versato in materia, cioè
il leghista Maroni, a lanciare la consueta minaccia: guai ai clandestini. A un uso incivile della
questione immigrazione per raccattare voti, siamo purtroppo abituati.
La Lega ne ha fatto la sua
fortuna perché prima di altri ha capito come speculare sulle paure della gente nel vuoto della
ragione e delle istituzioni. Ma lascia davvero sgomenti che sia il capo del governo a scendere in
quell’estremo sud, da tutti i governi abbandonato al proprio destino per solleticare rabbie e istinti
non potendo dare legalità e lavoro. Dichiarazioni oltretutto economicamente insensate, come fanno
notare le associazioni degli agricoltori che delle braccia extracomunitarie non possono fare a
meno, con buona pace dei picchiatori travestiti da bravi cittadini. Equiparare immigrazione e
crimine significa, infine, ripercorrere le stesse oscure strade che nell’altro secolo l’Europa ha
tristemente conosciuto.
Quelle che dal pregiudizio precipitano nella persecuzione. Temiamo che il
Giorno della Memoria a questi nuovi razzisti senza memoria, non possa più insegnare nulla.


Antonio Padellaro       il Fatto Quotidiano  29 gennaio 2010

 

 

Le colpe rovesciate

Mi capita di ascoltare le dichiarazioni del presidente del consiglio «meno immigrati meno
criminalità» mentre sono in viaggio per un convegno dal titolo «Quando toccava a noi: a proposito
dei fatti di Rosarno». Occasione: la presentazione di un libro, «Morte agli italiani!», sul massacro di
Aigues-Mortes. Nel corso del dibattito mi risultano sempre più chiare ed evidenti le analogie tra
quello che è successo a Rosarno e quello che è successo a Aigues-Mortes, in Provenza, un centinaio
di anni addietro quando dieci italiani (settanta o ottanta nella vulgata storica) vennero uccisi in un
pogrom.
Ci sono anche differenze. Ad Aigues-Mortes c'è stato un vero e proprio massacro che per fortuna a
Rosarno non è accaduto. Ma se guardiamo le parti in causa e il ruolo giocato da gruppi sociali e
istituzioni, le analogie sono incredibili. A Aigues-Mortes come a Rosarno le condizioni in cui
vivono gli immigrati sono di assoluta miseria e invivibilità.
In ambedue i casi il livello di
sfruttamento dei migranti è enorme e, non a caso, in ambedue i casi ci sono i caporali. Un'altra cosa
che colpisce sono i commenti delle rappresentanze istituzionali, anche qui con analogie e
differenze.

Di queste la più rilevante è che noi abbiamo un governo di destra mentre il governo repubblicano
francese del 1893 è progressista. Ma a fare la parte di Berlusconi ci pensa l'equivalente della nostra
Lega, che non a caso si chiama Ligue des Patriotes. Inoltre gli italiani vengono rappresentati dalla
stampa e dall'opinione pubblica come sono rappresentati ora gli immigrati di Rosarno. Vengono
considerati degli attaccabrighe, persone che tolgono il pane di bocca ai lavoratori francesi. Così
come Berlusconi oggi invita a considerare gli immigrati dei criminali potenziali o effettivi seguendo
la strategia di Maroni: rovesciare causa ed effetto e imputare agli immigrati la responsabilità della
condizioni in cui si trovano e di cui sono vittime.

Un altro aspetto che colpisce nella storia di Aigues Mortes è l'andamento del processo: gli italiani
massacrati diventano gli imputati, tant'è che i giornali parleranno del processo come dell' "affaire
Giordano", dal nome di un italiano che partecipò ai primi scontri. Non solo la stampa ma anche
l'autorità giudiziaria dimenticano completamente il ruolo dei sobillatori che determinarono il
massacro. Ma le analogie sono anche nei piccoli particolari. A Rosarno, dove ha brillato per la sua
assenza anche la sinistra, abbiamo ora una presenza coraggiosa rappresentata dal parroco, che riesce
a mettersi contro i manifestanti anti-immigrati. Ad Aigues-Mortes un secolo prima si era verificata
la stessa cosa.
Morale della favola: capita ai nostri immigrati quello che è capitato a noi cento anni prima. La
lezione che si può ricavare è che l'aver sofferto ieri come emigranti non ci aiuta ad avere solidarietà
per gli immigrati di oggi.
Questo è possibile solo nella misura in cui i fenomeni vengono riletti,
elaborati e riproposti in una interpretazione progressista dalle istituzioni. I governanti dovrebbero
lanciare messaggi sdrammatizzanti e di solidarietà. L'opposto di quello che ha fatto Berlusconi ieri.

 

Enrico Pugliese      il manifesto 29 gennaio 2010