IN MEMORIA DEI FRATELLI CAIROLI

Questo intervento è stato letto alla manifestazione tenuta a Roma il 24/10/08 per l'anniversario della morte dei Fratelli Enrico e Giovanni Cairoli nello scontro di Villa Glori tra garibaldini e soldati pontifici, il 23 ottobre 1867.

 

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La nostra associazione avverte l’urgenza, in questa particolare situazione politica, di analizzare criticamente eventi storici e sociali che concorrono a formare la coscienza della collettività, per recuperare l’etica della responsabilità. Oggi siamo riuniti per ricordare due coraggiosi martiri italiani che, come tanti altri volontari, hanno sacrificato le loro giovani vite per il bene di molti; cosa poteva muovere questi ragazzi? Soldi, gloria, avventura, amore per il rischio? Certamente no, come ben sappiamo. Essi erano, semplicemente, persone responsabili, cioè coscienti del diritto-dovere di ogni uomo di vivere libero in uno Stato libero.

Sembra impossibile, oggi, in una situazione generale in cui l’interesse per il potere ed il denaro prevale sulle ragioni del diritto e della giustizia, potersi identificare con il pensiero e l’azione di questi ragazzi della metà dell’800 ….; sembrano distanti da noi anni luce; eppure i fratelli Cairoli non sono  lontani nemmeno fisicamente dai nostri tempi: avrebbero potuto  essere….  padri dei nostri nonni !In realtà, allora come oggi, l’ etica responsabile dei fratelli Cairoli si scontrava sul campo con l’etica dell’irresponsabilità , figlia unica dell’obbedienza acritica che era, ed è, caratteristica dominante di gran parte del popolo italiano.

L’obbedienza acritica ha radici profonde; essa, come dicono Saverio Lodato e Roberto Scarpinato ne “Il ritorno del Principe”, non si legge sui banchi di scuola, ma si succhia con il latte fin dai primi giorni di vita; essa costituisce la vera “ legge della terra” del nostro popolo. La cultura dell’obbedienza parte dal medio-evo fino ad arrivare, pressoché invariata, ad oggi. Le cause le ritroviamo nell’imposizione forzata, rivestita di sacralità, e dunque temuta, dei dogmi religiosi creati ad arte dal potere temporale della Chiesa, nella versione cattolica controriformista, antirisorgimentale e antiliberale; le ritroviamo nel machiavellismo, nel familismo amorale, ovvero della famiglia intesa come unica vera sede della morale, la cui massima degenerazione è la famiglia mafiosa. La famiglia mafiosa vive solo per soddisfare esclusivamente e con tutti i mezzi, leciti o illeciti, i bisogni dei suoi componenti; famiglia “chiusa” in sé stessa, in cui si annida il germe dell’egoismo e dell’obbedienza acritica. Altra cosa è la famiglia “aperta” verso gli altri, del tipo di quella dei Cairoli, in cui prevale su tutto l’etica della responsabilità, individuale e collettiva. A questo proposito vorrei citare ciò che Giuseppe Mazzini dice, rivolgendosi alla madre dei Fratelli Cairoli, nella lettera che scrisse il 14 ottobre del 1869 

“Ma a Voi (Adelaide Cairoli) non importa né ad essi (Enrico e Giovanni Cairoli) importava di fama. Voi non adorate, essi non adoravano che il fine, quel santo ideale d’una Italia redenta, pura di ogni macchia di servitù e di ogni sozzurra d’egoismo e di corruzione, e iniziatrice di forti e grandi pensieri da Roma, che ispirò, attraverso una tradizione di secoli, le nostre migliori anime alla battaglia e al martirio. E però vi dico: sorridete nel pianto, i vostri hanno, morendo, vinto; hanno affrettato d’assai il momento in cui quell’ideale diverrà fatto sulla nostra terra. Stanco dagli anni, dalle infermità e da altro, io ho sentito, all’annunzio della morte del nostro Giovanni, e delle ultime parole ch’ei proferiva, riardere dentro la fiamma dé miei anni giovanili e riconfermarsi in me il proposito della vita. Migliaia di nostri, non ne dubitate, hanno sentito lo stesso”.

E conclude la lettera rilanciando, in un moto di speranza:

“Una intera famiglia non vive, non muore come la vostra senza che tutta una generazione si ritempri in essa, e muova innanzi d’un passo.”

Esiste però un filo che lega alcune figure dei nostri tempi alle idee di questi giovani del passato: sono tutti coloro che ancora remano disperatamente contro-corrente, continuando a credere nei valori della giustizia e del bene comune; inutile fare nomi…sono cronache di tutti i giorni; pensiamo soltanto agli uomini ed alle donne che si sono battuti e si stanno battendo contro le mafie di ogni ordine e grado; gente comune che rischia in prima persona e paga spesso con la vita.

Occorre dunque essere attenti, saper leggere il presente e le esperienze del passato, facendo confluire il tutto nel filtro della coscienza  per alimentare, appunto, la nostra responsabilità individuale.

Solo quindi riaffermando e riproponendo gl’ideali di chi ha cercato di spostare la nostra cultura verso quella della “modernità” (purtroppo non ancora realizzata in Italia), e seguendo l’esempio dei resistenti di oggi possiamo, noi tutti, ancora sperare in una stagione nuova di libertà e giustizia.

Paolo Macoratti,  Gruppo Laico di ricerca