Immigrati urla e
silenzi
Nel dichiarare guerra agli immigrati clandestini e alla tratta di esseri umani,
il governo è sicuro di
una cosa: dalla sua parte ha un gran numero di italiani, almeno due su
tre. Ne è sicura la Lega, assai
presente nel territorio. Ne è sicuro Berlusconi, che scruta in quotidiani
sondaggi l’umore degli
elettori. Non ci sono solo i sondaggi, d’altronde: indagini e libri (per esempio
quello di Marzio
Barbagli, Immigrazione e sicurezza in Italia, Mulino 2008) confermano che
la paura - in particolare
la paura della crescente criminalità tra gli immigrati - è oggi un sentimento
diffuso, che il politico
non può ignorare. A questo sentimento possente tuttavia i governanti non solo si
adeguano: lo
dilatano, l’infiammano con informazioni monche, infine lo usano. È quello che
Ilvo Diamanti
chiama la metamorfosi della realtà in iperrealtà.
Negli ultimi vent'anni l’iperrealismo ha caratterizzato tre guerre, fondate
tutte sulla paura: la guerra
al terrorismo mondiale, alla droga e alla tratta di esseri umani. Le ultime due
son condotte contro
mafie internazionali e italiane (la tratta di migranti procura ormai più
guadagni del commercio
d’armi) i cui rapporti col terrorismo non sono da escludere. Sono lotte
necessarie, ma non sempre il
modo è adeguato: contro il terrorismo e i cartelli della droga, la guerra non ha
avuto i risultati
promessi.
George Lakoff, professore di linguistica, disse nel 2004 che la parola
guerra - contro il terrore - era
«usata non per ridurre la paura ma per crearla». La guerra alla tratta
di uomini rischia insuccessi
simili. Le tre guerre in corso sono spesso usate dal potere politico, che
nutrendosene le rinfocola.
Roberto Saviano lo spiega da anni, con inchieste circostanziate: ci sono forme
di lotta alla
clandestinità votate alla sconfitta, perché trascurano la malavita italiana che
di tale traffico vive. Ed
è il silenzio di politici e dei giornali sulle nostre mafie a trasformare
l’immigrato in falso bersaglio,
oltre che in capro espiatorio. Lo scrittore lo ha ripetuto in occasione dei
respingimenti in mare di
fuggitivi. Le paure hanno motivo d’esistere, ma per combatterle occorrerebbe
andare alle radici del
male, denunciare i rapporti tra mafie straniere e italiane: le prime non
esisterebbero senza le
seconde, e comunque la malavita viaggia poco sui barconi. Saviano dice un’altra
verità: se ci
mettessimo a osservare le condotte dei migranti, la paura si complicherebbe,
verrebbe
controbilanciata da analisi e sentimenti diversi. Una paura che si
complica è già meno infiammabile,
strumentalizzabile.
Saviano elenca precise azioni di immigrati nel Sud Italia.
Negli ultimi anni, alcune insurrezioni
contro camorra e ’ndrangheta sono venute non dagli italiani, ormai rassegnati,
ma da loro. È
successo a Castelvolturno il 19 settembre 2008, dopo la strage di sei immigrati
africani da parte
della camorra. È successo a Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, dopo
l’uccisione di lavoratori
ivoriani uccisi perché ribelli alla ’ndrangheta, il 12 dicembre 2008. Ma
esistono altri casi,
memorabili. Il 28 agosto 2006, all’Argentario, una ragazza dell’Honduras, Iris
Palacios Cruz,
annega nel salvare una bambina italiana che custodiva. L’11 agosto 2007 un
muratore bosniaco,
Dragan Cigan, annega nel mare di Cortellazzo dopo aver salvato due bambini (i
genitori dei
bambini lasciano la spiaggia senza aspettare che il suo corpo sia ritrovato). Il
10 marzo 2008 una
clandestina moldava, Victoria Gojan, salva la vita a un’anziana cui badava.
Lunedì scorso, due
anziani coniugi sono massacrati a martellate alla stazione di Palermo, nessun
passante reagisce
tranne due nigeriani, Kennedy Anetor e John Paul, che acciuffano il colpevole:
erano giunti poche
settimane fa con un barcone a Lampedusa. Può accadere che l’immigrato inoculi
nella nostra
cultura un’umanità e un senso di rivolta che negli italiani sono al momento
attutiti (Saviano, la
Repubblica 13 maggio 2009).
Questo significa che in ogni immigrato ci sono più anime: la peggiore e la
migliore. Proprio come
negli italiani: siamo ospitali e xenofobi, aperti al diverso e al tempo stesso
ancestralmente chiusi.
Sono anni che gli italiani ammirano simultaneamente persone diverse come
Berlusconi e Ciampi.
Oggi ammirano Napolitano; anche quando critica il «diffondersi di una retorica
pubblica che non
esita, anche in Italia, ad incorporare accenti di intolleranza o xenofobia».
Son rari i popoli che
hanno di se stessi un’opinione così beffarda come gli italiani, ma son rari
anche i popoli che
raccontano, su di sé, favole così imbellite e ignare della propria storia.
L’uso che viene fatto della
loro paura consolida queste favole. Nel nostro Dna c’è la cultura
dell’inclusione, dicono i giornali;
non c’è xenofobia né razzismo. Gli italiani non si credono capaci dei vizi
che possiedono: il nemico
è sempre fuori. Non vivono propriamente nella menzogna ma in una
specie di bolla: in un’illusione
che consola, tranquillizza, e non per forza nasce da mala fede. Nasce per celare
insicurezze,
debolezze. Nasce soprattutto perché il cittadino è molto male
informato, e la mala informazione è
una delle principali sciagure italiane. È vero, la criminalità tra gli
immigrati cresce, ma cresce in un
clima di legalità debole, di mafie dominanti, di degrado urbano. Un clima che
esisteva prima che
l’immigrazione s’estendesse, spiega Barbagli. Se la malavita italiana svanisse,
quella dei clandestini
diminuirebbe.
La menzogna viene piuttosto dai governanti, e in genere dalla classe dirigente:
che non è fatta solo
di politici ma di chiunque influenzi la popolazione, giornalisti in prima linea.
Tutti hanno
contribuito alla bolla d’illusioni, al sentire della gente di cui parla Bossi.
Tutti son responsabili di
una realtà davanti alla quale ora ci si inchina: che vien considerata
irrefutabile, immutabile, come se
essa non fosse fatta delle idee soggettive che vi abbiamo messo dentro, oltre
che di oggettività. I
fatti sono reali, ma se vengono sistematicamente manipolati (omessi, nascosti,
distorti) la realtà ne
risente, ed è così che se ne crea una parallela. La realtà dei fatti è
che ogni mafia, le nostre e le
straniere, si ciba di morte, di illegalità, di clandestinità. La realtà è
un’Italia multietnica da anni. Il
pericolo non è solo l’iperrealtà: è la manipolazione e la mala informazione.
Per questo è un po’ incongruo accusare di snobismo o elitismo chi denuncia le
attuali politiche antiimmigrazione.
Quando si vive in una realtà manipolata, chi si oppone non dice
semplicemente no:
si esercita ed esercita a vedere i fatti da più lati, non solo da uno.
Rifiuta di considerare,
hegelianamente, che «ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è
razionale». Che ciò che è
popolare è giusto, e ciò che è impopolare ingiusto o cervellotico. Bucare la
bolla vuol dire fare
emergere il reale, cercare le verità cui gli italiani aspirano anche quando s’impaurano
rintanandosi.
Accettare le loro illusioni aiuta poco: esalta la loro parte rinunciataria,
lusinga le loro risposte
provvisorie, non li spinge a interrogarsi e interrogare.
Lo sguardo straniero sull’Italia è prezioso, in tempi di bolle: ogni articolo
che viene da fuori erode
la mala informazione. Non che gli altri europei siano migliori: nelle periferie
francesi e inglesi
l’esclusione è semmai più feroce. Ma ci sono parole che lo straniero dice con
meno rassegnazione,
meno cinismo. Ci sono domande e moniti che tengono svegli. Per esempio quando
Bill Emmott, ex
direttore dell’Economist, ci chiede come mai accettiamo tante cose, dette da
Berlusconi,
manifestamente false. O quando Perry Anderson chiede come mai l’auto-ironia
italiana non abbia
prodotto una discussione sul passato vasta come in Germania (London Review of
Books, 12-3-09).
O quando l’Onu ci rammenta le leggi internazionali che stiamo violando.
Barbara Spinelli La Stampa 17 maggio 2009