Immigrati, la
destra e la tattica dei cattivi
Secondo le logiche della comunicazione politica, è il primo messaggio quello che
vale, che viene
recepito come autentico e che si fissa nella mente dei cittadini. E a proposito
delle violenze di via
Padova il primo messaggio della maggioranza è stato (per bocca di un
eurodeputato della Lega) di
"procedere a controlli ed espulsioni casa per casa"; mentre da Roma figure di
primo piano come
Gasparri rilasciavano interviste sulla "tolleranza zero". Certo, il
giorno dopo Bossi e Maroni hanno
corretto il tiro, sostenendo che non è il caso di pensare a rastrellamenti, né a
uno Stato di Polizia,
mentre la soluzione ai problemi dell'immigrazione e della multietnicità -
generati,a loro dire, dalle
politiche lassiste della sinistra - starebbe nell'evitare le concentrazioni di
stranieri in ghetti urbani e
nelle politiche di integrazione. Quanto alle critiche di Bersani al fallimento
della politica anti-
immigrazione della destra, saranno gli elettori - secondo Bossi - a decidere,
col voto alle elezioni
regionali, se sono giuste o sbagliate. E proprio da quest'ultima
affermazione si comprende che si è
di fronte alla consueta strategia comunicativa della destra: in prima battuta
rilasciare dichiarazioni
emotive, violente e "politicamente scorrette" ma vicine al presunto comune
sentire della gente (o,
meglio, capaci di orientare le forme più elementari e superficiali di opinione
pubblica), e poi
annacquarle il giorno successivo, quando si tratta di mostrare il volto
presentabile, governativo,
della politica.
La convinzione che sta alla base di questo stile politico è
che nel senso comune
rimane il sedimento delle prime affermazioni, mentre le correzioni passeranno
inosservate o
verranno classificate come mosse tattiche; al momento del voto sarà determinante
il ricordo
emotivo delle tesi estreme, delle forzature concettuali e verbali. Che non
saranno dunque state degli
errori, ma delle mosse azzeccate. Nella convinzione che la politica si
giochi anche al livello
linguistico, nella costruzione di un discorso pubblico e dei suoi fondamenti
razionali, e che una
democrazia richieda una costante sorveglianza sul linguaggio, si deve denunciare
e smontare la
macchina comunicativa della maggioranza di destra. Il punto di partenza
può essere proprio la minacciosa richiesta di "tolleranza zero".
È infatti sul termine tolleranza che si gioca primariamente
l'equivoco. In realtà, ciò che si può e si deve chiedere - e che finora non c'è
stata - è "illegalità zero":
è questo, almeno tendenzialmente, lo standard di efficienza richiesto in uno
Stato democratico di
diritto,a via Padova come a Scampia come in qualsiasi periferia degradata, in
balia di bande o della
malavita.
Lo slogan "tolleranza zero" non è solo la scimmiottatura decontestualizzata di
vecchie politiche
urbane del sindaco di New York, Giuliani; e non è solo il tentativo di supplire
con la faccia feroce
all'incapacità politico-amministrativa che da Roma alla Regione Lombardia al
Comune di Milano
ha il medesimo colore, quello della maggioranza; è in realtà un messaggio
politico preciso. Che
consiste nell'attribuire a un eccesso di tolleranza - interpretata come una vaga
melassa di
irresponsabili buoni sentimenti - il disastroso stato della legalità, a Milano e
altrove; il che equivale
ad affermare implicitamente (ma non certo nascostamente: che si sia alluso a
rastrellamenti è stato
certificato proprio da Bossi) la necessità dell'intolleranza per risolvere i
problemi dell'ordine
pubblico. Problemi che attraverso l'enfatizzazione della componente
etnica dei disordini milanesi,
vengono fatti coincidere - con la tipica costruzione del capro espiatorio - con
le difficoltà del
multiculturalismo. L'intolleranza - un vizio privato, dettato dalla paura e
dalla subalternità culturale
e sociale, che dà origine a spaventose dinamiche collettive - verrebbe così a
sostituirsi, o a esserne il
fondamento, alla legalità, che invece deve risultare da una politica
rispettosa dei diritti di tutti, e
capace di assicurare che tutti compiano il proprio dovere davanti alla legge.
Una politica difficile,
certo, che non ha nulla a che fare col lassismo, ma che non è neppure alla
portata dei semplificatori
e dei demagoghi.
Insomma, lo slogan "tolleranza zero" - con quanto evoca: ronde di cittadini
esasperati, brutalità
poliziesche, rivincite etniche - è un buon esempio di quel cortocircuito
permanente e sempre più
profondo fra privato e pubblico, fra emozioni e legge, fra paura e politica, che
è la cifra della destra
di governo. Una politica che, contrariamente all'immagine che vuole dare
di sé, non si cura
realmente del "fare", cioè dell'efficienza dell'azione politica (e
infatti non investe né in inclusione
sociale né in sicurezza) ma che ha a cuore primariamente la costruzione
dell'opinione pubblica (la
audience) attraverso la manipolazione delle passioni più elementari dei
cittadini. Il risultato del
successo di questa strategia sarebbe il permanere dell'illegalità, dato che
ovviamente i conflitti a
componente etnica si aggraverebbero, e al contempo la legittimazione
dell'intolleranza come virtù
civica. Esiti perversi che si devono contrastare già nelle perversioni
linguistiche che li annunciano.
Carlo Galli la Repubblica 17 febbraio 2010