I muri della paura

In questo inizio secolo, la tolleranza, il dialogo interculturale e gli scambi fra i popoli non sono mai stati così evocati. Eppure, un po' ovunque, si erigono nuovi muri: a Baghdad, in Cisgiordania, a Padova, in Botswana, come ieri a Cuincy (Francia) o a Ustìnad Labem (Repubblica ceca), ecc. Per non parlare dei muri virtuali del Web, per il cui accesso serve un codice che apra il portale... Il muro separa più di quanto protegga; falle e armi sempre più sofisticate permettono di oltrepassarlo. Tuttavia, ciò non gli impedisce di moltiplicarsi, quasi si rivelasse più indistruttibile simbolicamente di quanto non sia vulnerabile materialmente.


I muri appartengono alle più antiche vestigia archeologiche, e la Grande muraglia cinese - costruita nel III e IV secolo a.C., lunga diverse migliaia di chilometri - è visibile persino nelle fotografie prese dalla Luna. Gli storici concordano nell'affermare che la maggior parte delle città si è dotata di bastioni e porte sorvegliate di notte allo scopo di garantire la pace ai cittadini. La parola «muro» viene dal latino murus, che indica la «cinta» di una città, a differenza di «muraglia» (moenia) e di «muro di costruzione» (paries). Dapprima semplice palizzata in legno, come testimoniano, per esempio, le scoperte archeologiche del primo sito della futura Lutèce; successivamente in pietra, con camminamenti fortificati e torri. Il progresso delle armi nel XV e XVI secolo obbliga gli ingegneri a creare nuove configurazioni difensive, il cui apice sarà la pianta a stella così cara a Vauban.


La supremazia dell'esercito francese permette a Luigi XIV di costruire porte monumentali senza mura (porta Saint-Martin e porta Saint-Denis), poiché non ha alcun timore per la sicurezza della capitale. Le mura successive serviranno soprattutto per il dazio, nella maggior parte delle città. Così, a Parigi, il muro dei Fermiers généraux, la cui costruzione è iniziata nel 1784, risponde innanzitutto a esigenze fiscali. Tali mura dovevano essere corredate da porte (o barriere) disegnate dall'architetto Claude Nicolas Ledoux (per esempio la rotonda della Villette, o il dazio di Place de la Nation). Un acuto osservatore dell'epoca, Louis Sébastien Mercier, annota il detto popolare: «Le mur murant Paris rend Paris murmurant» («il muro che mura Parigi fa mormorare Parigi», ndt). Infatti, il malcontento cresce e la rivoluzione si annuncia... L'arrivo dei Russi nella capitale francese nel 1814, in mancanza di fortificazioni efficaci, spinge alcuni parlamentari ad esigere, nel 1818, un muro di protezione. Solo nel 1840, sotto l'impulso di Adolphe Thiers, si delibera la costruzione di nuove mura. Esse non impediranno la disfatta contro i prussiani nel 1870, e saranno denunciate dai parlamentari che ne reclameranno la demolizione, decisa solo nell'aprile del 1919.


Parigi, anche senza fortificazioni - ma con un'autostrada periferica che, di fatto, costituisce un muro, fra la capitale e le sue periferie, insuperabile per i pedoni - distingue fra chi è dentro le mura e chi ne è fuori. Perciò si parla di un muro inesistente, invisibile, che tuttora delimiterebbe la città. Eredità delle condizioni geopolitiche della fine della seconda guerra mondiale e della bipolarizzazione del mondo: il muro di Berlino. La Germania sconfitta viene divisa in due, e così Berlino. Per bloccare l'emorragia demografica (più di tre milioni e mezzo di tedeschi hanno lasciato la Repubblica democratica tedesca [Rdt] fra il 1949 e il 1960), nel giugno del 1961 inizia la costruzione di un muro, e per sorvegliarlo occorre mobilitare 14.000 guardie e 6.000 cani. Willy Brandt dichiara, il giorno del suo insediamento : «Die Mauer muss weg!» («Il muro deve sparire!»).
Solo il 9 novembre 1989, dopo circa trent'anni, esso viene smontato nel tripudio popolare e soprattutto in un nuovo contesto geopolitico, la fine del blocco sovietico. Da quel momento, la caduta del muro costituisce un punto di riferimento nella cronologia della storia dell'umanità.


Il messaggio trasmesso dal muro attiene soprattutto alla paura e al ripiegamento: mi rinchiudo per non essere esposto all'Altro, che non capisco e non voglio incontrare. Sembra una misura preventiva, come per le gated communities (lotti-bunker) circondate da fossati di vegetazione o, più autoritariamente, da inferriate, con un'unica porta sorvegliata da uomini armati. I loro abitanti temono l'attrito con le altre popolazioni e selezionano le loro relazioni attraverso un urbanismo discriminante: occorre farsi identificare all'entrata del lotto murato, sia che si venga a consegnare una pizza che a cenare da amici.


Alto più di 8 metri, costruito in cemento. Questo sentimento d'isolamento quasi sanitario è largamente condiviso, da Los Angeles a Rio, da Buenos Aires a Istanbul, da Varsavia a Mosca, da Shangai a Bombay, dalle periferie di Tolosa a quelle di Parigi (1)... Corrisponde alla paura del diverso. Ciò spiega, sebbene comunque non le giustifichi, le autorità municipali di Padova (Democratici di sinistra) che, il 10 agosto 2006, hanno fatto erigere un muro d'acciaio di 84 metri di lunghezza per 3 metri d'altezza, sotto la protezione della polizia, per separare la città « per bene » dalla città degradata dagli spacciatori (2). Si badi che, da questo lato della barriera, si trovano solo tunisini e nigeriani.


Contro gli immigrati clandestini che tentano di superare il recinto alto 6 metri che circonda Melilla (città spagnola in Marocco), il 28 settembre 2005, partono degli spari; ne vengono uccisi sei. Un muro di 23 chilometri «protegge» San Diego dall'arrivo dei messicani di Tijuana e prefigura il muro di 3.200 chilometri di cemento che l'amministrazione Bush spera di realizzare fra Stati uniti e Messico, da cui provengono ogni anno 400.000 lavoratori illegali. Stesso scenario fra Botswana e Zimbawe: un «muro» anti-immigrazione, per altro poco efficace. L'Altro qui ha il viso dello straniero, del migrante, di quello che viene a «mangiare il nostro pane» e a destabilizzare la «nostra» società. Gli americani hanno promesso agli iracheni pace e democrazia, ma alimentano soprattutto opposizioni e tensioni. Dividono il territorio per controllarlo meglio, o almeno è ciò che sperano.


E, a Baghdad, costruiscono muri fra i quartieri a maggioranza sciita e i quartieri abitati soprattutto da sunniti. Il risultato non è entusiasmante. Perché? Perché un «tutto» non è mai riducibile alle «parti» che lo costituiscono, va sempre oltre e comprende le parti intermedie, i legami, le combinazioni ibride, le contraddizioni esplicite o sorde, divisioni non riconducibili a quelle geografiche... Il muro esprime l'incomprensione, la separazione, la segregazione. È quindi percepito come una violenza, un ostacolo alla pace, come a Belfast in cui le peacelines tracciano una frontiera impossibile. La pace è sempre il risultato di un accordo, un negoziato che non può essere condotto a distanza.


Ma le realizzazioni più impressionanti, in materia d'urbanistica discriminante, sono quelle israeliane (3). Colonie ebraiche con bastioni e reti di videocamere di sorveglianza che costituiscono un muro virtuale, e l'edificazione di un vero e proprio muro a partire dall'aprile del 2002, chiamato «barriera di sicurezza» (security fence), che in Cisgiordania corre lungo la « linea verde » (la frontiera del 1967). Ebbene, si tratta di una costruzione di cemento, alta tra gli 8 e i 9 metri e dotata di allarme elettronico, spesso raddoppiata da fossati e filo spinato, lontana dalla «linea verde» dai 60 agli 80 metri. È previsto su più di 700 chilometri. Oltre a sabotare le possibilità di pace, la sua presenza destabilizza l'economia locale tagliando in due i campi, i villaggi e i quartieri, interrompendo i flussi abituali di lavoratori palestinesi verso Israele e fra località palestinesi, così come le relazioni familiari.
L'immagine del muro è chiara: la paura dell'altro. Si tratta certo del muro a misura di quartiere o di territorio - non del muretto che cinge il giardino di casa - , del muro che divide, oppone, aggredisce.
Produce una potenza illusoria e ritarda la soluzione dei conflitti, lo scambio di parole, la più elementare urbanità. Il costruttore di muri è un inquinatore dell'umanità! Non immagina nemmeno che il muro, qualsiasi muro, suggerisce la libertà, richiama alla partenza, all'avventura.

 

Thierry Paquot          Le monde diplomatique, ott.06