I miserabili

A Napoli un bambino è morto a sei anni di povertà. Veniva dall’isola di Capo Verde, ma sapeva già
leggere e scrivere in italiano. Era educato, ordinato, molto pignolo, dicono le maestre. Amava il
disegno e sognava di fare l’ingegnere. Si chiamava Elvis, come l’eroe del rock. Lo hanno trovato
per terra, in una stamberga di venti metri quadri, i polmoni intasati dalle esalazioni di un piccolo
braciere. Da quando l’Enel aveva staccato la corrente che alimentava la stufetta elettrica, quel fuoco
improvvisato e velenoso era diventato l’unica fonte di riscaldamento di tutta la famiglia. Non c’era
altro calore, non c’era più cibo. Ed Elvis se n’è andato così, addosso alla madre agonizzante, la testa
appoggiata al ventre da cui era uscito sei anni prima per la sua breve e infelice partecipazione alle
vicende del pianeta Terra.

Mi sento totalmente inutile, come giornalista e come essere umano, perché mi tocca ancora
raccontare storie del genere, nel mio evoluto Paese.
Ci riempiamo la bocca, io per primo, di parole
superflue. Ci appassioniamo ai problemi di minoranze potenti e arroganti. E accanto a noi, in un
silenzio distratto, si consumano le disfatte degli umili e dei mansueti.
Persone come la mamma di
Elvis, che fino all’ultimo ha provato a raggranellare onestamente qualche soldo per la stufetta,
andando in giro a fare le pulizie. Il Bene ieri ha perso di brutto. L’importante è rendersene conto,
non distrarsi, non rassegnarsi, organizzare la riscossa.
Anche per Elvis, che tornerà a trovarci ogni
giorno, sulla faccia di tanti bambini uguali a lui.


Massimo Gramellini    La Stampa  20 ottobre 2009