I mercanti del tempio
Con
l'aiuto di Maria troveremo il coraggio di dire no agli inganni del potere, del
denaro, del piacere, ai guadagni disonesti, alla corruzione e all'ipocrisia,
all'egoismo e alla violenza. Di dire sì al messaggio della Croce e
all'onnipotenza del bene; di estrarre dalle radici cristiane dell'Europa
l'essenza per costruire la civiltà dell'amore e voltare le spalle a quella dello
sfruttamento e della strumentalità. Sono parole di papa Benedetto XVI e a noi,
laici e cattolici, non resta che unirci a lui in questa convinta invocazione. Se
non da Maria, da chi chi dovrebbe venirci un sostegno?
Non dal vicario di Dio, che
mentre con le parole pronuncia questi auspici li smentisce con la pratica.
Da anni e anni e ogni anno peggio dell'anno precedente, nella capitale della
chiesa cattolica e dello stato laico, la pratica del culto dell'Immacolata
assume le sembianze di una sorta di girone dantesco: a imitazione dell'Inferno
degli scialacquatori, dei golosi, dei simoniaci e degli adulatori più che del
Paradiso che Ratzinger cita a esempio della devozione per la Vergine.
Sacro e profano, la via del pontefice e la via dello
shopping, il turismo vaticano e il turismo vacanziero si mescolano indistinti e
indistinguibili fra un ingorgo e l'altro, un'attesa disperata per l'autobus e
una sosta speranzosa al bar, una transenna rispettata e una violata, santificati
dall'omaggio al pontefice dei commercianti di via Condotti e uniti dall'unico
culto che conta davvero, quello della personalità. Il papa per l'occasione, e
tanto meglio se si aggiungono il sindaco di Roma e quello di Parigi, e il
presidente della provincia con la figlia benedetta di nome e di fatto,
a incarnazione del patto di ferro che lega in Italia il governo dei cittadini e
la pastorale delle anime.
Il solo patto stabile, come sappiamo dalle cronache del
Palazzo, che stabilmente governi il paese, da centrodestra o da centrosinistra
non importa, e che stabilmente viola tanto i principi dello stato laico quanto
quelli dell'etica cristiana. Sullo sfondo del culto della Vergine Madre risuona
come un'eco lontana l'impietoso articolato della legge 30 sul problema sociale
dell'infecondità; stona con la celebrazione di qualsivoglia culto la sordità su
cui rimbalzano in tv gli appelli di Piergiorgio Welby dalla sua agonia senza
pietà; contraddice ogni inno alla civiltà dell'amore la ferma e inflessibile
barriera vaticana alla regolarizzazione civile delle unioni sacralizzate da un
sentimento ma non dal matrimonio.
Per ognuno di questi e di altri campi, freddamente detti «eticamente sensibili» ma che caldamente toccano la condizione umana di tanti e tante, la sovrapposizione e la rincorsa fra il potere temporale del Vaticano e il potere politico dello Stato non fa che annodarsi in un ingorgo paralizzato e paralizzante, che erode tanto le basi della cittadinanza quanto quelle della fede. Né Paola Binetti né Anna Serafini avranno la grandezza d'animo di intenderlo, ma in tempi in cui sacro e profano si confondono nel mercato dello shopping natalizio, presidiare le ragioni della laicità sarebbe l'unica strategia lungimirante per presidiare, contemporaneamente e con la stessa forza, anche quelle della religiosità.
Ida Dominijanni il manifesto 9/12/2006