I media ci informano su quanto sta avvenendo diertro il Corriere della Sera. Ma non ci avvertono che una organizzazione internazionale, Freedom House, ha verificato che nel 2005 la libertà di stampa migliora in quasi tutto il mondo, meno in Italia, USA e Russia.

L'Italia si classifica al 77° posto come paese "parzialmente libero" (era al 44° nel 2002).

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Non siamo più un paese libero:

conferme sulla situazione della stampa italiana.

Nel mondo, esistono organismi non governativi indipendenti che si assumono il compito di monitorare molti aspetti e indici della società.  Così come, ad esempio, Amnesty International vigila sui diritti umani, alla situazione e condizione della libertà di stampa in ogni paese della Terra è dedicata l’opera ormai decennale di una organizzazione che prende il nome di Freedom House, che in italiano si può tradurre, con una certa dose di umorismo involontario, Casa della Libertà. E, poichè all’estero la Libertà è una cosa seria, il loro lavoro è da seguire con estrema attenzione. Sul sito di Freedom House (www.freedomhouse.org) è possibile trovare la documentazione completa delle loro indagini, della loro metodologia, dei loro strumenti e riferimenti. Noi riteniamo utile estrarre una sintesi riguardante l’Italia e indicarvi alcune considerazioni significative.

Freedom House divide, secondo un ratig finale, (calcolato su 3 valori: quanto pesano le pressioni politiche, quanto pesano le pressioni istituzionali, quanto quelle economiche?)  i paesi in tre grandi macro categorie:

 Per facilitare una immediata comprensione del quadro generale di libertà, le Nazioni sono elencate in una classifica con al primo posto il paese più libero (e che quindi avrà un grado di oppressione bassissimo), e con all’ultimo posto il paese meno libero (con il rating di oppressione più alto)

Ad esempio, nel rapporto del 2004, (ogni rapporto si riferisce all’anno precendente), su 192 Paesi e territori, risultavano al primo posto Danimarca, Svezia e Islanda, a parimerito con un punteggio di 8.

Chiudevano la classifica Myanmar, Turkmenistan, Cuba e Corea del Nord, con punteggi da 95 a 98 (controllo e oppressione pressochè totale).

I paesi definiti Free erano il 38% del totale. I Partly Free il 25%, e i Not Free il 37%.

Scrive Freedomhouse:

La libertà di stampa a livello mondiale ha subito un sostanziale declino nel 2003…Questo è il secondo anno consecutivo che il livello globale di libertà per i mezzi di informazione declina, soprattutto nelle americhe, nell’europa centrale e orientale, e nell’ex unione sovietica... Nel 2003, persino un paese di lunga tradizione democratica come l’Italia è stata testimone di un declino della libertà dei  media, dimostrando che  le minacce alla libertà di espressione sono diffuse ovunque e possono emergere in qualunque contesto politico.

 Infatti, nel 2003 l’Italia è scesa al 74° posto, passando, con un “rating”(punteggio) di 33, dalla categoria “Paese Libero”, alla categoria “Parzialmente Libero”. Nel 2002, era al 53° posto; nel 2001, prima delle elezioni, prima del governo Berlusconi,  era al 42°. Un crollo verticale, una caduta di ben trentadue posizioni , una discesa verso la perdita di ogni dignità.

 

Un anno dopo, cioè nell’analisi del 2005, le cose vanno diversamente. Se i Paesi Liberi sono aumentati al 46% (+8%) e  quelli Parzialmente Liberi sono il 28% (+3%), i Not Free diminuiscono al 26% (-11%) del totale. Insomma, a livello globale, democrazia e libertà sono in sostanzioso aumento. Ai primi posti,  sempre i Paesi scandinavi (il primato passa stavolta alla Finlandia), e  agli ultimi gli stessi paesi dell’anno precedente. Ma i segnali negativi non mancano: freedomhouse denuncia gravi peggioramenti legislativi e politici in alcune nazioni africane (come il Kenia), nella Russia di Putin, e negli stessi Stati Uniti d’America, e in casi  come l’Italia, che, nel 2004, è scesa ulteriormente, passanto al 77° posto, con un rating di 35, sprofondando sempre più tra i “Parzialmente Liberi”. Una situazione unica nell’Europa Occidentale.

Ecco quanto scrive, a proposito del nostro Paese, il rapporto della organizzazione indipendente (rapporto che viene in questi giorni diffuso e presentato alla opinione pubblica mondiale): 

Molti mezzi di stampa sono di proprietà privata, ma sono spesso collegati a partiti politici o controllati da grandi conglomerati di media che esercitano una qualche influenza editoriale. Nel  dicembre 2004, i giornalisti del quotidiano più venduto ed influente in Italia, il Corriere della Sera, hanno protestato contro l’icremento delle pressioni e delle interferenze nei loro confronti da parte degli azionisti del giornale stesso. Il quotidiano è di proprietà della RCS Mediagroup, nella quale 15 concentrazioni di industrie hanno una quota. La questione della concentrazione della proprietà dei  media è discussa fin dalla elezione, nel 2001, di Silvio Berlusconi (magnate dell’editoria e uomo più ricco di Italia) a Presidente del Consiglio. La stampa cartacea, che consiste di 8 giornali nazionali, due dei quali controllati dalla famiglia Berlusconi, continuano ad offrire differenti opinioni politiche, comprese quelle critiche nei confronti del governo. Ma Berlusconi controlla o addirittura possiede sei dei sette canali televisivi nazionali. Mediaset, una compagnia della quale detiene una quota di controllo, possiede tre canali, mentre la Rai, la TV pubblica, è tradizionalmente soggetta a pressioni e controllo politico… l’Osservatorio di Pavia, un organismo indipendente di monitoraggio dei media, ha reso noto che la presenza in TV di Berlusconi ha occupato il 42% del tempo dedicato ai politici.

È un riassunto della situazione che noi italiani conosciamo fin troppo bene, e che fino ad adesso è però stato tollerato, sopportato, in alcuni casi approvato e vigorosamente voluto da una parte considerevole dei nostri politici e degli elettori. Non rimane che la speranza, nel 2006, che essi prendano coscienza del pericolo, e dell’allarme internazionale sul caso Italia, prima di vederci sprofondare dal 77° agli ultimi, sconfortanti posti della classifica della libertà.

 

articolo originale di www.democrazialegalita.it