I GIORNI DELLA VOLGARITA’

La volgarità. Questo tratto essenziale del nostro tempo. Quella televisiva, che si riverbera nel sociale e quella del sociale che si riflette nella tv. Circolo antivirtuoso per eccellenza. La volgarità che non è la maleducazione, anche se spesso la implica. Come in certi spettacoli di intratte­nimento in cui il linguaggio scurrile va di pari passo con una visione antropologica deteriore. Con la donna solo femmina da ammiccamenti e l'uomo padrone falsamente emancipato. Oppure nei cosiddetti reality in cui le frementi storie d'amore alluse servono solo al dibattito, alla ricostruzione di un gossip strumentalmente libero e liberatorio, in verità fondato sempre sugli stessi archetipi fasulli. E così può trionfare apparentemente la diversità, mentre invece trionfa l'impalcatura artificiosa che sulla diversità stessa gli astuti autori hanno innalzato. E venne Vladimir Luxuria! La volgarità dunque che però sta anche là dove tutto sembra politicamente corretto. Nei telegiornali ad esempio, dove assume il volto di una politica d'inganno, con quelle interviste artatamente tese a ingannare lo spettatore con la retorica oscena della faziosità. Volgarità sintattica, di base. Volgarità nascosta spesso nel perbenismo dell'eloquio infarcito di indignazione alterata. Così si può sentire l'imperatore delle tv, nonché primo ministro, lamentarsi dei troppi canali a lui contrari, che profittano della sua liberalità. Non solo bugia, o mistificazione della realtà, ma appunto vera e propria volgarità, in quanto si appiattisce la parola e la si perverte per fini egoistici.

 volgarità e inganno

E dunque l'essenza della volgarità prende forma: non, appunto come si pensa, cattiva educazione di gesti e linguaggio, ma pervertimento della verità a favore di una verità nuova e surrettizia che deve produrre nuovi adepti, pronti anch'essi, quando sarà il momento, a fare la stessa cosa. Qualcosa che va oltre l'ipocrisia, perché quest'ultima si ferma allo stadio della consapevole menzogna. L'altra, la volgarità, nasce quando l'ipocrisia diviene totale e addirittura modo inconsapevole di vivere e ad esempio i privilegi della politica, ille­galmente procurati, divengono, per chi li ottiene, intangibili ed in qualche modo meritati. La volgarità è inganno. E dunque ora possiamo meglio definirla esattamente come un abbassamento dei cuori e delle menti affinché possano recepire quanto di peggio ci possa essere nel nostro vivere materiale e spirituale: le parole ingannevoli, le immagini squallide e truccate, gli slogan beceri, al dunque una visione del mondo mediocre e appiattita sul nulla dei falsi bisogni. Questo è la volgarità dei sentimenti e dei fatti. Così essa diviene padrona e si riproduce. Qualcosa di cui rischiamo di essere tutti partecipi. Volenti o nolenti. Persino nel lavoro, quando siamo costantemente invitati ad uniformarci all'andazzo dominante, fatto di doppiezza nei comportamenti, di accondiscendenza al padroncino politico che ti favorisce la carriera. Fatto inoltre di silenzio colpevole di fronte appunto ai benefici di carriera che vediamo fiorire e che accettiamo negli altri, aspettando che possano passare anche presso di noi. La volgarità che si potrebbe sconfiggere solo con l'anticonformismo consapevole di chi non accetta le regole di un gioco falsato. Ma sottrarsi al mondo così com'è risulta difficile. Per tutti. Prendiamo ad esempio un eroe moderno degli stadi, un calciatore, magari campione del mondo, e dunque agli onori della cronaca. Potrebbe essere un veicolo in qualche accezione di moralità: sono qui, ce l'ho fatta con i sacrifici e sono consape­vole di essere fortunato e di dovere io qualcosa la mondo. Sarebbe un discorso ineccepibile e facilmente veicolabile nelle menti dei più giovani. Ma la volgarità del mondo, del suo mondo, risucchia lui e chi lo circonda nel vortice della volgarità più ovvia e trita. E così cominciano le evasioni velinare con le fotografie di copertina. E le vacanze stupidamente spese tra slittini d'acqua e performance da discoteca. Che di per sé non avrebbero nulla di male se non che, vissute forzatamente quasi come obbligo da vip acerbo e di provincia, creano piccoli mostri di inadeguatezza e di pressappochismo culturale. E la volgarità ormai dilagante si rafforza e estende i suoi domini. Nulla e nessuno che ricordi all'atleta suddetto che si può giocare, divertirsi, avere successo, fare soldi, senza scadere nei tristi riti della mondanità coatta dei nostri giorni. Pubblicità comprese, con quei muscolosi calciatori, pieni di tatuaggi, che invitano a consumare prodotti che loro neppure sanno cosa siano. Visto che frequentano ben altri ristoranti o supermercati.

 politica della volgarità

La volgarità ha bisogno di testimoni importanti. Anzi di testimonial. Come ben sanno coloro che dalla volgarità stessa assumono potere, prestigio e spesso denaro e che detta volgarità debbono per questo amare moltissimo. Dai politici che possono più facilmente controllare cittadini asserviti ai piccoli riti quotidiani che la volgarità ammannisce. Ai manager che possono sfoggiare pacchianeria e lusso a buon mercato proprio per il fatto che, ove trionfa la volgarità, nessuno potrà mai metterne in discussione il potere, mentre al contrario cresce nei loro confronti ammirazione e spesso persino una sorta di adorazione collettiva, se è vero che personaggi come Briatore sfoggiano soldi e lusso senza produrre mai un senso di rivolta, ma anzi quasi sempre solo voglia di emulazione. Con il che si capisce che la volgarità assume, nel suo progredire, anche un vero e proprio significato politico, visto che, omologando tutti in basso, permette al demagogo di turno di richiamare a sé un popolo di indifferenti al Bello ed al Vero, quindi facilmente manipolabile. Tanto che le battute volgarissime di certi personaggi non possono che essere considerate una variabile tattica di una strategia complessiva. La volgarità esibita e detta viene infatti subito recepita da chi la vede o l'ascolta e mette direttamente in collegamento cuori e menti dei cittadini con il capo carismatico, che appunto possiede il carisma più insidioso e persuasivo, quello che gli permette di volgarizzare uomini e cose. Fatti e idee. Al punto da potersi magari permettere di affermare senza pudore, di fronte ad un fenomeno aberrante come lo stupro, che lo stato non è in grado di mettere a guardia di ogni bella donna un soldato e, così dicendo, veder accrescere addirittura la propria credibilità. Perché un popolo involgarito non sa più distinguere lo stupro da una visione quasi fatalistica in cui, come lascia intendere il demagogo, è solo il desiderio aggressivo degli uomini provocati dalla bellezza a procurare certe conseguenze. Insomma: «siamo maschietti, che cosa ci possiamo fare!». Niente in effetti, si può fare, almeno sino a quando, il popolo stesso, trasformato per ora in volgo, non riuscirà di nuovo a percepire la differenza tra la bellezza e l'orrore, in fondo, come sempre, tra il bene e il male.

Claudio Cagnazzo    su Rocca 04/09