I frutti malati
delle radici cristiane
«Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi
dai rovi?». A questa
metafora contadina usata da Gesù mi capitava di tornare sovente nella recente
stagione in cui
appassionate discussioni ruotavano attorno all’inserimento o meno di un richiamo
alle «radici
cristiane» nella costituzione europea. Ero infatti perplesso di fronte a
tanto zelo mostrato da paladini
di recente arruolamento nelle file della cristianità, i quali però non
apparivano altrettanto solerti nel
cercare modalità per tradurre in comportamenti quotidiani, sia individuali che
collettivi, la linfa che
quelle radici avrebbero dovuto fornire all’albero della società civile europea.
Ora, che nel passato anche recente ci sia stata abbondanza di frutti, di segni
visibili di una identità
cristiana di tanti cittadini, associazioni e istituzioni italiane ed europee è
un dato innegabile. Che si
tratti di monumenti storici, di opere artistiche o di tesori letterari, di
festività e calendari o di usi e
consuetudini familiari, di orientamenti etici o di opzioni politiche, è tutto un
patrimonio culturale
che testimonia come il cristianesimo abbia saputo plasmare - anche nel confronto
con la tradizione
classica e, a volte in modo non sempre pacifico, con l’ebraismo, l’islam, la
filosofia dei Lumi - il
ricco e variegato mondo europeo nel quale oggi viviamo.
Secoli di presenza cristiana e di faticosa, sofferta dialettica con sistemi
religiosi, istituzioni civili,
pensieri filosofici, ideologie politiche diverse hanno sedimentato modi di
pensare e di agire,
sensibilità comuni, sentimenti condivisi. Ci sono addirittura figure di santi o
brani evangelici che
sono diventati paradigmatici anche per chi non condivide la fede cristiana:
basterebbe pensare alle
tante chiesette delle nostre campagne dedicate a san Martino - un santo
«europeo» per le vicende
della sua vita trascorsa tra Pannonia e Gallia - che dona il suo mantello a un
mendicante. E chi non
conosce la celebre scena del giudizio riportata dal Vangelo di Matteo, in cui
viene chiesto conto a
ciascuno di come si è comportato nei confronti di affamati e assetati, di
stranieri, malati e carcerati,
insomma degli ultimi identificati a Cristo stesso?
Il permanere di questo patrimonio di idee e di ideali che hanno saputo tradursi
in azioni concrete e
quotidiane, la solidità di queste «radici» che hanno alimentato piante
rigogliose capaci di dare frutti
mi paiono stridere tragicamente con sentimenti, ragionamenti, disposizioni
amministrative o
legislative che presentano un quadro palesemente in contrasto con un’identità
cristiana proclamata
verbalmente. Si assiste giorno dopo giorno a una progressiva
criminalizzazione del diverso, dello
straniero, del povero e del debole: impronte digitali prese a bambini di
un’etnia minoritaria, classi
speciali che ostacolano quell’integrazione che dicono di voler promuovere,
schedatura di chi vive
senza fissa dimora, allontanamento dei mendicanti dai luoghi dove la loro vista
turberebbe chi non
li degna nemmeno di uno sguardo, ronde private non necessariamente disarmate,
introduzione del
reato di «presenza» in Italia, messa in discussione della gratuità e
universalità delle cure di pronto
soccorso...
Purtroppo l’elenco si allunga ogni giorno, e ogni nuova
proposta discriminatoria suscita
isolate reazioni, in particolare dal Pontificio Consiglio Iustitias et Pax,
subito bollate di «buonismo»
e viene poi digerita e assimilata, in attesa di un boccone ancor più amaro da
trangugiare.
E intanto, grazie a questo clima, le cui dominanti non sono certo cristiane, un
senzatetto viene arso
vivo sulla panchina su cui dormiva, un nero viene picchiato e oltraggiato, un
mendicante viene
assalito e percosso, dei nomadi vengono inseguiti e cacciati... E l’odio,
questo nefasto sentimento
che sta accovacciato nel cuore dell’uomo e che un tempo assumeva connotazioni di
classe
focalizzandosi contro i ricchi, i potenti, gli oppressori, ora è rivolto verso
quelli che sono
semplicemente «altri» e che non si vogliono più vedere accanto a noi.
Ora, nessuno chiede che uno stato moderno trasponga le esigenze del vangelo in
articoli di legge o
in commi del codice civile, ma resta l’interrogativo di quali principi
ispirino i comportamenti non
solo dei singoli, ma delle istituzioni e dei corpi sociali. Quali valori
troviamo oggi nel vissuto
concreto e nella progettualità politica che possano essere ascritti alle «radici
cristiane» di cui a
ragione riteniamo di poterci gloriare? Quali frutti ha dato l’albero che per
secoli abbiamo visto
crescere e ramificare nutrito da quelle radici?
È miope la visione di chi crede di risolvere i problemi dandogli il nome di
reato, è falsante
l’opzione che trasforma il diverso in criminale, è distorta e controproducente
l’identificazione
dell’immigrato con l’invasore, del povero con il disturbatore della quiete,
dell’emarginato con il
sovversivo. No, abbiamo bisogno di un soprassalto di dignità umana prima ancora
che cristiana,
abbiamo urgente necessità di ritrovare in noi e attorno a noi il rispetto per la
dignità di ogni essere
umano, abbiamo un’esigenza vitale di riscoprire come il bisognoso è uno stimolo
e non un intralcio
a una società più giusta. Se continuiamo a confondere la sicurezza con
l’esclusione di ogni
diversità, se continuiamo a nutrire le nostre paure invece che ad affrontarle,
se crediamo di poter
uscire dalle difficoltà non assieme ma contro gli altri, in particolare i più
deboli, ci prepariamo un
futuro di cupa barbarie, ci incamminiamo in un vicolo cieco in cui l’uomo sarà
sempre più lupo
all’uomo.
Forse sta diventando tragicamente vera anche per noi la situazione icasticamente
descritta dal
famoso detto della sapienza indiana che sembra modellato sugli apoftegmi dei
monaci del deserto:
due lupi stanno lottando dentro ciascuno di noi e nella nostra società
contemporanea, uno pieno di
rabbia e rancore, di risentimento nei confronti del diverso, l’altro animato da
compassione e amore
intelligente. Anche questa volta preverrà il lupo che avremo saputo nutrire
meglio nel nostro
quotidiano.
Enzo Bianchi La Stampa 16
novembre 2008