I distinguo del papa
ROSSANA ROSSANDA
È stato grande
l'impatto emotivo dell'immagine di Giovanni Paolo II che prega davanti al Muro
del Pianto dopo duemila anni di gelo fra la chiesa cattolica e gli ebrei.
Benedetto XVI ha compiuto un gesto più sobrio recandosi nella sinagoga di
Colonia e mettendo lui, papa tedesco, il dito sulla colpa tedesca, che è la più
grande compiuta nella storia di quel popolo. E non l'ha chiamata shoah o
olocausto, perché la parola ha un senso sacrificale che in qualche modo
trascende quell'orrore. Si è però soffermato su due punti bizzarri. Il primo è
sul «mistero del male», che sembra cadere assai poco a proposito della niente
affatto oscura scelta delle leggi razziali, delle tesi di Rosenberg, delle
deportazioni e infine della soluzione finale nella folle espansione del Terzo
Reich. Ma è il secondo punto che colpisce di più. Karol Wojtyla ebbe a dire che
le colpe dell'antigiudaismo erano state di molti cristiani ma non della chiesa.
Joseph Ratzinger ne ha spostato ogni responsabilità a un neopaganesimo moderno
spuntato nel secolo scorso in Germania. Amos Luzzatto, rispondendo alla nostra
Iaia Vantaggiato su il
manifesto di ieri, ha
obiettato: come è possibile che duemila anni di cristianesimo non abbiano
impedito questa risorgenza pagana? Non so se intendesse dire quel che molti di
noi pensano, e cioè che le tesi naziste non abbiano molto a che fare con il mito
di Odino, o altre e più misteriose origini teutoniche, per non dire con
Nietzsche e col pensiero negativo. Che una mente teorica come Heiddegger non
abbia trovato una parola di scandalo dirà pur qualcosa. Il fatto è che le leggi
razziali, le deportazioni e lo sterminio cadevano su un humus di consenso, che
forse non ne avrebbe approvato le conseguenze estreme, ma senza il quale non
avrebbero potuto darsi neanche nei più folli esponenti del partito nazista né
nei moltissimi che ne hanno eseguito gli ordini.
Questo humus viene dal senso comune antigiudaico che
è stato seminato per quasi venti secoli dal cristianesimo. Esso è stato profondo
fin dall'inizio e ha portato nella storia a persecuzioni che giustamente
ricordava Agostino Paravicini Bagliani su Repubblica di ieri. Non è stato
l'eccezione ma la regola della chiesa di Roma e di quelle protestanti. Anche se
è romana la responsabilità di aver incoronato ed esortato i potenti persecutori
degli ebrei dei secoli scorsi in tutta Europa.
Ma qual è la base su cui si fonda l'antigiudaismo? È
l'aver messo a morte il figlio di Dio. Accusa che è inscritta nei primissimi
testi. Poche differenze hanno fra loro i vangeli di Marco, Matteo e Luca sulla
furiosa determinazione del sinedrio e del popolo ebraico nel chiedere che Gesù
sia messo a morte.
Vi insiste anche il vangelo
teologicamente più profondo, quello di Giovanni. Pilato, che rappresenta Roma,
avrebbe salvato l'ebreo di Galilea non vedendo «alcuna colpa in quel giusto» e
agli ebrei ha proposto di scambiarlo con Barabba. Ma sinedrio e folla urlano
«sia crocifisso!» e aggiungono, secondo Matteo, una frase terribile, «che il suo
sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Ora perché non liberarsi da questa
eredità del canone? I vangeli raccolgono abbastanza tardivamente una storia
orale delle prime comunità cristiane, sulla quale c'è una assai modesta
documentazione storica - non parliamo dei pensieri che avrebbero attraversato la
mente di Pilato ma della assai dubbia esistenza di Barabba. Mentre non sono
amplissimi ma sufficienti quelli relativi all'esistenza e alla messa a morte del
Cristo.
Eppure tutto l'antigiudaismo e le sue forsennate
conseguenze poggiano sulla descrizione degli eventi precedenti alla passione.
Joseph Ratzinger lo sa certamente più di me. Ora il
problema che la riconciliazione con gli ebrei apre - e avrebbe dovuto essere
aperto da molti secoli, anche senza lo sterminio nazista - è quello della
storicità, e quindi caducità anche di parte, dei primissimi testi cristiani.
Che cosa impedisce alla chiesa romana di affermare
che l'accusa agli ebrei da parte dei vangeli o degli Atti degli apostoli è
comprensibile ma datata, spiegabile con l'angoscia e la collera di un movimento
che si separa dall'imponente tradizione del popolo eletto?
E che è l'ora di separarla con la scure della storia
da una rivelazione?
Il Vaticano preferisce battersi il petto piuttosto
che aprirsi a una ricerca libera sulle origini dei suoi testi. Questo avviene
anche in gran parte dell'ebraismo. Ma nessuna riconciliazione avrà luogo finché
ogni religione terrà più alla lettera che allo spirito del suo Libro.
il manifesto 22/08/05