I
critici di Fini ignorano la Storia
Ho trovato abbastanza spudorate le polemiche contro Gianfranco Fini per la
chiamata di correo, limpida e coraggiosa, da lui avanzata in occasione del 70°
anniversario delle leggi razziali che, come ha ricordato il presidente della
Camera, se bollarono di ignominia il regime fascista, non assolsero certamente
il silenzio della stragrande maggioranza dell´opinione pubblica, né tanto meno
della Chiesa cattolica. Torno sull´argomento perché una rassegna stampa
conclusiva mi ha indotto a riflettere sugli automatismi di certe prese di
posizione, spiegabili in base ai calcoli politici attuali ma non certo
preoccupate dalla verifica della realtà storica.
Quanto al primo aspetto, è pur vero che molti italiani non nutrivano particolari
antipatie per gli ebrei e individualmente lo manifestarono. Resta, però,
l´assenza di ogni dissonanza collettiva, mentre fu evidente la caccia ai posti
lasciati liberi dagli ebrei nelle università, nelle scuole, negli ospedali,
nell´amministrazione pubblica, nell´esercito, nelle accademie, nei giornali,
negli istituti di cultura, nelle assicurazioni, nelle banche, negli studi
professionali, nelle case editrici a cui nessuno dei prescelti si sottrasse.
Quanto all´atteggiamento della Chiesa torno a premettere che il comportamento di
tanti presuli e di semplici sacerdoti, dal 1938 fino al ´43-´45, fornì la prova
che cominciava a prevalere lo spirito di solidarietà sull´intolleranza dei
secolari anatemi contro i «perfidi giudei». Di questa svolta conservo qualche
personale memoria. Ciò non cancella il valore della dichiarazione, ricordata da
Luigi Accattoli sul Corriere, che il segretario della Cei per l´ecumenismo,
l´arcivescovo Giuseppe Chiaretti, rivolse dieci anni orsono alla Comunità
ebraica, rievocando «la pagina oscura della storia religiosa durante la
quale la comunità ecclesiale, anche per lunga acritica coltivazione di
«interpretazioni erronee e ingiuste della Scrittura» (Giovanni Paolo II), non
seppe esprimere energie capaci di denunciare e contrastare con la necessaria
forza e tempestività l´iniquità che vi colpiva».
Per parte
mia voglio citare in proposito un testo di accertata obiettività dello storico
cattolico, Renato Moro, su "La Chiesa e lo sterminio degli ebrei" (Il Mulino
2002) in cui ricostruisce, tra l´altro, i contrasti che divisero la Curia al
momento delle leggi razziali, tanto che un´allocuzione di Pio XI a un gruppo di
pellegrini belgi in cui papa Ratti affermava verbalmente: «L´antisemitismo è
inammissibile. Noi siamo spiritualmente dei semiti», non venne pubblicata
dall´Osservatore Romano, mentre, al contempo, la diplomazia vaticana, diretta
dal cardinal Pacelli, siglava un accordo col regime in base al quale, preso atto
che nei confronti degli ebrei il governo italiano intendeva applicare «onesti
criteri discriminatori», si manifestava la opportunità che la stampa cattolica,
i predicatori, i conferenzieri e via dicendo si astenessero «dal trattare in
pubblico questo argomento». Il papa, tuttavia, non parve fermarsi e il professor
Moro analizza la complessa vicenda della preparazione dell´enciclica Humani
Generis Unitas rivolta alla condanna del nazismo e dell´antisemitismo razziale.
Il testo venne completato, tradotto in latino e consegnato, perché lo
sottoponesse al pontefice, al generale dei Gesuiti, padre Lédochowski, ma questi
assunse una linea dilatoria, convinto che il pericolo vero per il cattolicesimo
fosse il comunismo e non Hitler e che occorresse evitare l´acuirsi di eventuali
dissidi tra la Chiesa e le potenze dell´Asse.
Il Papa fece allora inviare dal sostituto della Segreteria di Stato, monsignor
Tardini, una dura nota al generale dei Gesuiti e questi dovette cedere.
L´Enciclica giunse in Vaticano il 21 gennaio e il papa prese ad esaminarla nei
giorni successivi. Troppo tardi. Il documento fu trovato sul suo tavolo al
momento della morte, nella notte tra il 9 e il 10 febbraio del 1939. A Pio XI
successe il cardinale Pacelli, accolto da molte speranze che andarono presto
deluse. Pio XII, infatti, reputò dannoso, alla vigilia di un conflitto ormai
certo, il "rigore" dell´enciclica del suo predecessore e la fece archiviare.
Inviò, invece, una lettera a Hitler in cui gli esprimeva la speranza in rapporti
migliori fra le due parti. Uno dei primi atti del pontificato fu poi la
riconciliazione con l´Action Francaise, movimento cattolico dell´estrema destra
antiebraica francese, condannato da papa Ratti. Una erronea e catastrofica
visione diplomatica prevalse in quell´epoca sull´afflato ecumenico che il mondo
attendeva. Come dar torto a Fini?
Mario Pirani Repubblica 29.12.08