I CRISTIANI DI FRONTE ALL'IMPERO

 

Noi siamo spesso come quei dodici esploratori mandati da Mosé in terra di Canaan di cui porla il Libro dei Numeri: essi videro la possibilità di raccogliere i frutti meravigliosi della Terra promessa, ma per paura mentirono a se stessi e al popolo dicendo di avere visto “uomini della razza dei giganti, di fronte ai quali ci sembrava di essere come locuste e così dovevamo sembrare a loro”. Oggi noi, la massima parte di noi, abbiamo paura dell’impero, quasi fossimo davvero locuste di fronte a giganti: la nostra paura di essere schiacciati prevale sulla vergogna del tradimento della nostra dignità, quando sentiamo che dovremmo ribellarci. Quel potere ci appare tanto più temibile in quanto proclama, con l’unica brutale ideologia che infetta ancora la Terra, quella del Mercato, di essere l’unica forza razionale, dispensa i sorrisi del buonsenso e schiera i suoi intellettuali a garantire che gli obiettori del sistema sono tutti pazzi o fanatici. Cadiamo troppo facilmente in questa trappola, timorosi del nostro buon nome, evitando di domandarci se, a questo modo, non rinunziamo alla nostra identità profonda. Scrisse una volta Emmanuel Mounier che Giasone e i suoi fratelli (cristiani legati da vincoli di parentela con Paolo) furono portati davanti ai magistrati con l’accusa di “mettere sottosopra il mondo”. Ma i cristiani di oggi, aggiungeva Mounier, preferiscono essere brave donne e uomini d’ordine, temere ogni avventura, guardare il cielo o torcere lo sguardo dal volto del fratello sofferente.

E, invece, è qui, nella sofferenza dei fratelli oppressi dalle ingiustizie e dal dolore, che si situa l’unica possibile etica del provvisorio. E’ l’altra, il suo volto, la sua storia passata e presente, inevitabilmente e inestricabilmente intersecata alla nostra, che ci forniscono l’unica etica possibile in un tempo che rende ambigue tutte le altre risposte. L’unica etica che può nascere in noi e spingerci a dare una risposta antitetica a quella di Caino è la necessità interiore di correre in aiuto di coloro che stanno spasimando - e di farlo subito [...] Guardando il fratello che soffre e identificando le forze che lo schiacciano, vedendo come queste forze sono presenti anche fra noi e chiedono lo nostra correità, diventa impossibile servire innocentemente due padroni: la fede cristiana e insieme le forze distruttive dell’uomo e della sua dignità; la carità e insieme il sistema dell’ingiustizia; il vangelo che predica una società di condivisione e insieme i partiti politici che parlano il linguaggio del capitalismo del ricco come paradigma di nobiltà e saggezza e del razzismo che considera i poveri come una lebbra; la celebrazione del Giubileo piantato come un cuneo alle radici della mala pianta della ricchezza che ingigantisce, e insieme i meeting che acclamano il protagonista nostrano di questa incessante avidità; l’urgenza di chi agonizza e insieme la prudenza profana del moderatismo.

Servire l’uno o l’altro dei due padroni è inevitabile. Difficile è scegliere. Uno, il sistema della violenza, ci promette profitti e di­fesa dello nostra incolumità e della nostra agiatezza; l’altro - l’etica del volto del fratello, della necessità e urgenza della libera­zione del fratello - ci offre inquietudini, austerità, ispirazioni antitetiche al consumismo: ma anche la possibilità di vivere in un contesto d’amore, di trovare nuovi amici solidali, di incontrare culture che ci arricchiscono dentro, e dunque di scoprire il senso della vita: di scoprire che la liberazione del fratello è la nostra stessa liberazione dalla solitudine dell’egoismo, dell’avarizia, della paura. (…)

Quella della liberazione del fratello - e nostra - è un’etica della comunità, perché la speranza oggi non è possibile nella solitudi­ne narcisistica dello scetticismo, del pessimismo, del vizio solita­rio della richiesta di garanzie. E’ un’etica dell’attenzione perché è capace di cogliere nello sguardo del fratello, nella sua parola e anche nel suo silenzio (poiché vi sono poveri così mutilati dai potenti da non avere più parole - o forza per pronunciarle), di cogliere nelle tragedie umane (che non sono astrazioni me per­sone) non soltanto l’apparentemente caotica presenza del male (le malattie, l’incapacità d’amare, la morte) ma anche il male eretto o sistema. E’ un’etica, allora, che si spaventa, che piange, che ansima di paure, ma che riesce a non cedere alla tentazione della fuga, alla tentazione della disperazione, perché compren­de che la fuga è impossibile e la disperazione si trasforma in diserzione. E’ un’etica della creatività perché le forze dell’impero sono talmente imponenti che non lasciano spazio a uno scontro frontale e quindi occorre ribellarsi con testarda capacità di nuovi collegamenti, di nuove strategie, di sempre nuova inventiva; è un’etica, dunque, in cui i poeti e gli psicologi, i bambini e i santi sono importanti quanto quei politici e quegli economisti che si rifiutano di considerare il capitalismo come una teologia dogmatica. E’ un’etica che fa memoria dei martiri, quelli cristiani e quelli di tante altre fedi, religiose e laiche; di quelli che non ebbero paura e di quelli che tremando continuarono il cammino; di quelli e quelle che gridarono forte i loro ideali e di quelli che testimoniarono non con le parole ma con la morte. (…)

Lasciatemi domandare: perché tanto masochismo fra noi, nel negare, almeno seppellendolo nel silenzio, il valore di certe conquiste e di certe iniziative popolari, ricordandone soltanto le sconfitte? Perché tanto odio o disprezzo, per il “poco”? Sono decine di migliaia i prigionieri politici strappati alle camere di tortura e persino alla morte dalle firme di migliaia di cittadini di tutto il mondo, in calce agli appelli di Amnesty International, della Rete Radié Resch, di agenzie missionarie etc. Una firma - pensate: soltanto una firma! - il nostro nome o cognome, in calce a un decreto di salvezza... Tra il “poco” e il niente c’è un abisso: il niente ci chiude nella gabbia della passività, per orgoglio o per disperazione; il “poco” è il primo passo verso la comprensione delle nostre responsabi­lità planetarie,verso la nascita di quell’homo ineditus, profetato da Ernesto Balducci: l’uomo nuovo capace, per amore, di trovare in sé energie mai sospettate nel passato.

Ho finito. Mi rimane soltanto da dire a me stesso ed a voi due ultime, brevissime cose, che mi sembrano straordinariamente importanti. La prima: l’etica che nostro fratello, nostra sorella, i bambini sollecitano in noi è un’etica il cui primo comandamento è: ricordati che la giustizia NON è il coronamento della carità; è vero il contrario, la giustizia è la misura MINIMA della carità. Troppi peccati sono stati commessi da noi cristiani, anche per responsabilità di tanti pastori, rendendo virtuosa l’elemosina e riducendo la giustizia a un’utopia da realizzare chissà quando. I popoli che gridano al cospetto del Signore vogliono giustizia e non elemosina, cosi come Egli ci chiede giustizia e non sacrifici. Non prendere parte alle lotte per la giustizia, non è soltanto pigrizia o viltà: è anche, io lo credo fermamente, un comportamento eretico.

La seconda cosa è che l’elica della fraternità è etica di conversione quotidiana e dunque terribilmente difficile; ma è anche (ce lo mostrano i protagonisti del nostro tempo) un’avventura luminosa. Se davvero decidiamo di diventarne gli apprendisti e rinnovia­mo, dopo ogni sconfitta, la nostra decisione, nessuna realtà potrà estirpare quell’etica dal nostro cuore. In mezzo agli orrori di un lager nazista, Etty Hillesum scriveva: “Vorrei tanto poter trasmettere ai tempi futuri tutta l’umanità che conservo in me stessa, malgrado le mie esperienze quotidiane. Un unico modo che abbiamo di preparare questi tempi nuovi è di prepararli sin d’ora in noi stessi”.

  

Ettore Masina        da" L'airone di Orbetello", libro (16 Euro, 268 pagine) edito da Rubettino.

" Penso che molti, moltissimi, di noi siano come l'airone di Orbetello, condannati a una sterile solitudine dalla incapacità di capire che a una distanza relativamente breve (...) è possibile trovare fratelli e sorelle e speranze che ai bordi delle nostre depressioni abbiamo dimenticato"! "