I cattolici
disobbediscono ancora?
I cattolici e la sinistra non sono un ossimoro. I cattolici c'erano anche
durante il '68, erano insieme a noi.
Quei cattolici che alimentavano il movimento non lo erano "a dispetto" della
loro fede, ma al contrario era
proprio la loro autenticità di fede a condurli su posizioni rivoluzionarie.
Ma non si tratta solo di
scelte singole. Nella sua storia millenaria, la Chiesa cattolica ha ospitato,
nelle sue file e nelle sue
articolazioni, un bisogno di "ritorno alle origini", alla parola di Gesù
di Nazareth, alla lezione profonda del
Vangelo, agli ideali di carità, povertà e pacifismo, alla fede autentica e ai
valori che avevano ispirato
"il cristianesimo nel suo stato nascente". Prima di farsi potenza politica
e temporale improntata ad un
autoritarismo pressoché assoluto, prima di diventare la struttura che garantiva
l'ordine sociale e
nutriva una burocrazia spesso tanto ricca quanto cinica, la Chiesa di Cristo era
stata, in effetti, una
forza di opposizione radicale all'esistente, contro il mondo pagano che
si voleva abbattere. Un
passaggio fondamentale per capire la Chiesa che ha saputo disobbedire, che ha
saputo diventare Don
Milani, è il Concilio Vaticano II, da cui -tra le altre conseguenze -viene la
spinta che porterà in America
Latina alla nascita della Teologia della Liberazione. In Italia, la
disubbidienza cattolica investe
l'Università, il territorio, l'ecclesia stessa. Contamina, in profondità,
l'intero mondo associativo e
sindacale.
Università di Pisa, '68: nel pieno di un'assemblea, una delle "leader" del
movimento se ne esce con la
seguente affermazione: «Perché, certo, compagni, quando ci sarà il comunismo,
tutti i morti
resusciteranno e ne godranno. Soprattutto quelli che più hanno sofferto per
fame, ingiustizia e
oppressione. Se così non fosse, sarebbe un comunismo del tutto ingiusto nei
confronti delle generazioni
passate. E che comunismo sarebbe quello che riserva una società giusta solo agli
ultimi arrivati? Quelli
che hanno finalmente vinto?». Quella sortita teologico-politica suscitò, tra i
banchi, grandi scoppi di ilarità. Io
invece realizzai che Carla Melazzini, la bionda valtellinese che coniugava a
perfezione austerità e fuoco
rivoluzionario, era cattolica. Non di origine o formazione, ma cattolica
praticante. E come lei erano cristiani
ferventi moltissimi studenti in fermento, come quel Rocco Pompeo che,
schiaffeggiato davanti all'aula da
un barone di nome e di fatto, gli aveva subito porto l'altra guancia (ciò che
gli valse, per l'epoca, uno
straordinario successo mediatico). Come quell'altro giovane capopopolo che
interrompeva le lezioni di
Fisica teorica per leggere interi brani della Lettera a una professoressa, uno
dei nostri testi cult dell'epoca.
Insomma, chi 'credeva, scioccamente, nella coincidenza di "spirito
rivoluzionario" e ateismo, dovette
riporre in tutta fretta nel cassetto l'inveterato pregiudizio: la
rivoluzione era una cosa, la laicità era tutt'altra
cosa. Quei cattolici che alimentavano il movimento, in effetti, non
lo erano "a dispetto" della loro fede, ma al
contrario era proprio la loro autenticità di fede a condurli su posizioni
rivoluzionarie. E per il resto,
antropologicamente parlando, erano identici a noi: avevano gli stessi problemi
con la famiglia, la sessualità, le
lezioni universitarie,avevanola stessa ansia antiautoritaria, lostessobisogno"assoluto"digiustizia
e di
cambiamento del mondo, la stessa fede nella "giusta" violenza delle masse. E
stavano, come noi, dalla parte degli
ultimi senza se e senza ma, in un'epoca in cui gli "ultimi" si chiamavano classe
operaia. In più, portavano dentro
di loro il fuoco del Concilio: la più straordinaria mutazione della Chiesa e
delle sue secolari strutture. Mentre
noi, le nostre istituzioni -a cominciare dai partiti storici della sinistra -
riuscivamo a malapena a
scalfirle.
Del resto, nelle terre toscane non avevamo giù conosciuto, ben prima che il '68
esplodesse, un sacerdote
che affascinava tutti, popolo e intellettuali, vecchi e giovani? Si chiamava
(padre) Ernesto Balducci, viveva,
appartato, ovvero in esilio, nella Badia fiesolana, e nel 1958 aveva fondato una
rivista d'avanguardia,
"Testimonianze". Ma spesso -per esempio in un famoso quartiere della rossa
Livorno, la Corea -si
confrontava con i comunisti in dibattiti che attiravano migliaia di persone.
Spesso, in questi incontri, si
misurava con Nicola Badaloni, un grande professore comunista che era stato anche
sindaco della città: e lo
"scavalcava" regolarmente a sinistra, come raccontava divertito lo stesso
Badaloni, al quale
l'appartenenza al Pci imponeva un eloquio più prudente ed un pensiero politico
più misurato. Già, ma perché
Balducci era in grado di disubbidire, come fece per tutta la sua vita, alle
autorità ecclesiastiche, e gli intellettuali
comunisti non disubbidivano quasi mai al Partito? Qui, forse,sta il sale
di quel sommo vimento che,perquasi
dieci anni, in Italia, è andato sotto il nome di “dissenso cattolico”: la
disubbidienza.
Alle radici del "ritorno all'origine"
Nella sua storia millenaria, la Chiesa cattolica ha costantemente ospitato,
nelle sue file e nelle sue
articolazioni, un bisogno, chiamiamola così, di "ritorno alle origini" -
alla parola di Gesù di
Nazareth, alla lezione profonda del Vangelo, agli ideali di carità, povertà e
pacifismo, alla fede autentica e ai
valori che avevano ispirato il cristianesimo nel suo stato nascente. Prima di
farsi potenza politica e temporale
improntata ad un autoritarismo presso ché assoluto,primadi diventare la s
struttura che garantiva l 'ordine sociale e
nutriva una burocrazia spesso tanto ricca quanto cinica, la Chiesa di Cristo era
stata, in effetti, una forza di
opposizione radicale all'esistente -contro il mondo pagano che si voleva
abbattere. Quanti cristiani erano
morti per aver "disubbidito" all'autorità imperiale? Quanti erano diventati
martiri per il loro rifiuto di
diventare guerrieri dell'esercito di Roma? Forse, chissà, in una parte
profonda dell'istituzione che via via si
faceva Stato, nominava i regnanti o li scomunicava, indiceva le crociate contro
gli infedeli, controllava in toto la
cultura e il sapere, si corrompeva profondamente nei costumi e nello "stile di
vita", questo bisogno di
riconquistare la "purezza", e la carica spirituale, della nascita, non è mai
venuta del tutto meno: infatti, la
storia del cristianesimo è una storia ritmata da eresie, scismi, Riforme. Da
Francesco d'Assisi a Martin Lutero.
Da Teilhard de Chardin a Maritain. Ma è anche (e ovviamente soprattutto)
unastoria d ipotere, tenace
conservatorismo,elefantiasi burocratica, progressivo inaridimento culturale.
Così, man mano che ci si inoltra nel '900, la difficoltà di far fronte al
"moderno" produce, quasi dovunque,
ma specialmente in Italia (e in Spagna), la tendenza dell'istituzione a
veri e propri "patti di potere" con i
governi (di destra o fascisti). Pur di sopravvivere, la Chiesa si fa
regime, e nel farsi regime si chiude a
riccio nei confronti di ogni istanza di rinnovamento. In Italia, nell'Italia del
postfascismo e del dopo-Concordato, la
Chiesa si fa bastione dell'anticomunismo e della "democristianità". Ma quando
non sembra più esserci spazio
per una scelta diversa, accade qualcosa di radicalmente inatteso: «venne un uomo
chiamato Giovanni». Il
formidabile Papa, eletto dal Conclave come compromesso al ribasso e modesta
figura di transizione, che nel
1962 indice il Concilio Vaticano II, contro l'opinione (e la
battaglia) di quasi tutta la Curia romana. Il Concilio,
tra mille fatiche e molti esiti prudenti, è una vera rivoluzione democratica.
Non solo perché scompare la Messa
in latino, ma perché, di nuovo, dopo secoli, la comunità dei fedeli
ridiventa protagonista attiva della vita
ecclesiale e della pratica cristiana. Perché, di nuovo, la fede
riconquista il primato sulla religione, il fariseismo
dei riti, l'ipocrisia dell'ordine, il dovere sovraordinatore della disciplina e
dell'ubbidienza. E i valori della
fede cristiana tornano ad essere quelli della testimonianza - contro le
ingiustizie, l'oppressione, la
povertà.
Il Concilio è la manifestazione più grande del bisogno mai del tutto rimosso di
"tornare alle origini".
Dentro di esso, come è ovvio, convivono tendenze radicali e moderatismi, fino ad
alcune scelte di PaoloVI,
che pure contribuì al compiersi della rivoluzione conciliare in termini
determinanti. Ma, quel che più conta, esso si
trasforma in una temperie che scuote la Chiesa fin nelle sue fondamenta, e
percorre l'intero Paese -dalle
parrocchie ai templi della cultura religiosa, come le Università cattoliche.
Un'onda d'urto, che dispiega i suoi
effetti in dimensioni (e in "quantità") diverse e variabili, ma che però lascia
un segno indelebile sulla storia del
decennio 1968-1978
Gli anni della disubbidienza
Per la verità, fin dagli anni '50, il mondo cattolico aveva espresso figure
abbastanza eccezionali nel
loro anelito di rinnovamento e nella loro pratica quasi eretica. Dicevamo di
padre Ernesto Balducci,
la cui ricerca teorica, a partire dal pacifismo, che culminerà nelle arditezze
dell'"Uomo planetario". Ma
si deve dire di don Primo Mazzolari, il prete lombardo protagonista della
Resistenza partigiana e di una
opzione nonviolenta (Tu non ucciderai, 1955) che lo porta ad affermare
-tra i primi, almeno in Italia - che
non esistono guerre "giuste". E di don Danilo Cubattoli, un altro prete
fiorentino che passò la vita ad
occuparsi dei carcerati, e a collaborare con i maggiori registi italiani, da
Fellini a Benigni. E di quella figura
immensa che fu don Lorenzo Milani, con la sua battaglia contro i
cappellani militari (L'obbedienza non è
più una virtù) e la scuola di Barbiana, un sacerdote, anch'egli fiorentino,
che veniva da famiglia
intellettuale e borghese, laica, si convertì in età adulta, e morì proprio
mentre il Sessantotto cominciava. La
solitudine in cui queste ed altre figure vissero (al di là dei riflessi politici
rintracciabili in Giorgio La
Pira, sindaco di Firenze per otto anni, o al di là di quella singolarissima
personalità che era stato Giuseppe
Dossetti, fuggito quasi subito, negli anni 50, dal mondo e dalla politica) si
ruppe quasi di colpo, di fronte
all'insorgere di un movimento "eversivo" di carattere mondiale.
Tre eventi, in particolare, sono destinati ad assumere un'importanza storica. Il
primo è un appello firmato
da duecento teologi, pubblicato il 31 luglio 1968 nientemeno che sul New York
Times, che invita i cattolici a
disubbidire all'enciclica Humane vitae, emanata da Paolo VI, ennesima
condanna contro contraccezione e
aborto. Una cosa che «non si era mai visto, nella lunga e pur tormentata storia
della Chiesa», come
annoterà poi lo storico (non progressista) Massimo Introvigne: la negazione
dell'autorità del Pontefice e
l'affermazione, nel caso specifico, della sua "fallibilità". Il secondo evento è
una specie di scisma che avviene in
Olanda e, sostanzialmente, stacca l'intero episcopato dei Paesi Bassi,
capeggiato dal vescovo di Utrecht, Alfrink,
dalla Chiesa di Roma su tutte le questioni, si direbbe oggi, "eticamente
sensibili", dall'aborto all'eutanasia
all'omosessualità, il "Nuovo catechismo olandese" rivendica il suo
diritto a un magistero opposto a
quello ufficiale. Il terzo evento è la nascita, nel continente latino-americano,
della teologia della liberazione,
termine che si deve al peruviano Gustavo Gutiérrez Merino e che ha in Leonardo
Boff forse la sua "testa
pensante". Non c'è traccia di istanze pacifiste, in questa corrente (per altro
nient'affatto monolitica), c'è anzi a tratti
larghi un'idea salvifica della violenza, della guerriglia, della rivolta:
padre Camilo Torres, il prete
combattente, ne diventerà l'icona più nota. Ma c'è sempre, protagonista,
la Chiesa dei poveri, degli
ultimi, degli oppressi, e il richiamo a Gesù Cristo come primo profeta della
lotta di classe e del
socialismo.
Il movimento italiano
In Italia, la disubbidienza cattolica investe l'Università (l'occupazione
reiterata della Cattolica di
Milano, uno dei primi atenei in rivolta, che culmina negli scontri di Largo
Gemelli), il territorio (la comunità
dell'Isolotto di don Mazzi, con il conflitto con il cardinale Florit e la
straordinaria sequenza delle messe in
piazza, che ispirerà la nascita, in tutto il Paese delle "Comunità cristiane di
base"), l'ecclesia stessa
(l'occupazione del Duomo di Parma). Ma contamina, in profondità, l'intero mondo
associativo e sindacale
che, fino a pochissimi anni prima, costituiva quasi un perfetto instrumentum
regni della tradizione: e escono
rivoluzionate, tra le altre, le Acli (il convegno di Vallombrosa e la scelta
socialista) e la Fim-Cisl (il
sindacato metalmeccanico che più di tutti sosterrà i consigli e la democrazia
diretta operaia), due grandi
serbatoi della militanza cattolica legata al mondo del lavoro, che in quegli
anni compiono una netta "scelta
di campo" a sinistra (e a sinistra del Pci), mentre un'inquietudine non
occasionale pervade anche
strutture come la Fuci, l'Azione cattolica, l'associazione dei laureati
cattolici, la studentesca Intesa. Tre i
dimissionari (o "dimissionati") eccellenti: il cardinale Giacomo Lercaro,
vescovo di Bologna, dalla guida
della diocesi, il saggista Raniero La Valle, che lascia la direzione
dell'Avvenire, don Giovanni Franzoni,
abate di San Paolo, ridotto allo stato laicale. Ma la proliferazione di giornali
e riviste del dissenso, da Nord a
Sud, resta incredibile: da "Note di cultura" al "Tetto" e decine
di altre testate di lotta e di ricerca! Sarà un caso
che l'unico quotidiano che segue con una certa simpatia il '68, e comunque senza
la demonizzazione
criminalizzante di tutti i grandi e medi giornali, sia il Giorno,
un'altra testata cattolica fondata dal cattolico
Enrico Mattei? Sarà un caso che, nella vittoria nel referendum del 12 maggio
1974, sul divorzio, risultò
determinante la scelta dei "Cattolici per il No"? Furono centinaia i
comitati che sorsero in tutta Italia, gli
appelli sottoscritti, le manifestazioni dei cattolici che non accettavano il
diktat dei vescovi, e nel mio
ricordo sostennero le ragioni del No in termini più convinti di molti esponenti
del Pci.
Negli anni successivi, i cattolici del dissenso continuarono ad operare, come
un'onda lunga ma più
sotterranea, nel volontariato, nella Caritas, nei boy scout o in
esperienze speciali come il "Centro per un
nuovo modello di sviluppo", animato da Francuccio Gesualdi,
allievo di don Milani, che inventa il
consumo critico e il boicottaggio - in Italia - delle multinazionali. Poi,
seguiranno anch'essi il più
generale riflusso dei movimenti. Ma sarà un caso che, nella breve ma intensa
stagione del movimento no
global, sono ancora loro, i cattolici consiliari come Riccardo Petrella o i
sacerdoti pacifisti come don
Albino Bizzotto, a dire parole nuove?
Post scriptum
Per una di quelle coincidenze che fanno venire i brividi, quando ho finito di
scrivere questo articolo ho
appreso la triste notizia della morte di Carla Melazzini, che ricordo proprio
all'inizio di questa
ricostruzione. Negli anni post-68 e post-Lotta continua, Carla si era trasferita
a Napoli, dove, col suo compagno
Cesare Moreno,per dieci anni aveva animato l'esperienza dei "maestri di
strada". Era una persona speciale,la
Melazzini. Di quelle che ti rimangono dentro.
Rina Gagliardi in “Altri” n. 2 del 24
dicembre 2009
«Ma il vangelo
detesta il potere»
intervista a Pierre Carniti a cura di Nanni Riccobono
Pierre Carniti, storico segretario della Fim dal 1970 e poi nel '77, segretario
generale aggiunto della
Cisl, accanto a Macario, è stato un protagonista della politica italiana nella
sua stagione più intensa
e significativa. Pur avendo fondato con Ermanno Gorrieri il Movimento dei
Cristiano Sociali dopo
l'esperienza di Riformismo e Solidarietà, e pur essendo dunque legittimo
titolare dell'appellativo di
"catto-socialista", non vuole parlare dei cattolici di base e di che fine hanno
fatto, o delle loro
prospettive in una situazione istituzionale così profondamente mutata . Né
intende raccontarci le
influenze che ebbe sulla politica il cattolicesimo post conciliare. «Non sono
esperto in questa
materia», dice. «Rivolgetevi ad altri».
Ma lei è stato un protagonista della politica di quegli anni, come dirigente
sindacale legato al
mondo del cattolicesimo di base, ha lavorato su terreni contigui...
Ma questo non c'entra niente. La fede non ha a che fare con la politica.
Se vi interessa sapere chi
sono e cosa fanno i cattolici di base dovete sentire Raniero La Valle... Anzi,
se volete parlare dei
cattolici del dissenso dovete sentire qualcuno del Pdl, quelli sì che
dissentono, dal Vangelo però...
Parliamo di politica allora. Lei pensa che il compromesso storico abbia
tagliato un po' le
gambe al movimento cattolico di base?
E perché mai avrebbe dovuto? Il compromesso storico fu un'iniziativa di
Berliguer dopo il golpe in
Cile. Doveva chiamarsi grande coalizione, perché avrebbe avuto una prospettiva
di difesa comune
della cornice democratica. Ma si sa, Berlinguer era fantasioso con i nomi... Non
vedo come questa
scelta politica possa aver influito sul mondo cattolico di base, sono due piani
diversi. Capisco che
per chi aveva a cuore valori come l'eguaglianza questo scenario creasse magari
un orizzonte politico
più accettabile. Ma la partecipazione del Pci al governo fu molto breve e fu
spazzata via dalle
vicende che seguirono il rapimento Moro. Inoltre i risultati di quella breve
stagione sono
generalmente considerati deludenti. Semmai il compromesso storico creò
inquietudine nella base
del Pci, perché, alla fine, cosa garantiva il partito comunista al governo? La
pace sociale. E molti
infatti si dissociarono da quella scelta.
E non era una delusione comunque che il partito propugnatore dell'eguaglianza
sociale, il Pci,
si alleasse con il partito della Chiesa e non con i cattolici che nella società
lavoravano e
propugnavano l'uguaglianza su base cristiana?
No, io non lo credo, i due movimenti, quello comunista e quello cattolico,
avevano un'idea
completamente diversa di società. I cattolici non erano alla ricerca di
interlocutori istituzionali.
E non è stato un errore?
Ma non possiamo interpretare il cattolicesimo come una categoria della
politica! La Chiesa è
un'istituzione, si occupa del potere, ma ciò non è espressione del messaggio
evangelico. Nel
vangelo non si parla di Concordato. Poi la chiesa lo fa e questo stabilisce con
il potere politico delle
relazioni da cui la chiesa trae i suoi vantaggi. Del resto nei secoli ha perfino
esercitato il potere
temporale in Italia, all'epoca del papa re... Tutto questo non ha niente a
che spartire con il messaggio
evangelico, che è invece il riferimento dei cattolici di base.
Bè, anche oggi la Chiesa non scherza con le intromissioni nel potere
temporale...Questo come
viene vissuto?
Immagino che si possa dire che per i cattolici di base uno dei motivi di
inquietudine è proprio il
vedere che i rappresentanti della chiesa hanno a che fare con il potere, che
intorno al potere c'è un
mercanteggiamento. E vedere come la destra usa la Chiesa e la strumentalizza.
in “Altri” n. 2 del 24 dicembre 2009