I barbari non ci leveranno la nostra profondità
La nostra è l´età degli imbarbariti che devastano il presente. Ma la
profondità non è destinata a scomparire
"Rassegnati, caro Alessandro, siamo due moderni consapevoli. E descrivi una
civiltà che ancora non esiste"
Mi ha molto intrigato l´articolo di Alessandro Baricco pubblicato da Repubblica
il 26 agosto con il titolo "2026 - La vittoria dei barbari". Mi ha intrigato fin
dalle prime righe: «Ci crediate o no, quest´articolo l´ho scritto nel luglio
2026, cioè tra sedici anni. Diciamo che mi sono portato un po´ avanti col
lavoro. Prendetela così».
Baricco è un maestro di scrittura, ne conosce i trucchi e i modi per attirare il
lettore e incatenarlo al testo e così ha fatto anche stavolta. Con me c´è
riuscito.
Quattro anni fa scrisse una serie di articoli sul nostro giornale e ne trasse
poi un libro che ebbe molto successo intitolandolo I barbari. Da allora questo
tema è stato al centro del dibattito sull´epoca che stiamo vivendo e sulle
caratteristiche che la distinguono.
Ne ho parlato anch´io nel mio ultimo libro Per l´alto mare aperto dove ho
sostenuto la tesi che la modernità ha concluso il suo percorso culturale durato
mezzo millennio ed ha aperto la strada ai nuovi barbari. Sarà compito loro porre
le premesse dell´epoca nuova, del nuovo linguaggio artistico che le darà la sua
impronta, dei nuovi significati che motiveranno le sue istituzioni.
I barbari in questa accezione non rappresentano necessariamente una fase
oscura ma un´epoca diversa da quella che noi moderni abbiamo costruito e
vissuto.
Fin qui Baricco ed
io ci siamo mossi più o meno sullo stesso binario. Ma lui, nell´articolo che ho
citato, va oltre. Sostiene che i moderni inventarono la profondità della
conoscenza e vi collocarono il senso, mentre i barbari - tra i quali si colloca
ed è per questo che data il suo articolo nel luglio del 2026 - hanno smantellato
il concetto di profondità e l´hanno sostituito con quello di superficialità e lì
hanno collocato il senso. Baricco non giudica affatto come negativa questa
operazione culturale, anzi ne enumera tutte le positività e per quanto lo
riguarda si pone tra quelli che l´hanno condotta a compimento.
Il passaggio dalla cultura della profondità a quella della superficialità lo
descrive così: «Viaggiamo velocemente e fermandoci poco, ascoltiamo frammenti
e non tutto, scriviamo nei telefoni, non ci sposiamo per sempre, guardiamo il
cinema senza più entrare nei cinema, ascoltiamo letture in rete senza più
leggere libri e tutto questo andare senza radici e senza peso genera tuttavia
una vita che appare sensata e bella. La superficie è tutto e in essa è scritto
il senso».
Sembra di leggere una delle lezioni americane di Italo Calvino, un messaggio al
futuro millennio, le idee-guida che lo ispireranno. Calvino parlava di
leggerezza, rapidità, esattezza, consistenza; Baricco parla di profondità e
superficialità.
Forse Calvino coltivò illusioni; lui era immerso nella modernità, i suoi
referenti erano ancora Voltaire e Diderot pur avendo egli portato molto più
avanti la sua ricerca letteraria.
Baricco invece compie un´operazione concettuale in apparenza assai più radicale:
mette la superficialità al posto della profondità come il nuovo canone di
conoscenza e disloca il senso della vita collocandolo in superficie.
Esalta la bellezza del nomadismo: «Andare senza radici e senza peso». Avrebbe
potuto aggiungere: senza responsabilità.
E´ questa la nuova epoca che i barbari stanno costruendo? Sarà già realtà nel
2026? Anzi è già realtà oggi, al punto che Baricco è in grado di descriverla?
* * *
Mi trovo in una
curiosa condizione: in molte cose (l´ho già detto) concordo con Baricco ma nella
sostanza no, non sono d´accordo con lui. Forse dipende dal fatto che ho quasi il
doppio della sua età anche se sono curioso almeno quanto lui di conoscere il
futuro e di reinterpretare il passato.
Tanto per cominciare, Baricco non è affatto un barbaro. Presume di esserlo ma
non lo è e questo cambia molto il significato di ciò che dice.
I barbari, nella nostra comune definizione, sono coloro che parlano un
linguaggio diverso dal nostro. Aggiungo: rifiutano di conoscere la nostra
cultura di moderni. Non leggono libri, non leggono giornali, non ascoltano le
nostre musiche. Vogliono ripartire da zero, contrariamente alle generazioni che
li hanno preceduti e che pur contestando i valori dei padri ne avevano però
appreso i contenuti e i significati.
Il passaggio da un´epoca ad un´altra è sempre avvenuto in questo modo; il solco
che segna questo salto di civiltà ha sempre coinciso con la mancata trasmissione
della memoria storica.
Dico che Baricco non
è e non può essere un barbaro perché è intriso di memoria storica, conosce
perfettamente quanto è accaduto, ha studiato i testi, ha ascoltato le musiche,
ha addirittura messo in scena l´Iliade e Achille, usa a meraviglia ed anzi
insegna il nostro linguaggio. Ha capito che i barbari sono arrivati, questo
significa che sa leggere la realtà nel suo profondo.
Del resto tutta la sua analisi sulla sostituzione della superficialità alla
profondità è tipicamente profonda, scava fino alla radice per poter affermare
che si sta creando una vita senza radici.
Baricco è dunque un moderno che in quanto tale constata la fine della modernità.
In questo concordo. Rassegnati, caro Alessandro, siamo due moderni consapevoli.
Tu elenchi le caratteristiche della nuova epoca e le riassumi con la parola e il
concetto di superficie. In realtà non stai descrivendo la civiltà dei barbari
che ancora non esiste. Ci vogliono molto più di trent´anni. Ricordi la scomparsa
della civiltà greco-romana che durò quasi due secoli, da Teodosio fino al regno
longobardo? Oggi il tempo corre più veloce ma trent´anni non bastano.
In realtà Baricco
non sta descrivendo i barbari ma gli imbarbariti, che è cosa
profondamente diversa. Gli imbarbariti parlano ancora il nostro linguaggio ma lo
deturpano; usano ancora le nostre istituzioni ma le corrompono; non vogliono
affatto preservare il pianeta dalla guerra, dal consumismo, dall´inquinamento e
dalla povertà, ma al contrario vogliono affermare privilegi, consorterie,
interessi lobbistici, poteri corporativi, dissipazione di risorse e
diseguaglianze intollerabili.
I barbari, quelli che tu ed io vediamo come un´incombente realtà, sono ancora
alla ricerca del futuro; gli imbarbariti stanno devastando il presente e contro
di loro noi dobbiamo combattere per preservare il deposito dei valori che la
modernità ha accumulato e dei quali l´epoca futura potrà usufruire quando avrà
finalmente raggiunto la sua plenitudine e la sua autocoscienza.
* * *
Io non credo nella contrapposizione tra profondità e superficialità come una
conquista e un avanzamento. Tanto meno credo che questa contrapposizione
caratterizzerà il futuro e non lo credo perché c´è sempre stata in tutte le
epoche.
Guarda, caro Alessandro, alla Grecia a te giustamente cara: lì nacque la
tragedia e con essa il teatro cinque secoli prima di Cristo e lì otto secoli
prima di Cristo era nata la poesia con Omero e ancora prima i miti e i misteri
ma anche il gioco, la danza, i numeri, la geometria, la cura del corpo e la cura
delle anime. Quella che tu chiami la profondità.
Ma essa conviveva con la superficialità così, con le emozioni, con la vita senza
radici, con l´adorazione dei fenomeni, delle apparenze, con i mutamenti
immediati di prospettiva, con un prisma conoscitivo continuamente cangiante.
E non è stato sempre così? Non è stato così nella Roma di Cicerone, di Ovidio,
di Virgilio, di Seneca e infine di Boezio, mentre accanto ad essi il popolo
delle taverne e delle suburre godeva dei giochi e della loro sanguinosa
violenza?
Profondità e superficialità hanno sempre convissuto, quali che fossero le
epoche e le latitudini, e sempre convivranno.
Tu poni - ed hai ragione di porla - la questione del senso e della sua
dislocazione. E non credi nel senso ultimo. Neppure io credo nel senso ultimo,
anche se ho grande rispetto per quanti ripongono nella trascendenza di un dio e
nella vita futura ed eterna nell´oltremondo le loro speranze. Chi ha una
fede mette in essa il suo riposo e il senso della sua vita. E non si avvede che
il senso è altrove anche per lui.
Anche chi ha fede appoggia infatti la sua vita a quelli che io chiamo segmenti
di senso, che ci vengono dalla vita pratica, dalla vita creativa, dalla
socievolezza senza la quale non potremmo vivere.
Il senso della vita cioè non è altro che la vita stessa che si dipana momento
dopo momento, che conserva memoria di quanto è avvenuto e progetta ad ogni
istante il futuro.
Questo è ciò che avviene in ogni persona e in ogni angolo di mondo: segmenti di
senso che l´"io" vive senza soluzione di continuità, attimi fuggitivi, tempo
futuro che transita nel presente con la velocità della luce e sprofonda nel
passato; e tempo ritrovato attraverso quella meravigliosa facoltà della memoria
che la nostra mente possiede.
Caro amico, ti dedico queste riflessioni perché tu sei tra quelli che meglio si
oppongono all´imbarbarimento che rischia di sovrastarci. Questa battaglia
non riguarda i barbari che stanno ancora cercando se stessi. Questa battaglia
riguarda noi e soltanto noi possiamo e dobbiamo combatterla.
Eugenio Scalfari Repubblica 2.9.10