I  VESCOVI CHE FANNO POLITICA

 Il presidente della Cei Ruini promette di rivolgere presto "una parola impegnativa per coloro che accolgono il magistero della Chiesa" riguardo alla nuova, sgradita legge sulle coppie di fatto. Ma più che ai fedeli si parla ai politici più disposti a seguire le indicazioni delle gerarchie ecclesiastiche, all'interno di una strategia che mira instaurare una vera e propria teocrazia mascherata  

 

Dalla "moral suasion" alla trincea. La Chiesa romana abbandona gli indugi e scende in campo a viso aperto sul piano legislativo, con una intromissione senza precedenti nella storia contemporanea. E' Ruini in persona a minacciare: presto, a proposito dei famosi "Dico", calerà dai vescovi "una parola meditata, una parola ufficiale, che sia impegnativa per coloro che accolgono il magistero della Chiesa e che possa essere chiarificatrice per tutti".

 Ci si chiede cosa la chiesa possa aggiungere sulla questione delle coppie di fatto, già ampiamente condannate e considerate una pericolosa deviazione rispetto al matrimonio. Forse la nota della Cei sarà più un monito, un vero e proprio "non expedit", rivolto non certo alla società o alle coscienze dei fedeli (sulle quali, vista l'insistenza con cui la Chiesa guarda a Montecitorio, sembra quasi che il Vaticano abbia rinunciato) ma più prosaicamente ai politici cattolici, a destra e, soprattutto, a sinistra. Un richiamo all'ordine di grande portata storica e politica: caduto ogni velo, sfumato ogni equivoco, Ruini si prepara a lanciare il suo aut-aut: non si può essere cattolici e fare leggi come quella sui Dico.

Qui, come ci capita di insistere da anni ormai, sta la vera gravità del nuovo piano restauratore della Chiesa del XXI secolo. Una Chiesa così conservatrice e chiusa alle istanze del mondo moderno non si vedeva dai tempi di Pio IX, ma allora, se non altro, si negava qualsiasi legittimità al sistema democratico-parlamentare, alle idee "liberalesche", e coerentemente si chiedeva (o meglio, si ordinava) ai cattolici di non parteciparvi in alcun modo, né da eletti né da elettori. Oggi invece, proprio come la Chiesa degli anni '50 ma con ben altra durezza e pervicacia, si interviene attivamente nel gioco democratico, ma senza accettarne le regole, nel tentativo di condizionare e ricattare il ceto politico cattolico con la minaccia non proprio dell'inferno, ma piuttosto di un cospicuo salasso elettorale.

Fare leggi va bene. Ma che non siano in contrasto con l'unica legge che non è derogabile né modificabile a maggioranza: quella di Dio. Del Dio cattolico perlomeno, ossia quel deposito di fede e tradizioni costruito in duemila anni di storia, custodito gelosamente e difeso dalla Chiesa di Roma. Lo ha ribadito lo stesso Benedetto XVI: "Vi sono norme che precedono qualsiasi legge umana'' e che ''non ammettono interventi in deroga da parte di nessuno'' ha detto il papa, sottolineando che la legge naturale (che ha ''applicazioni concrete'' sul fronte della difesa della vita umana dal suo inizio alla sua fine naturale e del matrimonio) è ''in definitiva il solo valido baluardo contro l'arbitrio del potere o l'inganno della manipolazione ideologica''. Questo è probabilmente il punto, al di là dell'ossessione ormai un po' grottesca che nelle stanze vaticane serpeggia per tutto quello che riguarda il sesso, l'affettività extramatrimoniale, l'omosessualità e via dicendo.

Perché oggi i temi sul tappeto sono questi, ma domani potrebbero essere altri, e se viene accettata questa logica in nome della "legge naturale" la Chiesa si riserverà di intervenire con i suoi "si" o i suoi "no" su tutte le libere scelte di uno stato democratico. Una deriva pericolosissima, se è vero, come scriveva Primo Levi, che "piantando i paletti delle verità assolute si costruisce la strada che porta al lager". E poi, entrando nel merito: la Chiesa è proprio sicura che il "no" ai Pacs o ai Dico sia presente nell'insegnamento di Cristo, del quale si arroga il diritto di essere unica depositaria? E che per Gesù, uomo non sposato, il fondamento della società fosse la famiglia, lui che agli apostoli e ai discepoli chiedeva di lasciare tutto aggiungendo che "chiunque non odia il padre e la madre non può essere con me"? E l'ingerenza della Chiesa (che in origine, per inciso, voleva dire Comunità, e non istituzione piramidale) nelle cose dello Stato non stride maledettamente con il celebre "date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio"? E soprattutto, finalmente, il cristianesimo non era la religione del perdono, della tolleranza, dell'amore? Se ne ricorda un prete "maledetto" come Don Vitaliano della Sala, che in una accorata lettera ai parlamentari cattolici ricorda Agostino ("Ama e fa ciò che vuoi") e sottolinea come un buon cristiano nel rapportarsi col prossimo debba "partire con il piede giusto, quello dell'amore, cioè dell'uscita da sé e dell'apertura all'altro". Se ne ricordano le comunità di base, i numerosi parroci che tendono a capire e ad aiutare piuttosto che a condannare, i camaldolesi, gli scout, e soprattutto quei milioni di fedeli illuminati da fede autentica, ma non disposti a obbedire a diktat che nulla hanno di spirituale.

Quella "Chiesa del silenzio" oggi costretta a tacere di fronte alle coreografiche parate dei "Santo subito", alla maschera medievale di Ratzinger, alla magnificenza monarchica di una chiesa non più "instrumentum regni" ma piuttosto strumento di sé stessa, delle sue paure di scoprirsi minoranza, della sua reazione che cavalca l'inaspettata rinascita dell'irrazionale e dell'oscurantismo. La verità è che dei Dico non importa a nessuno. Sono diritti sacrosanti, molti addirittura già presenti nei vecchi ordinamenti targati Dc, e assai più blandi delle legislazioni di tutti i paesi europei eccetto Irlanda e Grecia. E anche il matrimonio interessa relativamente, se si guarda a con quanta disinvoltura i massimi "campioni" della difesa del vincolo coniugale, prontissimi a recepire i diktat da Oltretevere, siano tutti allegramente divorziati e risposati (Berlusconi, Bossi), conviventi more uxorio (Casini), sposati con divorziate (Fini), sposati con rito celtico e divorziati (Calderoli), sposati, separati e poi ri-conviventi (Alemanno), e l'elenco è lunghissimo. È quando alla morale viene sostituito il moralismo (in Italia, poi, abbiamo anche l'aberrazione dei "defensores fidei" non credenti, come Marcello Pera) che si capisce dove si vuole andare a parare.

Non sono i singoli temi etici a interessare, ma l'instaurazione di un modello nuovo di sistema politico: una democrazia "adolescente", tenuta apparentemente a briglia sciolta su poche questioni e controllata (per non dire guidata) su altre, sotto la tutela di una casta sacerdotale non eletta né rimuovibile da nessuno se non dal papa, a sua volta eletto si dai cardinali ma solo quali tramite dello Spirito Santo. Più di una lobby, oltre il partito politico, la Chiesa del 2000 tenta in Italia un esperimento inedito, una sorta di teocrazia mascherata. Chiedendo ai deputati cattolici di obbedire non alla volontà degli elettori, ma a quella del Vaticano. Quella "dittatura clericale" di cui parla Franco Grillini, che ormai bypassa le coscienze dei fedeli, ritenute evidentemente irrecuperabili e "immature", e si rivolge direttamente al "braccio secolare", come ai tempi dell'Inquisizione, cercando di innestare la sua dogmatica Verità nella democrazia. Se questo ibrido mostruoso riuscirà a nascere, e forse siamo già in presenza dei primi vagiti, ci sarà da preoccuparsi.

 

Paolo Giorgi ,       12 febbraio 2007   Aprile online