Il governo sulla
«nuda vita»
Se un cittadino deposita presso un notaio una propria dichiarazione, firmata e
autenticata, nella
quale affermi di non voler subire la nutrizione e l'idratazione artificiali,
quella nutrizione e quella
idratazione gli verranno imposte se un medico le ritenesse necessarie. E' questa
l'ideologia della
legge sul Testamento biologico che maggioranza e governo vogliono. Essa
costituisce, per questa e
altre ragioni, un vero punto di svolta. Viene gravemente leso, cioè, un
principio essenziale, posto a
tutela di uno dei diritti fondamentali della persona: quello
all'autodeterminazione e, di conseguenza,
alla piena sovranità del soggetto su di sé e sul proprio corpo. Ritengo
che ciò abbia una stretta
relazione con una questione generale, così riassumibile: è in atto un
attacco particolarmente
aggressivo, e insidioso, contro la «nuda vita». Tale offensiva viene
condotta su due piani lontani, e
comunque tenuti insieme da un'unica ideologia: quella del controllo del corpo
umano quale fonte
primaria di identità e della sua subordinazione a dispositivi di comando e di
coercizione. Non credo
che, infatti, l'attacco contro il diritto a disporre di sé in materia di
trattamenti sanitari e di «fine vita»
sia altra cosa dall'attacco condotto nei confronti di alcune importanti
prerogative che rimandano,
anch'esse, al principio dell'autodeterminazione dell'individuo per quanto
riguarda la sua vita
biologica. Mi riferisco al fatto che, nelle stesse settimane, sono stati
approvati da uno dei rami del
Parlamento alcuni provvedimenti che intervengono esattamente sul corpo
della persona: in questo
caso, il corpo migrante. Il primo è quello che qualifica come reato
l'immigrazione irregolare; il
secondo è quello che induce i medici a denunciare gli irregolari che si
affidassero alle loro cure.
Qualche obliquo formalista giuridico precisa: non è previsto l'obbligo di
denunciare, bensì è
consentito il farlo.
Le cose non stanno affatto così. Intanto perché anche solo la possibilità che
chi chiede soccorso e
cura venga denunciato spinge a sottrarsi all'assistenza (e alla denuncia). E,
poi, perché: nel
momento in cui l'irregolarità diventa reato, il fatto che il medico-pubblico
ufficiale non denunci,
può configurare, a sua volta, un reato. Ma la vera questione è un'altra: è
che attraverso quei
provvedimenti di legge si ha una imperiosa invasione da parte dello Stato e
delle sue istituzioni,
nella sfera individuale: laddove si esercita una delle fondamentali prerogative
umane, quella che si
esprime nella libertà di movimento e laddove si manifesta uno dei bisogni più
meritevoli di tutela.
Quello al soccorso, alla cura, alla protezione. Qui, nel rifiuto di assistere il
malato in ragione del suo
status amministrativo o penale e, per converso, nella negazione della
possibilità di scegliere quale
cura accettare e quale no da parte del diretto interessato: qui, proprio qui, si
manifesta pienamente
l'ideologia autoritaria di quelle norme e del governo che le impone. E sono
norme che, appunto,
intendono intervenire, come si è detto, propriamente sulla «nuda vita»: ovvero
sull'esistenza nella
sua essenzialità e nella sua corporeità, là dove si formano la prima identità
umana e i suoi
fondamentali connotati. Per questo le disposizioni autoritarie sul «fine vita» e
quelle
sull'immigrazione sono così strettamente correlate e così tanto temibili (si
veda, in proposito, quanto
documentato dai siti abuondiritto.it e innocentievasioni.net). E lo sono
perché aggrediscono il cuore
della soggettività. Che è, poi, ciò che fonda il legame sociale, il diritto, la
stessa politica.
Luigi Manconi il manifesto 18 febbraio 2009