Gli indecenti. Un Paese senza legge


Oltralpe sono in molti a pensare che in Italia la legge non sia più uguale per tutti. Ieri ne abbiamo avuto l’ennesima conferma. Il Parlamento ha respinto la richiesta di autorizzazione all’uso di intercettazioni nei confronti di Nicola Cosentino, l’ex sottosegretario indagato per presunti rapporti con il clan dei Casalesi. L’applauso che ha accolto i risultati della votazione sembrava celebrare l’ennesima vittoria dei politici sui poteri giudiziari, ormai identificati da una buona fetta dei parlamentari come il «nemico».
L’ostilità tra esecutivo e magistratura fornisce anche una possibile chiave di interpretazione del giallo della votazione. Al conteggio finale dei sì mancavano una quindicina di voti, presumibilmente finiti tra i no. Qualcuno che non doveva si è schierato con il Popolo della libertà. Diserzioni importanti poiché questo governo è appeso ad una corda sfilacciata, che può cedere in qualsiasi momento. Ma è chiaro che ciò non avverrà mai su una questione come le intercettazioni dei parlamentari. C’era infatti d’aspettarsi che su questo voto la fedeltà al proprio partito e leader contava ben poco poiché votando no si proteggevano i propri interessi.

Legislazioni, votazioni e prassi ad personam sono ormai la manifestazione di quello che europei ed americani definiscono contaminazione Italia:come il Bel Paese si sta trasformando nel regno dell’illegalità. E mentre l’illecito prende piede nella quotidianità, confinando fette sempre più sostanziose della nostra economia nel sommerso, le critiche degli stranieri sono concentrate sulla gestione delle istituzioni dello Stato e sul dilagare dell’attività del crimine organizzato.
La presunta attività di riciclaggio all’interno dello IOR, che ha portato al sequestro di 23 milioni di euro, ha riempito le prime pagine dei maggiori quotidiani stranieri. Una singolare triangolazione bancaria trasferiva denaro dai conti dello IOR accesi presso il Credito Artigiano a beneficiari sconosciuti presso la JP Morgan di Francoforte e presso la Banca del Fucino. Nelle sale cambi del villaggio globale e nelle banche centrali occidentali l’idea del «riciclaggio in confessionale» fa tremare molti, specialmente a chi ha intrattenuto attività professionali con lo IOR, cioè la maggioranza delle banche e delle finanziarie internazionali.

All’estero ci si chiede come sia possibile che il braccio bancario del Vaticano continui a seguire una prassi da paradiso fiscale, autorizzando pagamenti su conti cifrati, un’attività che va contro la regola d’oro bancaria: «conosci il tuo cliente», imposta a tutte, ma proprio tutte, le banche occidentali. Ancora più incomprensibile è il comportamento della Banca d’Italia, l’organo di vigilanza, che non ha bloccato questa prassi prima che lo facesse la magistratura. Perché allo IOR si riserva un trattamento con i guanti bianchi mentre trasferimenti analoghi su conti cifrati da parte di qualsiasi altra banca italiana avrebbero provocato come minimo sanzioni salatissime?
Due pesi e due misure è il mantra che sale dal nostro paese. E spesso chi ci guadagna è il crimine organizzato la cui attività si intromette tra le maglie ormai recise dell’uguaglianza della legge. A Gioia Tauro approda una nave battente bandiera liberiana carica di esplosivo, sette tonnellate di T4, la stessa sostanza usata nell’attentato a Falcone e a Borsellino, abbastanza per far saltare in aria tutto il porto. Pare che provenga dall’Iran e sia destinata alla Siria. Transita a Gioia Tauro insieme ai seimila container che entrano ed escono quotidianamente dal porto più trafficato del Mediterraneo.
Non è la prima volta che soffiate ed intercettazioni allertano le autorità portuali, l’antidroga e l’antiterrorismo; controllare ogni giorno anche una frazione infinitesimale di seimila container è fisicamente impossibile. La scoperta di grosse partite d’armi e di cocaina a Gioia Tauro in transito o destinate alle ‘ndrine hanno infatti fatto il giro del mondo più volte. Chi vive all’estero si domanda come mai queste scoperte non avvengano anche a Barcellona o a Istanbul. Perché il crimine internazionale predilige questo porto calabrese lontano da qualsiasi grosso centro commerciale? E la risposta più logica che fino ad ora si ètrovata è che a Gioia Tauro è più facile farla franca.

 

Loretta Napoleoni    l’Unità 23.9.10

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fotti la giustizia

 

 

 

La cosa più sconcia della legge ad personam numero 40, quella che darà all’Italia l’unico premier al mondo con l’autorizzazione a delinquere, è che non si cerca più nemmeno di camuffarla e imbellettarla con motivazioni giuridiche o esigenze generali. Anche perché il 99% di quanti ne parlano non hanno la più pallida idea di quel che dicono. I pochi che lo sanno, strappato anche l’ultimo velo d’ipocrisia, affermano esplicitamente che il nuovo “lodo” deve servire a una sola persona: quella che lo firma. Anzi c’è chi, come l’inesausto oppositore Piercasinando Furbini e i finiani, la votano solo se vale per B. e basta: se vale pure per i ministri, non se ne fa nulla. Vogliono proprio il nome del beneficiario nel testo.

Quale testo? Cinque le ipotesi.

1) Lodo costituzionale Alfano-bis per immunizzare i presidenti della Repubblica, della Camera, del Senato e del Consiglio più i ministri: o con la sospensione dei processi sino a fine mandato, o con l’autorizzazione a procedere del ministro della Giustizia per avviarli!

2) Come sopra, ma senza ministri (versione Fli e Udc).

3) Nuovo legittimo impedimento per allungare quello di 18 mesi che scade l’estate prossima, cambiare le carte in tavola alla Consulta che il 14 dicembre esamina quello attuale e indurla a rinviare per guadagnare altro tempo.

4) “Processo breve” per sterminare centinaia di migliaia di processi, fra cui quelli a B.

5) “Processo lungo” per vietare ai giudici l’uso delle sentenze di Cassazione e di scremare i testimoni inutili, così anche i processi Mills e Mediaset durano qualche secolo.

Essendo impossibile approvare cinque leggi in tre mesi, bisogna sceglierne una: quella che riesce meglio a fottere il Tribunale di Milano, la Corte costituzionale e il Quirinale in un colpo solo. Il finiano Moffa, nomen omen, parla di “due scuole di pensiero: secondo alcuni basterà una prima lettura del Senato sul lodo Alfano-bis a far sì che la Consulta dichiari il rinvio; altri invece ritengono che sarà necessario varare un nuovo legittimo impedimento”. Traduzione: non c’è alcun motivo giuridico perché la Consulta, che deve valutare la costituzionalità del legittimo impedimento, rinvii la discussione perché forse fra due anni sarà legge costituzionale il lodo Alfano-bis; ergo bisogna spaventarla con un primo voto del Senato sul lodo (prima ci pensava la P3, ora purtroppo in galera); se poi non basta, si allunga il legittimo impedimento, così la legge su cui deve decidere la Corte cambia in corsa e si rinvia. Poi magari, quando la Corte starà per esaminare la seconda versione, se ne farà una terza per strappare un nuovo rinvio, e così all’infinito. Un golpe del governo e del Parlamento contro la Consulta, tanto il Quirinale firma tutto (o no?).

Ma c’è pure una terza scuola di pensiero: meglio non cambiare subito il legittimo impedimento, perché “ciò darebbe alla Corte l’idea che la legge è sbagliata, tanto da aggiustarla”. Non resta che sperare che, votando una prima volta il lodo al Senato, la Consulta si intimorisca e rinvii.

Quarta scuola di pensiero: la Consulta non si fa intimidire e il 14 dicembre boccia il legittimo impedimento. Nel qual caso B. ha già fatto sapere che ne approverà subito un altro: una legge quasi uguale a quella appena bocciata, altro golpe contro la Consulta, tanto il Quirinale firma tutto (o no?). Di questo si parla nel vortice dei vertici tra B., Al Fano e Ghedini e poi tra Mavalà e la Bongiorno, senza il minimo accenno al Diritto e alla Giustizia. Si pensa solo e sempre agli affaracci di B. E, quando qualcuno prova a volare alto, fa sbudellare dalle risate. Tipo Carlo Vizzini, presidente della Commissione Affari costituzionali: “Il lodo deve comprendere non solo il premier, ma anche i ministri, altrimenti viola il principio di eguaglianza e dunque la Costituzione”. Ecco: l’art. 3 stabilisce che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, dunque tutti i membri del Consiglio dei ministri devono essere impuniti. Giusto: non si può salvare il capobanda e processare il basista, il palo e quello che tiene il sacco. Se no poi parlano.

 

Marco Travaglio  Il Fatto Quotidiano  21.09.2010