Gli immigrati e la cittadinanza


A furia di inseguire consensi promettendo "meno stranieri" Berlusconi e Bossi rifiutano l´idea che possano esserci "più italiani" e "nuovi italiani". La loro idea di italianità è ferma agli anni Trenta

Se un cittadino dalla pelle non perfettamente candida aspirasse a incarichi politici in Italia, sarà meglio che ci ripensi. «Non vorrei tra cinque anni e un mese trovarmi un presidente abbronzato», ha dichiarato Roberto Calderoli l´altra sera a Treviso.
Il ministro leghista si era già distinto per un´analoga sortita nei confronti della sua concittadina italiana Rula Jebreal. Imitato dal presidente del Consiglio che rivolse la stessa «carineria» a Barack Obama. Tali affermazioni desterebbero scandalo se pronunciate da uomini di governo in qualsiasi altro paese occidentale. E delineano, all´interno della maggioranza di centrodestra, una spaccatura su principi della massima rilevanza per il futuro della nostra democrazia. Chi ha diritto a essere considerato italiano, e quali devono essere le procedure di ottenimento della cittadinanza?
La proposta di legge che divide la destra è stata presentata in Commissione Affari Costituzionali da Fabio Granata (Pdl) e da Andrea Sarubbi (Pd). Le modifiche mirano ad abbreviare da dieci a cinque anni il periodo di residenza continuativa necessario per ottenere il passaporto italiano a un immigrato che dimostri inoltre stabilità di reddito e una sufficiente conoscenza della lingua. Granata e Sarubbi propongono ancora che venga naturalizzato il minore nato in Italia da stranieri, se uno dei genitori vi soggiorna da cinque anni; così come il minore che abbia completato un percorso scolastico nel nostro paese.
Quando poi il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha ribadito la sua idea di attribuire il diritto di voto amministrativo agli stranieri residenti da almeno cinque anni sul territorio nazionale, Umberto Bossi ha reagito dandogli del «matto». Ma più pesante ancora giunge il no di Silvio Berlusconi a concedere la cittadinanza e il diritto di voto amministrativo agli stranieri: «Io difendo la sicurezza di tutti, evitando che la sinistra apra le frontiere, per poi concedere loro la cittadinanza e il diritto al voto, un subdolo stratagemma per garantirsi una futura preminenza elettorale».
È interessante notare che Berlusconi e Bossi non si limitano a definire prematura o frettolosa la revisione delle norme sulla cittadinanza. In più occasioni pubbliche questi leader della destra si sono dichiarati contrari all´idea stessa di una «società multietnica»; come testimonia anche la greve battuta di Calderoli sul pericolo di ritrovarci fra cinque anni e un mese con un «presidente abbronzato». Probabilmente non se ne rendono conto, ma con le loro parole stanno propugnando un ritorno all´indietro dai principi di cittadinanza così come li definì oltre due secoli fa la Rivoluzione Francese. Berlusconi e Bossi rigettano la teoria democratica secondo cui lo Stato-nazione è luogo di attuazione di diritti universali civili e politici. Da secoli a una nazione democratica non si appartiene più per mera discendenza, bensì per cittadinanza. Un passo avanti storico rispetto all´ideologia reazionaria Blut und Boden, «sangue e terra», perché la nazione non può venire ridotta al «pezzetto di terra dove si è nati e cresciuti» teorizzato da Justus Moser.
A furia di inseguire consensi promettendo «meno stranieri», Berlusconi e Bossi rifiutano l´idea che possano esserci «più italiani» e «nuovi italiani». La loro idea di italianità è ferma agli anni Trenta del secolo scorso: l´appartenenza razziale. Lungi dal farsi interpreti di un nuovo patriottismo, alla vigilia del centocinquantesimo anniversario dello Stato unitario, essi paventano come minacciosa l´eventualità che uno straniero possa diventare italiano se non per concessione arbitraria. La divergenza emersa all´interno della destra, quindi, non riguarda solo la volontà o meno di integrare gli stranieri residenti attraverso una politica lineare dei diritti e dei doveri. La prossima discussione parlamentare renderà manifeste due opposte nozioni di cittadinanza. Ma non facciamo finta che siano entrambe compatibili con una democrazia in cui vivono già quattro milioni di immigrati.

Gad Lerner     Repubblica 10.9.09

 

 

 

L'Italia che ho visto


Ieri mi è arrivata una e-mail di protesta di un telespettatore: mi accusava di aver descritto una Novellara stile «Mulino Bianco».
Poi nel pomeriggio sono stato ospite a Fahrenheit, la bellissima trasmissione di RadioTre ed è riuscita fuori, per tutt'altra strada, la stessa argomentazione : «Talmente siamo poco abituati a vedere gli aspetti positivi, le cose buone della presenza degli stranieri in Italia, che quelle scene sembravano finte. Che ne pensa Iacona ?», mi ha chiesto il conduttore.
E ho risposto, sì che questo è precisamente il risultato dell'aver schiacciato il dibattito politico sull'immigrazione solo sul terreno militare, dell'aver trasformato la presenza degli stranieri quasi esclusivamente in una questione che riguarda la «sicurezza»: se di stranieri si parla solo e sempre così i venti minuti di racconto della «normale integrazione» che abbiamo fatto a Novellara ti colpiscono come se fossero scene girate in un altro Paese.
Eppure di «Novellara» ce ne sono centinaia in tutta Italia: basta entrare in qualsiasi scuola elementare di una grande città che vede la presenza di stranieri per rendersene conto; bambini stranieri e bambini italiani crescono insieme, arricchendosi l'uno con l'altro; le differenze sembrano improvvisamente annullarsi di fronte ad un processo di integrazione che è veloce e forte come la vita, e nel quale sono proprio i genitori stranieri ad investire di più. L'ho toccato con mano quando sono andato l'anno scorso a Bologna a raccontare le conseguenze della riforma Gelmini sulla scuola del tempo pieno: le mamme e i papà dei bambini stranieri non mancavano ad una riunione, ad un colloquio, ad una inziativa della scuola, un attaccamento anche commovente se pensiamo che spesso sono gli stessi figli ad insegnargli l'italiano che stanno imparando sui banchi delle elementari.
Gli stranieri hanno capito subito che la scuola è la porta principale per la quale passa l'integrazione e la promozione sociale dei loro figli e i loro figli fanno di tutto per essere all'altezza della scuola e delle aspettative dei genitori. Ma è la stragrande maggioranza degli stranieri che vivono in Italia ad avere questa forte voglia di integrazione! Del resto come potrebbe essere altrimenti se i loro figli nascono e crescono nel nostro Paese?
Tutti gli stranieri, poi, aspirano a vivere in Italia con una piena cittadinanza che consenta loro, per esempio, di votare e di partecipare alla vita politica del Paese. Poi ci sono i delinquenti, anche quelli, che riempiono le carceri italiane. Quanto pesa l'una e l'altra considerazione? Sul piatto della bilancia del nostro futuro la quota di piccola e grande criminalità legata alla loro presenza può cancellare la forza straordinaria dell'integrazione, con tutta l'energia che si porta dietro, fatta di persone che lavorano, producono, assimilano il nostro modo di vivere e ci consegnano come un regalo i loro figli, i cittadini del futuro? Io penso di no. Perché la delinquenza si può combattere se solo si vuole, la voglia di integrazione invece, una volta persa, è molto più difficile ricostruirla.
A Novellara non c'è stato tempo per riflettere: in meno di dieci anni si è passati da duecento stranieri a quasi duemila. Immaginate che rivoluzione in un paese di neanche dodicimila abitanti! Allora si son detti: lavoriamo in modo che tutti abbiano lo stesso accesso ai servizi, che siano trattati cittadini come tutti gli altri e in cambio chiediamo rispetto delle regole e legalità.
Ha funzionato. Lo leggi negli occhi sorridenti delle ragazze e dei ragazzi che in pochi anni si sentono più italiani che pakistani o indiani. La politica della «faccia feroce» del «finalmente cattivi», oltre ad essere poco efficace nel contenere veramente l'immigrazione clandestina, rischia di creare conflitti al nostro interno e di spegnere quei sorrisi. Siamo sicuri che ci conviene?

 Riccardo Iacona     il manifesto  10/9/09