Gli immigrati che
non vogliamo curare
Il mancato rispetto delle regole disegna una società dove il più forte
vince sempre. L'aumento della
disuguaglianza, e dell'indice statistico che la misura, ne è logica conseguenza.
In una scala dove 1
connota la massima disuguaglianza (tutto concentrato in una sola persona), si è
passati da 0,31 degli
anni ' 80 a 0,35: la concentrazione è aumentata del 13%. La crisi economica, che
nella
disuguaglianza ha una delle sue cause profonde e ignorate, sta solo peggiorando
la situazione.
Proviamo a guardarne gli effetti sulla vita delle persone in carne ed ossa.
In cima c'è il «Paradiso» dei lavoratori protetti — sempre meno — che hanno un
contratto a tempo
indeterminato. Più giù c'è il vasto, e crescente, Purgatorio dei contrattisti;
oggi lavorano e domani
possono essere lasciati a casa, senza garanzie. Se fanno causa, si autoescludono
dal mercato del
lavoro: nessuno vuole «piantagrane» in casa. Poi si va ai gironi
inferiori, quelli del lavoro in nero,
dove gioca anche la differenza fra italiani e stranieri. Qui, anche per
gli italiani la possibilità di adire
la giustizia è teorica. Se sei pagato in nero non puoi chiedere il rispetto dei
tuoi diritti: non ne hai
proprio. Inoltre è più arduo, a volte impossibile, affittare una casa se non si
può provare di avere un
reddito.
Peggio va per gli stranieri di serie B. Li distingue il
censo, insieme all’origine: povero,
extracomunitario (ma non svizzero o canadese). Se un immigrato
«regolare» è licenziato, scende
ancora un gradino; è il nuovo schiavo che, perdendo il lavoro, perde il permesso
di soggiorno, onde
l'obbligo di lasciare il Paese, dove ha moglie e figli nati qui, che magari
parlano perfino un dialetto
«padano»; si veda la recente sentenza della Cassazione.
Siamo arrivati al fondo; gli stranieri «irregolari»; non hanno il
permesso, e non possono averlo
finché qualcuno non gli fa un contratto. Un circolo infame più che
vizioso; ai datori di lavoro senza
scrupoli fa comodo una controparte debole. Questi stranieri hanno anche dei
figli, che ignorano di
essere «irregolari»; quando i loro occhi vedranno le spire di quel circolo,
diranno due paroline su di
noi al loro Dio. Dovrebbe essere un macigno per tutti, credenti e no!
Le rozze affermazioni del
sindaco Moratti del 10 maggio, per cui i clandestini che non hanno un lavoro
regolare normalmente
delinquono, denunciano solo la sua distanza dalla realtà che dovrebbe governare!
E se questi «clandestini» devono curarsi? Hanno diritto in
teoria all’assistenza, che spesso viene
però negato. La legge Bossi-Fini prescrive che siano loro assicurate «nei
presidi pubblici e
accreditati, le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti o comunque essenziali,
ancorché
continuative, per malattia e infortunio, e siano estesi i programmi di medicina
preventiva a
salvaguardia della salute individuale e collettiva». Come risulta da una pagina
del Sole 24 Ore (15
febbraio), la realtà è ben diversa. Per la salute dei nuovi schiavi spendiamo
120 € all’anno: sempre
troppi, diranno alcuni. Lo pensavano anche i negrieri. Eppure è il costo di
un'ecografia!
Il trattamento è peggiore proprio nella regione più ricca, che dal lavoro
degli immigrati, regolari e
no, trae più vantaggi, e che della «difesa della vita» fa una bandiera.
In Lombardia lo straniero
«irregolare» ha sì accesso al pronto soccorso — finché non prende piede l'idea
di alcuni leghisti
friulani di dargli la caccia proprio lì — ma si vede spesso negata la tessera di
«straniero
temporaneamente presente», che dà diritto alle cure continuative, di cui alla
Bossi-Fini. Spesso
l'ospedale compila sì la tessera per farsi rimborsare la prestazione, ma non la
consegna alla persona.
«Per non aprire gratuitamente l'assistenza sanitaria a tutti»,
ci dice dal Sole 24 Ore un direttore
sanitario milanese. Così si va contro la legge, certo, ma alcuni in Lombardia
rovesciano il detto giolittiano: la legge per
i nemici la interpretano per non applicarla. Per loro, l'assistenza agli
schiavi spetta agli scarsi mezzi
della piccola associazione Naga, gestita come altri meritori centri da
volontari: essi si sobbarcano la
cura di persone che noi usiamo, ma abbandoniamo alla loro sorte. Ai Naga
della situazione
chiediamo, vilmente, di rimediare alla nostra violenza occulta, che ogni tanto
viene alla luce:
a Uboldo è morta una bambina di un anno che poteva vivere, ma era figlia dei
genitori sbagliati. Non
era vita anche la sua?
Un giorno penseremo con vergogna alla vita cui condanniamo tante persone,
alla faccia delle nostre
radici cristiane. Noi «italiani brava gente», abbiamo gli schiavi in casa, e non
li vediamo. Speriamo
che non serva, dopo Rosarno, un altro e più duro scrollone per strapparci da
questa vacanza dalla
ragione.
Salvatore Bragantini Corriere della Sera 14
maggio 2010