Gli immigrati:
"Uomini come voi"
C'è da sperare che la minoranza colorata che ha affollato pacificamente ieri
decine di piazze italiane
protestando contro il razzismo e invocando i diritti che le sono negati, venga
presa in seria
considerazione dalle pubbliche autorità.
Per quanto esigua, rispetto alla popolazione di 4,3 milioni di stranieri
residenti nella penisola, la
folla dei manifestanti ha rivelato la nascita di un nuovo movimento che sarebbe
irresponsabile
sottovalutare. Perché, se il malcontento rimanesse inascoltato,
l'associazionismo degli immigrati
potrebbe svilupparsi in forma contrapposta e separata alla democrazia in cui
reclama di venire
incluso.
Quando migliaia di palloncini gialli si sono levati in volo su piazza del Duomo
a Milano, coprendo
il maxischermo in cui sfilavano elegantissime le modelle straniere, il sagrato
era invaso di badanti e
fattorini, coi loro bimbi che mostravano un semplice cartello: "Siamo nati qui,
vogliamo la
cittadinanza". A Roma cancellavano le scritte ostili sui palazzi. A Napoli
marciavano così numerosi
da stupire i passanti: da dove spuntano tutti questi stranieri?
Se è bastata la suggestione velleitaria di "24h senza di noi",
la sfida impossibile di uno sciopero
degli immigrati, per dare consistenza numerica a un'iniziativa spontanea quasi
del tutto priva di
supporti organizzativi, vuol dire che c'era un vuoto da riempire.
Non gli corrisponde, è vero, uno
spazio politico redditizio: la difesa dei diritti degli stranieri in
Italia continua a essere valutata un
pessimo affare elettorale, come rivela anche la riluttanza del Partito
democratico finora pochissimo
interessato a dare loro visibilità pubblica nelle sue strutture. Ma come
non rendersi conto che le
buone ragioni degli immigrati, contro una burocrazia sollecitata dal
centrodestra a rendergli la vita
difficile, potrebbero tradursi in rivolta se si continua a ignorarle?
Ieri hanno cantato e ballato per le strade, stupiti loro stessi nel riconoscersi
movimento nascente.
Ma domani? Per quanto tempo ancora potremo impiegarli con paghe inferiori,
costretti spesso
nell'irregolarità del lavoro nero, lanciando contemporaneamente proclami
allarmistici contro
l'«invasione degli stranieri»?
È significativo che attestati di rispetto e comprensione nella
prima giornata di protesta degli
immigrati siano giunti da associazioni imprenditoriali di categoria: la Camera
nazionale
dell'Artigianato che ricorda come il 9,5% del Pil sia legato direttamente o
indirettamente al lavoro
degli stranieri; e la Coldiretti che lamenta il ritardo del decreto flussi per
gli stagionali agricoli, da
cui dipende il 10% dei raccolti nelle campagne italiane.
Riconoscerli solo come manodopera, però, non esaurisce la dimensione di
umanità che tante
famiglie, scolaresche, comunità di cura vivono nel rapporto personale con il
loro singolo straniero,
disabituate tuttora a vederlo partecipe di una collettività. A lui danno un
nome, ne condividono le
emozioni, lo adottano. L'«insieme straniero» resta invece folla anonima,
estranea, minacciosa.
Ieri questa folla ci si è presentata affermando con esemplare civiltà: "Siamo
uomini e donne come
voi". Ma questo è il pericolo, se gli stranieri continueranno a scendere in
piazza da soli, dopo che
ieri ci hanno preso gusto: che il sorriso della prima volta, incompreso nella
separazione dei passanti,
trasmuti in sguardi torvi. Una società armoniosa, in grado di condividere i
medesimi ideali di
giustizia sociale, non può fondarsi sul braccio di ferro tra comunità straniere
e maggioranza italiana.
Ha bisogno di immigrati bene inseriti nelle strutture di rappresentanza
democratiche. Deve aspirare
a una cittadinanza comune.
Gad Lerner la Repubblica 2 marzo
2010