Gli anti-Darwin fanno autogol
Il "Disegno intelligente" imbarazza anche i credenti: non spiega il male
Charles
Darwin ha consegnato alla scienza gli strumenti per comprendere la storia della
nostra specie, prospettando in tal modo una possibilità radicale: quella di
concepire le origini di
Homo sapiens
in termini esclusivamente naturali, prescindendo da cause extrabiologiche o
finalistiche. È una possibilità, non una necessità. La sua teoria, nella
versione aggiornata e integrata di oggi, non dimostra scientificamente
l'inesistenza di alcun dio né impedisce a chiunque di continuare a confidare
nella sacralità della Natura, in una mente che tutto ha pensato, o di credere a
ogni sorta di entità immateriale. Ma si tratta di una possibilità che fa da
spartiacque nella storia del pensiero. È la possibilità laica del naturalismo:
pensare la specie umana come un'innovazione storica nella famiglia dei primati,
come il frutto di un'evoluzione biologica e culturale unica ma non trascendente,
e proprio per questo capace di assumersi le proprie responsabilità e di darsi
regole etiche e sociali di convivenza anche senza ricorrere a un fondamento
sovrannaturale.
La possibilità del naturalismo può quindi essere rivendicata in piena dignità e
autonomia, eppure continua ad attirare resistenze e ostilità che poco hanno a
che vedere sia con il contenuto scientifico della teoria dell'evoluzione sia con
una sua corretta analisi filosofica. Il creazionismo biblico - cioè il tentativo
di contrapporre alla spiegazione scientifica il dettato letterale del testo
sacro - ha ceduto il passo, in tempi recenti, alla dottrina del cosiddetto
«Disegno Intelligente», una rivisitazione della teologia naturale inglese di
primo Ottocento. I nuovi creazionisti prendono atto della realtà
dell'evoluzione, della trasformazione delle specie per discendenza comune e del
fatto che la Terra, oltre a non essere piatta, probabilmente non ha nemmeno i
6000 anni previsti dalla Bibbia. Ciò che si continua a non accettare è la
spiegazione scientifica e naturalistica di questi fatti, cioè la teoria
dell'evoluzione per variazione e selezione, alla quale si contrappone l'ipotesi
secondo cui la storia naturale sarebbe stata fin dall'inizio diretta da un
«disegno superiore».[...]
Analizzando la letteratura prodotta dai sostenitori dell'Intelligent Design con
i criteri solitamente adottati per le teorie scientifiche, è facile constatare
come questa dottrina violi tutte le minimali regole che la comunità scientifica
si è data per costruire correttamente i propri programmi di ricerca. Non esiste
alcuna base empirica a suo favore, le inferenze logiche addotte sono del tutto
inconsistenti e le ipotesi alternative introdotte risultano essere completamente
infalsificabili. Anche in termini di possibile critica costruttiva della
spiegazione evoluzionistica, la dottrina del disegno intelligente non individua
alcun punto realmente fallace del programma di ricerca in uso. È quindi una
forma di dissenso inutile e sterile, motivata da ragioni ideologiche e
politiche. Infine, completando l'analisi con un semplice ragionamento per
assurdo, vediamo chiaramente che se esistesse davvero un «progetto» insito nella
natura esso non sarebbe affatto intelligente né direzionato, poiché è assai
difficile riscontrare nella storia naturale una linea universale di progresso,
una finalità cosciente o una perfezione intrinseca. Al contrario, come molti
scienziati credenti hanno denunciato, la teoria del disegno intelligente crea un
grande imbarazzo soprattutto a livello teologico, poiché radicalizza e
drammatizza il problema del male nel mondo: come può un Dio, che ha progettato
questa storia naturale piena di morte, di sofferenza e di violenza, essere al
contempo onnipotente e infinitamente buono?[...]
Anche se al momento non si registra un'adesione ufficiale della Chiesa cattolica
alla dottrina neocreazionista degli evangelici americani, il dibattito in Italia
si è arroventato e il lascito darwiniano torna a essere di stretta attualità
polemica. La possibilità di una concezione pienamente laica del vivente e della
natura umana è tornata a essere, addirittura, una «minaccia per la dignità
dell'uomo». Non si ricorre esplicitamente al «dio progettista» o al «dio delle
lacune» dei neocreazionisti, ma in compenso nel nostro paese si lanciano
improbabili campagne di discredito nei confronti di Darwin, accusato a
posteriori di essere la fonte delle peggiori ignominie novecentesche, dal
razzismo all'eugenetica.
Possiamo così trovare normalmente su giornali a grande tiratura le tesi di
filosofi che con leggerezza contrappongono l'uno all'altro gli opposti «fondamentalismi»
del creazionismo e dello «scientismo», dimenticando che la scienza, per quanto
possa essere cieca e bisognosa di una guida morale, si fonda proprio sul rifiuto
di testi sacri e di autorità precostituite a cui riferirsi come fondamenti
assoluti. Si diffondono argomenti «sovrannaturalistici» delle più diverse
fattispecie, ma accomunati dal medesimo obiettivo: quello di confondere le
competenze fra scienza, filosofia e teologia. [...] Si profila un duplice
diniego, quindi, in terra europea: del creazionismo d'oltreoceano, ma anche
della possibilità filosofica che ci ha lasciato Darwin, ovvero la sfida del
naturalismo e l'emancipazione dalla tutela coatta di qualsiasi sapere forte che
imponga i propri principi alla libera crescita della conoscenza.
TELMO PIEVANI La Stampa 12/2/08