GIUSTIZIA
La controriforma a piccoli
passi
Prende rapidamente corpo il progetto governativo che tende a ridurre i
controlli di legalità al fine allargare le maglie d'impunità per i più abbienti
e di restringere gli spazi di libertà per i cittadini meno protetti.
Esempi lampanti di questo sistema sempre più orientato verso un «doppio binario»
sono l'irrigidimento delle norme sui migranti, sui recidivi e sui marginali da
una parte e l'accorciamento dei termini di prescrizione per gli incensurati
dall'altro, seguiti dalla modifica delle intercettazioni e dalla riforma del
processo penale che renderanno certi il carcere per chi ha poco e la
prescrizione per chi ha molto.
Le intercettazioni, con le clausole degli «evidenti indizi di colpevolezza», dei
ridotti limiti temporali e della intrasferibilità dal processo per le quali sono
state disposte ad altri reati eventualmente accertati nel corso degli ascolti,
rendono un favore alla criminalità organizzata e a quella dei corruttori, degli
evasori fiscali, dei predatori dell'ambiente, tutelati, tra l'altro, dal
bavaglio imposto alla stampa. Il dato inquietante è la risposta
parlamentare a questo scempio: ci si aspettava una resipiscenza da qualche
settore della maggioranza e invece alla camera ci sono stati 21 franchi tiratori
dell'opposizione che hanno condiviso le pulsioni repressive del governo.
La marcia del centrodestra non si ferma qui e continua con il progetto di legge
di riforma del processo penale proposto da Alfano e già in discussione alla
commissione giustizia del senato. Il punto cardine è l'affidamento esclusivo
della notizia di reato alla polizia giudiziaria (cioè all'esecutivo), mentre
sino ad oggi essa poteva prenderla «anche» di propria iniziativa, condividendo
questo potere con gli uffici delle procure e i pm. Ora la proposta è oltremodo
chiara: «La polizia giudiziaria deve prendere di propria iniziativa e ricevere
notizia dei reati». Caduto quel fatidico «anche», per il concreto
esercizio dell'azione penale i pm dovranno attendere la notizia di reato dalla
polizia giudiziaria e non potranno più attivarsi per cercarla, né «prenderla»
anche se per caso la dovessero trovare in una notizia di stampa. Questa
modifica epocale non ha nessun aggancio costituzionale ed, anzi, l'art. 109
Cost. («L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria»)
sembra suggerire l'esatto contrario: se dovesse passare, comporterebbe una
dipendenza diretta dell'autorità giudiziaria dalla polizia. Vincolo
capovolto e rafforzato da una seconda modifica che impone al pm, dal quale pur
sempre quella dipende operativamente, di impartire direttive e deleghe di
indagine «al dirigente del servizio o della sezione di polizia giudiziaria»: un
modo per evitare qualsiasi forma di incontrollato feeling investigativo
tra il pm e investigatori e ricondurre tutto sotto l'occhio vigile dei dirigenti
di polizia.
L'occasione è abbastanza ghiotta per regolare anche un altro conto con
magistrati «alla Gandus» i quali si dovranno astenere, o potranno essere
ricusati, non solo se esistono «altre gravi ragioni di convenienza» (com'è
attualmente, ragioni però sempre legate a conflitti interni al processo del
quale si occupano) ma anche se hanno espresso «giudizi fuori dall'esercizio
delle funzioni giudiziarie, nei confronti delle parti del procedimento e tali da
provocare fondato motivo di pregiudizio all'imparzialità del giudice». Il vago e
inafferrabile riferimento a «giudizi», allude chiaramente a qualsiasi
espressione di consenso o dissenso di politica giudiziaria o di politica tout
court che nulla ha a che fare con le ragioni disciplinate in precedenza dal
codice e che ora, invece, costringeranno i giudici a tacere su tutto e su tutti
pena la ricusazione, con buona pace delle libertà di espressione e di
partecipazione riconosciute a tutti gli altri cittadini.
Il processo, comunque, va frenato il più a lungo possibile dando alle parti il
potere di chiedere l'ammissione di tutte le prove purché non siano vietate dalla
legge o manifestamente irrilevanti. Ciò comporterà una riduzione del
potere di controllo del giudice, un allungamento di tempi dovuto alla necessità
di sentire tutti i testimoni possibili e immaginabili, compresi i «superflui», e
maggiori occasioni di appelli o ricorsi per nullità, con la prescrizione sempre
più vicina.
A ben vedere, il tutto è coerente con il disegno complessivo di
normalizzazione del nostro sistema giudiziario che avrebbe bisogno di ben
altre riforme e mezzi materiali e che, invece, è convertito in una macchina
tritatutto per i marginali mentre viene rafforzato nell'inefficienza per i
poteri forti. Sarebbe riduttivo pensare che siano solo gli affari berlusconiani
ad esigerlo. C'è un'emergenza sociale che si aggrava di giorno in giorno e
richiederà una stretta repressiva e un potere di controllo straordinario, per
non disturbare i manovratori sempre più svincolati dai controlli di legalità per
continuare a depredare indisturbati.
Giuseppe di Lello, magistrato il manifesto 19 6 2009