Gay, se il Vaticano
cerca il meglio e fa il peggio
“Il buono è buono,ma il migliore è meglio". Pare sia un antico proverbio, in
tutta sincerità lo
conosciamo da 5 minuti (e lo troviamo un po’ scemo). Invece è una vita che
sentiamo ripetere al
Maurizio Costanzo Show che "il meglio è nemico del bene" (motto che ci affascina
assai di più).
Ora siamo in confusione: posto un termine positivo, un elemento di giudizio cui
fare riferimento
(insomma, qualcosa di "buono"), pare, per saggezza popolare, che esista sempre
qualcosa di
migliore, un grado ulteriore di bontà, un margine di incremento di virtù. E,
tuttavia, la medesima
saggezza ci dice che, in fin dei conti, questo continuo rimando al meglio
rischia di tradursi in una
spirale di insoddisfazione, dove il bene non basta mai. E per rincorrere il
meglio si finisce per
smarrirlo. Tutto questo per dire che il Vaticano ha recentemente bocciato
il progetto di dichiarazione
che la Francia intende presentare a nome dell’Unione europea all’Onu, per la
depenalizzazione
universale dell’omosessualità. Non perché, secondo la Santa Sede, gli
omosessuali vadano
perseguiti: no. Bensì perché «con una dichiarazione di valore politico (…) si
chiede agli Stati e ai
meccanismi internazionali di attuazione e controllo dei diritti umani di
aggiungere nuove categorie
protette dalla discriminazione, senza tener conto che, se adottate, esse
creeranno nuove e
implacabili discriminazioni. Per esempio, gli Stati che non riconoscono l’unione
tra persone dello
stesso sesso come “matrimonio” verranno messi alla gogna e fatti oggetto di
pressioni» (queste le
motivazioni fornite alla stampa).
Lo stesso Vaticano ha anche espresso dissenso nei confronti della Convenzione
Onu sui diritti delle
persone disabili, entrata in vigore l’8 maggio scorso. Alla vigilia della
giornata internazionale
dedicata ai disabili promossa dalle Nazioni Unite, la Santa Sede ha confermato
la già annunciata
decisione di non firmare il documento, a motivo di quanto la convenzione prevede
in materia di
"salute sessuale e riproduttività": ovvero, a causa del mancato inserimento, nel
testo, di un rifiuto
esplicito dell’aborto (e benché l’articolo 10 di quel testo preveda
espressamente il diritto alla vita
per le persone disabili). Il Vaticano, insomma, sembra non volersi
accontentare del bene per
rincorrere ciò che ritiene il meglio. Va da sé: a noi vien voglia di suggerire
come, in questi due casi,
a essere nemico del bene sia il peggio. E pensare che l’osservatore
permanente della Santa Sede
presso le Nazioni Unite, colui che per conto del Vaticano ha detto "no" a
entrambi i documenti, di
nome fa Celestino. E di cognome Migliore.
Luigi Manconi e Andrea Boraschi l'Unità 7 dicembre 2008
La morte mai più
come pena
Qual è il primo Stato che ha abolito la pena di morte? A sessant'anni dalla
Dichiarazione universale
dei diritti dell'uomo, forse è il caso di ricordare che questo encomiabile
primato spetta alla Toscana,
grazie a un editto emanato dal granduca Pietro Leopoldo il 30 novembre 1786. Ed
è degno di lode
anche che, dal 2000, ogni anno, a partire da quella data, si celebri la «Festa
della Toscana» nello
spirito di quella fondamentale conquista di civiltà. L'editto non è molto più
lungo di una «filosofia
minima», e recepisce in breve la grande lezione di Cesare Beccaria.
«Abbiamo veduto con orrore con quanta facilità nella passata Legislazione era
decretata la pena di
Morte per Delitti anco non gravi», si legge nell'editto, che prosegue con perle
di saggezza, che oggi
vorremmo dare per scontate. «L'oggetto della Pena deve essere la soddisfazione
al privato ed al
pubblico danno» e «la correzione del Reo», che ha commesso delitti anche gravi,
che non deve
restare «in libertà di commetterne altri». A tale scopo lo Stato deve adottare i
«mezzi più efficaci col
minor male possibile al Reo» e «tale efficacia e moderazione insieme» si
ottengono «più che con la
Pena di Morte, con la Pena dei Lavori Pubblici, i quali servono di un esempio
continuato, e non di
un momentaneo terrore, che spesso degenera in compassione, e tolgono la
possibilità di commettere
nuovi Delitti, e non la possibile speranza di veder tornare alla Società un
Cittadino utile e corretto».
Tutto chiaro, tutto scontato? Non direi, se è vero che ancora oggi ci sono
Stati che comminano la
pena di morte persino per comportamenti che non recano danni a nessuno, e che
dunque è persino
assurdo considerare reati, come per esempio l'omosessualità. E ci sono Stati,
come il Vaticano, che,
quando qualcuno all'Onu cerca di lanciare una moratoria contro una simile
barbarie, si dichiarano
contrari adducendo ragioni a dir poco contorte. Ben chiaro era stato invece
il Granducato di
Toscana: «Abbiamo abolito con la presente Legge per sempre la Pena di Morte
contro qualunque
Reo, sia presente, sia contumace, ed ancorché confesso, e convinto di
qualsivoglia Delitto
dichiarato Capitale dalle Leggi fin qui promulgate, le quali tutte Vogliamo in
questa parte cessate ed
abolite».
Armando Massarenti
Il Sole-24 Ore 7 dicembre 2008