Il futuro impossibile
I rimpianti non si limitano a rovinare la vita e la salute mentale, ma rivelano
una pericolosa destrutturazione della nostra temporalità, dove il passato divora
il presente e il futuro e, senza futuro, non c´è vita che possa dischiudersi a
un avvenire. Sia Giuda che Pietro, ad esempio, tradiscono il loro Maestro. Giuda
si fa divorare dal passato e perciò conclude col suicidio la sua esistenza.
Pietro invece relega nel passato il tradimento e concede al futuro una
possibilità di riscatto.
Quando il passato assorbe tutto il nostro spazio temporale, il presente diventa
il tempo dell´incessante lamento, fatto di "se", "se non", "se avessi", "se non
avessi", e il futuro si dischiude come ambito di vuote intenzioni. La vera
perdita sottesa al rimpianto, infatti, non è il desiderio inattuato, l´occasione
mancata, la carriera sfumata, l´amore perduto, ma la capacità di darsi il
futuro. Esemplare a questo proposito è l´espressione di Rousseau: "Per me la
previsione ha sempre sciupato il godimento. Ho visto il futuro solo perdendoci",
dove ritorna il motivo della "perdita" come perdita della possibilità di fare
nuove esperienze.
Nel rimpianto si estingue l´attività con cui tendiamo verso l´avvenire, e al suo
posto subentra l´attesa dove un futuro senza progetti viene insignificante verso
di noi. Insieme all´attività si spegne il desiderio che per sua natura è
proiettato in avanti e col desiderio la speranza che non è vuota consolazione,
ma apertura alle possibilità a venire, che ci evita di trattenerci nella
prigione di un presente che, senza prospettive, si risolve nella malinconica
memoria di un passato immodificabile.
La noia che proviamo quando ascoltiamo chi, con rimpianto, ci parla del suo
passato è forse la più palese testimonianza che in lui le sorgenti della vita si
sono inaridite, perché ogni progetto, prima ancora di nascere, è già catturato
dal rimpianto che lo immobilizza in un passato senza avvenire e senza oblio, il
quale, diciamolo, non è un difetto della nostra memoria, né un principio di
economia mentale, ma la grande regola del passato, senza la quale la vita non
potrebbe esprimere un presente, né progettare un avvenire.
Ma là dove il passato non è superato, anche la libertà viene trattenuta in
quello sguardo retrospettivo dove il rimpianto si ripropone in quelle modalità
ossessive che assediano il presente e lo rendono inidoneo al futuro. Il
rimpianto dunque non è da coltivare. E coloro che si soffermano o vi indugiano
pensano di soffrire per il loro passato. In realtà ciò di cui davvero soffrono è
l´incapacità di darsi un futuro.
Umberto Galimberti Repubblica 3.1.08