Il futuro colorato
di speranza
Il bilancio che ciascuno di noi fa sui dodici mesi trascorsi è sempre
condizionato dalle aspettative
che aveva nutrito nell'anno precedente e, specularmente, orienta le speranze per
l'anno a venire,
soprattutto quando ci veniamo a trovare alla fine di un decennio: allora attese
e disillusioni si fanno
più forti, quasi che il misurare il tempo in cifre tonde e simboliche - gli anni
«zero» del terzo
millennio - sia percepito con maggiore intensità e che le svolte impresse al
corso della storia
debbano assumere un carattere più marcato.
Così, il dover constatare anche alla chiusura di quest'anno che ben poco è
stato fatto per sanare
situazioni negative nella convivenza umana, in ambito nazionale come a livello
planetario, risulta
fonte di particolare amarezza. Non solo, sembra quasi che il protrarsi
indefinito di profonde ferite
inferte all'umanità e al creato finiscano per trasformarsi in ineluttabili
calamità, cui si è fatta
l'abitudine e che si derubricano a problemi cronici, non più degni di attenzione
e di impegno. È il
caso delle guerre e delle patenti violazioni dei diritti umani in certe aree del
globo: i conflitti
vengono dimenticati, le vittime ignorate, le sofferenze banalizzate, come se si
trattasse di ciclici
eventi naturali, analoghi all'alternarsi delle stagioni.
La crisi economica, per esempio, ha solo superficialmente
scalfito la fiducia
nell'autoregolamentazione del mercato globale, suggerendo al massimo alcuni
accorgimenti per una
maggiore vigilanza, mentre le ingiustizie di fondo che pervadono i rapporti
produttivi e commerciali
non sono state considerate degne di seria attenzione. Anche la mancanza di
legalità o l'irrisione
dello stato di diritto, il non rispetto delle minoranze e dei più deboli e
indifesi, il diradarsi delle
strutture di solidarietà e di integrazione sociale paiono ormai atteggiamenti
passivamente acquisiti,
la cui disumanità non interpella più le coscienze. A poco a poco ci
si assuefa alla barbarie
quotidiana, si rinuncia alla sana indignazione contro gli attentati portati alla
dignità di ogni essere
umano, si considera scontata l'impossibilità del dialogo civile, ci si rassegna
a una sorda lotta di tutti
contro tutti.
Eppure l'animo umano fatica a rinunciare alle aspettative di
miglioramento, è portato a «sperare
contro ogni speranza», soprattutto là dove percepisce che non è in gioco
solo il mero interesse
personale, ma il futuro delle generazioni che si affacciano oggi all'esistenza e
di fronte alle quali
saremo considerati responsabili: il desiderio di riconsegnare la società civile
in condizioni migliori
di quelle nelle quali ci è stata affidata da quanti ci hanno preceduto anima il
cuore e l'intelligenza di
ogni essere umano degno di tal nome. Per i cristiani, in particolare, cittadini
come gli altri e solidali
con loro nelle vicende quotidiane, questo desiderio assume anche i tratti
dell'annuncio di verità in
cui si crede: non dogmi astratti, ma convinzioni che muovono il pensare e
l'operare. Allora non è
utopia sperare che l'annuncio evangelico delle beatitudini, il disarmo di ogni
inimicizia, il prendersi
cura di chi è nel bisogno, il perdono per le offese ricevute possano trovare
fecondo terreno di
crescita non solo nei cuori dei singoli, ma nel tessuto stesso dalla convivenza
civile: queste speranze
non sono il non-luogo dei nostri sogni, ma l'anelito insopprimibile che rende
sopportabile anche un
presente intristito nel suo ripiegarsi su se stesso.
Cesserà l'imbarbarimento dei rapporti quotidiani?
Rinascerà la solidarietà tra le generazioni e le
popolazioni della terra? Si concretizzerà la cura e la custodia per un creato
affidato alla mano
sapiente dell'uomo? I più deboli troveranno nei più forti sostegno e non
oppressione? Le carestie, le
guerre e le pandemie finiranno di essere considerate ineluttabili e verranno
contrastate nelle loro
cause e nei loro effetti? La pace ritroverà nel concreto della storia il suo
significato di vita piena e
ricca di senso? E ancora, crescerà il dialogo franco e autentico all'interno
della chiesa e tra le
chiese? Ci si aprirà all'ascolto dell'altro, al rispetto delle sue
convinzioni, al discernimento delle sue
attese, indipendentemente dal suo credere o meno? A questo dovremmo
pensare quando ci
scambiamo gli auguri: non a un gesto formale e scaramantico, ma a una
promessa di impegno e a
un'assunzione di responsabilità. Perché lo sguardo critico e sereno sul grigiore
del passato è già
apertura a un futuro colorato di speranza.
Enzo Bianchi la Stampa 24 dicembre 2009