Il fondamentalismo dell'horror |
Il documento dei dirigenti delle cliniche romane di
ostetricia, che sancisce il dovere dei medici di rianimare in ogni caso il feto
neonato in estrema prematurità, pur in presenza di rischi di gravi sofferenze e
malformazioni e anche contro la volontà della madre, ha un sapore di
provocazione fondamentalista che rasenta l'horror. Molto è stato detto su questa
«crudeltà insensata», come l'ha giustamente definita Livia Turco. Ma credo che
partendo dal senso di sgomento per tali aberrazioni si debba riflettere sulle
cause profonde. Ritengo che al fondo della crudeltà insensata del documento ci
sia un senso alienato della vita.
Un senso derivante dalla penetrazione nella società moderna del dominio del
sacro che è una delle principali fonti di violenza. La vita è sacra in quanto
parte di un tutto in divenire che comprende finitezza e morte. La cultura
sacrale invece separa la vita dalla sua finitezza.
La vita viene sacralizzata come dimensione astratta contrapposta alla dimensione
altrettanto astratta della morte. La sacralità intesa come astrazione,
separazione e contrapposizione fra le varie dimensioni della nostra esistenza è
la proiezione di un'angoscia irrisolta, di una frattura interna, di una mancanza
di autonomia e infine di una alienazione della propria soggettività nelle mani
del potere.
Sbaglieremmo se identificassimo il sacro solo con la sua espressione di
tipo religioso. La sacralità è una funzione del potere, del dominio e
dell'espropriazione dell'uomo e della donna. Ovunque si afferma lo
spazio sacro ivi c'è l'interdizione dell'uomo della donna di gestire la propria
esistenza con la ragione e con l'azione responsabile. E s'impone il potere
assoluto di un dio, sia il dio delle religioni tradizionali o il dio delle
religioni profane, le religioni del danaro, della scienza, della tecnica, della
guerra. Questo travaso del sacro dalla cultura religiosa alla razionalità
moderna non andrebbe secondo me sottovalutato.
Sono tanti i laici che credono di essersi liberati del sacro perché non si fanno
più il segno della croce. Si dichiarano non-credenti, atei, agnostici e si
voltano altrove. E così le strutture del sacro che avvincono le regioni profonde
delle persone e della società possono agire liberamente continuando a inquinare
le nostre esistenze individuali e collettive.
Se ci guardiamo un po' dentro troviamo una percezione della vita separata dalla
sua intrinseca finitezza, scorgiamo nella penombra oscura del nostro profondo il
mito o il sogno per tutti inconfessato dell'immortalità e troviamo parimenti una
percezione della morte come realtà a sé separata dalla vita, come male assoluto,
ipostasi o icona del nemico dietro a cui si celano tutte le inimicizie. Mentre
la vita e la morte sono una cosa sola. E la morte è immersione della vita nel
mare della vita.
I germi del sacro come alienazione sono stati insinuati dal cristianesimo
dogmatico per secoli nelle coscienze. Attraverso i catechismi siamo stati
abituati fin da piccoli a considerare la morte come punizione per il peccato:
una specie di condanna a morte dell'umanità intera divenuta peccatrice, una
esecuzione capitale che solo Dio ha il diritto di eseguire. La mostruosità
distruttiva della violenza nasce da lì, dalla mostruosità di quella «condanna a
morte», dalla mostruosità della violenta espropriazione della nostra
responsabilità. Il dogmatismo cristiano non ha inventato di sana pianta questa
idea. L'ha ereditata dai millenni e l'ha rielaborata compiendo un vero e proprio
rovesciamento del messaggio di gioiosa speranza che promana dalle più antiche
tradizioni dei Vangeli. E a sua volta l'ha trasmessa subdolamente alla società
secolarizzata.
Il dogmatismo cristiano, condiviso da altre religioni, ha cambiato
maschera e si è insinuato nella cultura moderna. Nel nostro tempo la
funzione di esorcizzare la morte, di separarla dalla vita e di disporre sia
dell'una che dell'altra è assolta da grandi costruzioni sociali laiche fra cui
non ultima la medicina. E' da lì, da quella radice sacrale, da quella
sacralizzazione alienante, che nasce anche il documento sulla
rianimazione dei feti e l'espropriazione della soggettività responsabile della
madre.
E' un compito immane la liberazione del profondo dalla cultura sacrale. Richiede
tempi troppo lunghi per la nostra impazienza. Può scoraggiare.
L'impegno per la liberazione sociale e politica può essere considerato una
priorità assoluta. Eppure il lavoro sul profondo è indispensabile. Il ritorno
del sacro come radice della violenza è sempre incombente e sempre pronto ad
annullare tutte le conquiste realizzate sul piano prettamente politico.
Lo costatiamo ogni giorno. E' necessario opporsi all'ingiustizia e alla guerra
ma il nostro impegno non sarà efficace se non c'incurveremo in un grande sforzo
collettivo per individuare e sradicare il gene della violenza dal Dna
culturale e religioso, creando e diffondendo una cultura di assunzione di
responsabilità non violenta per tutti i viventi, impastata di saggezza e di
responsabilità.
Enzo Mazzi, comunità dell’Isolotto, Firenze Il manifesto 8/2/2008