Il flop praghese di papa Ratzinger
Tra le tante operazioni ideologiche che vedono impegnati i media, inesorabilmente c’è l’esaltazione, comunque e dovunque, del viaggio papale. Una specie di topos narrativo. E celebrativo. Così la tre giorni del papa nella Repubblica ceca che avrebbe dovuto essere resocontata per il flop che è stata, viene rappresentata invece come una specie di trionfo di Ratzinger. L’ennesimo, del resto. Invece, al di là dei messaggi subliminali e delle citazioni colte, proprio di un flop questa volta si è trattato.
Vediamo perché. L’Osservatore
romano ha parlato di "confronto con i non credenti", il portavoce del papa
padre Federico Lombardi di "missione per rilanciare la fede", Benedetto XVI
stesso ha insistito sul ruolo di "minoranza creativa" per i cattolici in terra
di Boemia e Moravia, con un messaggio ai giovani ("non fatevi ammaliare dai
paradisi artificiali e dalle false e alienanti prospettive del consumismo") e
all’Europa - perché i leader siano "credenti e credibili" - e si sprecano le
interpretazioni sulla parola del papa, per l’occasione all’assalto, improbabile,
di Berlusconi.
Su tutte, emerge la preoccupazione del cardinale di Cracovia, già segretario di
Wojtyla che, accorso dalla Polonia, ha ricordato che questo è per il vecchio
continente "un momento cruciale… il comunismo è caduto ma adesso il momento è
più difficile e il nemico più pericoloso".
Messaggi a parte, chi ha davvero ascoltato la parola del papa e perché è arrivato in missione a Praga? Papa Ratzinger, il pastore tedesco, è arrivato nel cuore inconcluso d’Europa che, nonostante siano passati venti anni dal crollo del socialismo reale nell’89, non ha ancora un concordato, un patto politico, istituzionale e legale con il Vaticano e i suoi interessi nella Repubblica ceca. Essendo fallita, tra l’altro l’operazione politica che vedeva nel Partito dei popolari cattolici l’interlocutore diretto di questa prospettiva quando scambiarono il loro voto di appoggio per l’elezione a presidente della repubblica di Vaclav Klaus: ora quel partito è fuori dal governo e si è scisso. E lo scambio, nonostante le promesse, non c’è mai stato. Né risulta essere nelle prospettive politiche, tantomeno di quelle presidenziali, visto che le autorità politiche che il papa ha incontrato di questo non han voluto parlare.
C’è in gioco la rivendicazione da parte della Chiesa cattolica di una serie di beni fondiari che ancora contraddicono l’autonomia amministrativa di molti comuni cechi e, soprattutto c’è la richiesta dell'immensa Cattedrale di San Vito che si trova all’interno del Castello di Praga. Il Vaticano la rivendica al cattolicesimo, in un paese che istituzionalmente, dal dopoguerra e fino ad oggi, non si dichiara nemmeno cristiano. Anche se è forte il protestantesimo riformatore hussita - di Jan Hus che, poco prima del protestantesimo di Lutero, pagò con il rogo l’idea di un "cattolicesimo dal volto umano". E in un paese che, dai sondaggi recenti, si dichiara per più del 66% agnostico e ateo. E che nella sua parte minoritaria e credente ritiene che la chiesa di San Vito appartenga a tutte le comunità cristiane, non a Roma - anche perché è stata costruita nell’epoca in cui i cristiani erano uniti.
Tant’è che l’attuale primate
della chiesa ceca, il cardinale, Vaclav Maly, ha recentemente dichiarato
l’intenzione di dimettersi perché l’obiettivo del concordato che lui si era dato
come ineludibile per il suo mandato, è stato ormai fallito.
Veniamo ora ai richiami storici e alle greggi che sarebbero accorse alla
testimonianza papale. La folla di Brno è stata data per "130mila persone": erano
due settimane che si annunciavano dai media e dalla Santa sede che sarebbero
accorse proprio "130mila persone". Il numero è stato incredibilmente indovinato.
Senza però tenere conto del fatto che Brno, prima tappa del viaggio, è alla
frontiera di Austria e Ungheria, e la cattolicissima Polonia è a 250 chilometri.
Da tutti queste realtà infatti è arrivata una multiforme presenza organizzata.
Che è invece visibilmente mancata il giorno dopo sulla spianata di Stara
Boleslav, a soli 35 km da Praga, ma ahimé in giorno non festivo e nonostante
pullman arrivati anche stavolta da Varsavia e Budapest. Per questo secondo
appuntamento, le agenzie locali e internazionali hanno oscillato a descrivere
una presenza sulle "15-20mila persone", per arrivare alla fine alle "30-50mila".
Assai poco per il Vicario di Roma.
Comunque, nei tre giorni di viaggio, ha ricordato i martiri del comunismo - a
dire il vero la maggior parte dei martiri del "comunismo" erano nella repubblica
Cecoslovacca unita soprattutto i comunisti, fin dalla fine degli anni Quaranta.
Purtroppo papa Ratzinger, ancora una volta, ha perso un’occasione
importante per denunciare e ricordare almeno due vergognose malefatte della
Chiesa cattolica romana. La prima, non avere detto mezza parola sul terribile
ruolo del Vaticano che mantenne nella Chiesa cattolica monsignor Jozef Tiso,
primo ministro della Slovacchia - prontamente separatasi dai cechi dopo
l’annessione dei nazisti della regione dei sudeti e diventata con lui un regime
nazifascista schierato con la Germania di Hitler dalla fine degli anni Trenta
fino al ’41, favorevole inoltre all’invasione della repubblica ceca. E, quindi
ha mancato una denuncia della corresponsabilità nella deportazione e sterminio
degli ebrei slovacchi - 58.000 ebrei (il 75% degli ebrei slovacchi) furono
inviati nei campi di concentramento in questo periodo, sono sopravvissuti solo
in 700 - e cechi. Poteva incontrare, con questo peso di responsabilità, quel che
resta della comunità ebraica di Praga, invece si è limitato a stringere la mano
a due rappresentanti in fila tra gli altri esponenti delle religioni locali.
Alla fine non è nemmeno servito che, come ultimo tentativo di modernità, i salmi
adattati a musica rock e il silenzio del papa su "omosessualità e preservativi":
decine di giovani a piazza Venceslao - come la chiamano a Praga, volutamente
omettendo il "San" - hanno chiesto a Ratzinger proprio sui preservativi proibiti
dalla Chiesa romana: "Papa, non predicare la morte". Più d’un
flop. Un disastro, papale papale.
Tommaso di Francesco il manifesto 30/9/2009