Fisica: non è stata intolleranza né integralismo
La visita del Papa alla Sapienza, ecco perché abbiamo protestato
Il diritto alla parola non va confuso con l'ingerenza
La protesta dei professori e degli studenti dell'Università La Sapienza di Roma
circa la presenza di Papa Benedetto XVI all'inaugurazione dell'anno accademico
2007/2008, è stata vista ed è stata voluta vedere da molti media come una forma
di integralismo e di intolleranza. Vorremmo in qualche modo controbattere e
spiegare meglio le nostre ragioni che evidentemente non sono state comprese.
Ognuno ha diritto di parola, non è questo che mettiamo in discussione, ma quando
si riveste una carica politica o religiosa le cose cambiano. Il potere di una
persona esiste perché legittimato. In uno Stato laico e democratico in cui il
potere è delegato dai cittadini, una così pesante ingerenza del massimo
esponente di una religione la cui legittimazione è del tutto estranea al diritto
italiano, è sicuramente da contestare. Per questo siamo stati contrari alla
presenza del Papa in veste istituzionale durante l'inaugurazione dell'anno
accademico in una Università statale, pubblica e laica.
«Intorno a loro si sente l'odore del diavolo». Con queste parole il direttore di
Radio Maria ha descritto - senza che nessuno facesse veglie - quei sessantasette
docenti dell'Università La Sapienza di Roma, già da altri pulpiti definiti
mediocri, imbecilli e piccoli. La loro colpa? Il loro peccato capitale? Forse
aver venduto l'anima al diavolo? Sembra quasi che abbiano fatto qualcosa di
peggio. Hanno difatti osato manifestare il proprio dissenso definendo, in una
lettera inviata al rettore Guarini alla fine del mese di novembre (si noti la
data, importantissima per una veritiera ricostruzione dei fatti), «incongruo»
l'invito rivolto al Papa-docente Benedetto XVI di partecipare all'inaugurazione
dell'anno accademico della prima università italiana con una lectio magistralis,
perché di questo si sarebbe dovuto trattare stando all'invito rivolto al
Pontefice, fino a quella data.
Hanno difatti continuato imperterriti a esprimere le proprie opinioni, e da
persone pensanti dotate di senso critico hanno applicato l'insegnamento del
sociologo Robert Merton per il quale, più che altrove, nelle scienze naturali e
umanistiche l'analisi critica è norma assoluta e l'ipse dixit non è valido in
alcun caso.
Hanno applicato semplicemente quello che è uno dei principi cardine della
democrazia, dichiarando il proprio disappunto al loro rettore. In tutto questo
noi non vediamo censura o atteggiamenti integralisti di chiusura: non si legge
infatti nella lettera del professor Cini o dei 67 "dissidenti" (che i vari
politici di destra e sinistra farebbero bene a leggere prima di parlare a
sproposito) una contestazione alla legittimità dell'invito, né tanto meno il
ricatto di costruzione di barricate.
Pare però che non tutti la pensino così, (o fa loro comodo non pensarla così), e
che il motto di Voltaire possa essere applicato solo ad alcuni e non ad altri.
Pare che l'esprimere liberamente le proprie opinioni in uno Stato laico, cioè
anche libero come molto spesso è stato ricordato in questi giorni, quale quello
italiano, non sia prerogativa di tutti. Se lo si fa si viene bollati come
illiberali, censorei, mediocri, piccoli, imbecilli e chiaramente satanici.
Come scrive Pietro Grasso sull'Unità del 18 gennaio 2008, «non dobbiamo
preoccuparci per il giudizio - certo criticabile, ma legittimo nel metodo e ben
fondato nel merito, espresso dai 67 - ma faremmo bene a preoccuparci del
conformismo di un paese che tratta così sessantasette persone che hanno l'unico
torto di aver fatto emergere con ingenua determinazione l'esistenza di un nodo,
quello dei rapporti tra Chiesa e società, che negli ultimi tempi si è
aggrovigliato e si è stretto fino a diventare a volte doloroso».
È infatti solo di pochi giorni fa l'attacco della Cei alla 194 e alle unioni di
fatto, e non è di certo qualcosa di nuovo o sorprendente. Negli Angelus questo
Papa parla troppo spesso di questioni che riguardano la politica italiana o
altrettanto spesso la ricerca scientifica.
Siamo stati accusati di integralismo, ma sul dizionario sotto la parola
«integralismo» si legge: «tendenza ad applicare in modo intransigente ed
esclusivo i principi di una dottrina o di un'ideologia». Bene, allora è proprio
a questo «integralismo» che ci opponiamo, è proprio per una scienza libera dai
principi di qualunque ideologia precostituita.
Secondo la Costituzione italiana «la Repubblica italiana e la Santa Sede
riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio
ordine, indipendenti e sovrani», ma troppo spesso questa indipendenza viene
meno, proprio quell'indipendenza che dovrebbe fare dell'Italia un Paese non
integralista.
È Benedetto XVI stesso nel suo discorso preparato per La Sapienza, a scrivere
che dopo la sua fondazione voluta dal Papa Bonifacio VIII, l'istituzione era
alle dirette dipendenze dell'Autorità ecclesiastica, ma che successivamente lo
Studium Urbis si è sviluppato come istituzione dello Stato italiano, come
università laica, autonoma e libera da autorità politiche ed ecclesiastiche. Ma
poi è lui stesso che ricorda il significato della parola vescovo, ossia
sorvegliante, pastore, «colui che da un punto di vista sopraelevato, guarda
all'assieme, prendendosi cura del giusto cammino e della coesione dell'insieme»,
ed è ancora nel suo discorso che si legge: «Se però la ragione - sollecitata
dalla sua presunta purezza - diventa sorda al grande messaggio che le viene
dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui
radici non raggiungono più le acque che gli danno vita».
E allora ci chiediamo, se il messaggio cristiano deve essere «un punto di vista
soprelevato», o ancora la radice della ragione, che la guida e la sorveglia,
dov'è questa autonomia di cui lo stesso Pontefice parlava prima? Non si rischia
di trascendere nello stesso «integralismo» di cui sono stati accusati alcuni tra
i più importanti scienziati italiani? La questione del rapporto tra Stato e
Chiesa interessa il nostro Paese da anni, e ha profonde radici culturali, e noi
proprio partendo dalla cultura, laica e democratica, ci siamo voluti confrontare
con questo problema, ribadendo ancora una volta il diritto di ognuno a esprimere
le proprie opinioni, ma anche il dovere di ogni potere di rimanere nella propria
sfera di competenza e legittimazione.
di Alcuni studenti di Fisica dell'Università La Sapienza il Riformista 30.1.08