Finiti i farmacisti. L'Italia resta terra di preti e carabinieri


Dio è tornato ad essere il vero protagonista della politica italiana? Mi pongo la domanda con il
dovuto rispetto per Nostro Signore, nelle giornate "terremotate" proprio dalla questione religiosa. E
annoto quella che di primo acchito sembra proprio una contraddizione flagrante: in un Paese ormai
secolarizzato, quasi scristianizzato, con i conventi vuoti, le Chiese mezzo deserte, la crisi
galoppante delle vocazioni sacerdotali, nonché un'indifferenza massiccia, se non di massa, nei
confronti dell'ultraterreno, tutto sembra ruotare attorno al grado di fede o non fede (cattolica), di
ubbidienza o di non ubbidienza, di moralità o non moralità dei politici.
E qualcosa (molto) richiama
l'era lontana del conflitto che per sessant'anni oppose lo Stato italiano alla Chiesa (a proposito
dell'anniversario dell'unità nazionale) - un po' come fossimo ancora ai tempi della legge sulle
guarentigie e del non expedit. Non mi riferisco soltanto alla vita notoriamente "peccaminosa" di
Silvio Berlusconi e ai suoi patetici tentativi di riguadagnare la pienezza della perdonanza, ma a un
fenomeno più generale.

Riassumiamo. Nel centrodestra "bouleversato" dalle vicende private del Cavaliere, il presidente
della Camera si dichiara "non credente", smarcandosi contemporaneamente da se stesso, dai suoi e
dal motto "Dio, Patria, Famiglia". Su posizioni convergenti (ma anche in parte sostanziali opposte),
il leader della Lega attacca furiosamente vescovi e un più generico Vaticano - poi precisa di avere
collocato un crocifisso in posizione strategica, che usa toccare ogni giorno «a mo' di portafortuna».
Intanto, al Meeting ciellino di Rimini, l'ex leader laburista infiamma la platea narrando della sua
conversione al cattolicesimo - e lo stesso fa il futuro candidato conservatore alla Casa Bianca,
l'ultimo rampollo della dinastia Bush, quello che dice che Barack Obama «minaccia la libertà degli
americani». Ma, se proviamo a dare uno sguardo dalle parti dell'opposizione, si scopre che mutatis
mutandis
la dialettica è sempre quella - la competizione tra Franceschini e Bersani non è forse
anche tra un miscredente e un cattolico, quest'ultimo sostenuto da quasi tutti i cattolici del Pd? E il
contenzioso più forte non riguarda proprio i problemi così detti etici e di fede, dai teodem ai
"mariniani"? Insomma, in una situazione confusa e intricata come di rado è accaduto, con un
premier che vede appannarsi la sua immagine ad ogni giorno che passa e un'opposizione che ha
trovato finalmente la sua identità nel ruolo (inedito?) dello spettatore, la costante è sempre quella: il
rapporto tra religione e politica. Il peso della questione cattolica.
In un Paese dove la fede e la
pratica cattolica riguardano una minoranza sì e no del 25 per cento. Perché?

Lasciamo stare l'ovvio, vale a dire che siamo comunque in Italia, e l'Italia, si sa, era e resta un luogo
privilegiato della cristianità. Storia e tradizione c'entrano, forse, ma in termini nuovi e, a mio parere,
modernissimi: nell'Italia del XXI secolo, il cattolicesimo ha perduto le sue caratteristiche religioso-prescrittive,
ed è diventato una "cultura", nel senso sociologico e anche un po' antropologico del
termine. Una cultura intrisa di superstizioni (il culto di padre Pio) e di simboli usati
superstiziosamente (Bossi - foto - che usa il crocifisso come talismano, i calciatori che si fanno uno
sbrigativo ma preciso segno della croce prima di ogni partita importante, i battesimi e le prime
comunioni come occasioni di festa e incontri parentali) e perciò a suo modo "rassicurante".
Anzi,
forse proprio una cultura "della sicurezza" - della certezza di avere radici, una qualche identità, un
luogo certo di nascita, per fronteggiare le complicazioni del mondo globale. la sensazione di
spaesamento che esso induce, la paura dell'invasione dello straniero.
La fede è un'altra cosa, rispetto
a questa propensione, chiamiamola così, sentimentale, diffusa quasi certamente nella maggioranza
del popolo italiano. Ma è forse questo che spiega, prima di tutto, la persistenza e la forza di questo
cattolicesimo secolarizzato, quasi miscredente, tanto più radicato quanto superficiale. E spiega
anche perché i leghisti possono dichiararsi al settanta per cento cattolici (addirittura i "nuovi
crociati", come ha detto il ministro Zaia) ma anche al cento per cento antipapalini, anticlericali,
antivaticani: il loro cattolicesimo è parte integrante non della fede in Cristo o nel pontefice di Roma,
ma della terra, del territorio densamente abitato dalle parrocchie
(a proposito, quale altro soggetto
gode a tutt'oggi di una capillarità così intensa? Mica per caso il leggendario Pietro Secchia, negli
anni Cinquanta, voleva «una sezione in ogni campanile»), delle abitudini pagane. E ci fa capire,
forse, il senso effettivo del permanente inseguimento dell'"elettorato cattolico" che praticano tutti i
partiti e tutti gli schieramenti: è il consenso di "pancia", non di testa, quello che cercano. Nell'Italia
forse eterna dei preti e dei carabinieri (ora che i farmacisti, come maitre-à-penser di villaggio si
sono davvero estinti).

Rina Gagliardi      il Riformista  30 agosto 2009