Fine dei giochi
Venerdì scorso, giornata inaugurale delle Olimpiadi, sui giornali titoli e foto
in evidenza da prima pagina erano in buona parte dedicati alla fantasmagorica
edizione numero 29 dei Giochi Moderni. Sabato quello spazio già si divideva tra
la cerimonia inaugurale di Pechino e la guerra russo-georgiana in Ossezia.
Ieri, fatti salvi i giornali sportivi che ne sono il logico indotto di
marketing, ovviamente la prima giornata olimpica cedeva a immagini strazianti
del conflitto e segnatamente dei civili uccisi o soccorsi. Sempre ieri l’Italia
ha vinto il suo primo oro cinese nella spada individuale con Matteo Tagliariol,
un fuoriclasse di Treviso di 25 anni.
Gioia dell’olimpionico, della famiglia, dei dirigenti sportivi italiani
presenti, i soliti Petrucci e Carraro, del team azzurro, degli sportivi
italiani, degli italiani innamorati del tricolore che non fanno gestacci
all’Inno di Mameli, etcc. Mondi separati dunque? Che si deve fare?
Chiedo lumi a Brecht, a una sua poesia in tempo di guerra intitolata ”A quelli
nati dopo di noi”:”…Che tempi sono questi in cui/ un discorso sugli alberi è
quasi un reato/ perché comprende il tacere su così tanti crimini!…”.
Una volta c’era la cosiddetta “tregua olimpica” di ellenica memoria, per cui si
sospendevano le guerre per le gare. Adesso i tycoon del Cio, a partire dal suo
presidente Rogge, da Pechino esplicitamente affermano “non è affar nostro, ci
pensi l’Onu” e implicitamente ratificano che la tregua olimpica è una panzana
retorica e quel che conta è il denaro, negli stadi, negli studi tv come nel
massacro in Ossezia dove in ballo c’è molto di più il petrolio e il suo mercato
occidentale che non “diversità di vedute” sull’identità nazionale osseta.
Per carità, già nel 1936 la torcia olimpica ardeva per iniziativa di Hitler e
dei suoi sodali, e sulla prima torcia berlinese simbolo di fratellanza tra i
popoli c’era il marchio Krupp poi tristemente noto nella fabbricazione delle
armi belliche. Ma stavolta, sul pianeta evoluto di cui ci vantiamo di far
parte, dopo una marea di polemiche più o meno sincere (meno, più ipocrite) sui
diritti umani e civili nebulizzati dalla Repubblica di Cina addirittura si è
passato ad uno start contemporaneo delle gare e della guerra. Non ricordo
personalmente una simile simultaneità. Evidentemente ci si evolve. Dai tempi di
Hitler e della sua torcia ne abbiamo fatta di strada sulla via della modernità…
Intanto in una con le bombe a casa loro sfilavano a Pechino gli atleti georgiani
che si erano detti pronti a tornare in patria per cambiarsi di divisa. Intanto
il presidente georgiano se ne usciva con l’assurdità del monito “rimanete ma
vincete”. Serve altro per domandarci se siamo alla fine delle Olimpiadi?Aiuta a
porsi una domanda simile il fatto che nel frattempo dopo gli attentati di
Kashagar di lunedì, ieri ci sono stati altri otto morti nella regione del
Xinjiang ? Sempre di Cina, dell’immensa Cina si tratta. Della Cina olimpica,
dico. Di questa Cina sotto gli occhi tecnologici del pianeta.
Ci stanno rubando -se non ci hanno già rubato- le Olimpiadi, questo è il punto.
Ce le mostrano a condizione che ci dimentichiamo di tutto il resto (cfr. Brecht),
con il ricatto psicologico pseudorealista e in realtà supercinico che tanto il
mondo è questo, e quindi “perché privarci di un fenomenale spettacolo?”. Sarebbe
una rinuncia in perdita. Come se la fine delle Olimpiadi, ovvero il loro
snaturamento, la loro mercificazione, la simonia in terra di Olimpia
dipendessero da noi e non da loro, che hanno usato i Giochi per tutt’altro, con
il “collaborazionismo” di tutto il mondo sportivo.
Facciamo un esempio ancora più chiaro. Si dice che a Pechino ci sia tantissimo
smog, nel senso letterale e non metaforico di un inquinamento mostruoso che
rende difficile respirare e camminare, figuriamoci gareggiare. Non viene
misurato credibilmente. Voglio dire che se la percentuale di inquinamento fosse
troppo alta, manifestamente troppo alta, le autorità locali scientifiche o
politiche (coincidono) fornirebbero certamente numeri diversi. Più bassi.
Tollerabili. Non lo fanno solo i cinesi, il giochetto delle centraline di
monitoraggio usate a proposito è cosa nota anche da noi, Europa, Italia ecc.
Ebbene, la domanda è: quanto smog possono sopportare gli atleti?C’è un limite? A
che punto si dovrebbe arrivare per dire basta? Trasferite questo interrogativo
dando allo smog politico tutto l’ampio significato che deve assumere. Quanto
smog politico, in termini di diritti umani e civili nella Cina ospitante, dei
morti periferici relativi, della guerra contemporanea in Georgia e forse non
solo in Georgia, nei prossimi giorni, quanto smog politico può sopportare
un’Olimpiade e il cosiddetto spirito olimpico? Non siamo già oltre il
tollerabile mentre si manomettono nemmeno troppo metaforicamente le centraline
di monitoraggio? Forse le fotografie dall’Ossezia vicino alla faccia giustamente
sorridente di Tagliariol possono contribuire a una risposta.
Oliviero Beha l'Unità 11 agosto