FARE TEOLOGIA A PARTIRE DALLE VITTIME

La Congregazione della Fede del Vaticano ha emesso una Notificazione sui due libri del teologo ispano-salvadoregno Jon Sobrino (...). Mi piacerebbe fare una riflessione serena su uno di questi libri, La fe en Jesucristo, pubblicato nel 1998, che considero una delle più grandi opere di cristologia del XX secolo (...).
L'opera di Jon Sobrino si situa nell'ambito teologico e più in concreto nell'ottica della TdL ( Teologia della Liberazione). La sua prospettiva è duplice: la realtà della fede e la realtà delle vittime, le due strettamente relazionate. Sobrino non riduce la fede a un atteggiamento religioso intimista e recluso nel tempio, ma la estende alla totalità della persona e alla totalità della realtà. La fede non si limita a rispondere alla domanda se Gesù sia divino o meno, se sia umano o meno: esige una presa di posizione a partire da lui rispetto alla realtà nelle sue diverse dimensioni. In altre parole, la fede in Gesù Cristo è più che la fede in lui; è una fede totalizzante, che richiede ai cristiani/e di farsi carico della realtà in chiave di utopia e di trasformarla nell'orizzonte dei valori del regno di Dio. Presenta, pertanto, una componente etica oltre che religiosa, inseparabili l'una dall'altra.
Ciò vuol dire che l'immaginario cristiano è capace di porre interrogativi significativi e di offrire risposte che hanno a che vedere con l'umano e, in questa misura, può aiutare a cercare alternative umanizzanti per il nostro mondo tanto disumanizzato (...).  Speciale rilevanza ha il luogo da cui Sobrino conduce la sua riflessione su Gesù di Nazareth: le vittime. Come già aveva mostrato Habermas, non c'è conoscenza senza interesse. Neppure conoscenza teologica. Questo lo sa molto bene il teologo ispano-salvadoregno, per il quale la teologia non è un sapere socialmente neutro, né storicamente immemore, né politicamente equidistante, né eticamente indifferente, ma risponde a un perché e a un per chi, si situa sempre in un determinato luogo e risponde ad un interesse.

 L'interesse della Teologia della Liberazione è decisamente emancipatorio: la liberazione dei poveri o, per esprimerlo in categorie benjaminiane, la riabilitazione delle vittime.  Il nostro mondo, afferma Sobrino, è un mondo di vittime, di persone escluse, che costituiscono una nuova edizione, ampliata e sofisticata, di Auschwitz. Se Auschwitz è stata, 60 anni fa, la vergogna dell'umanità, oggi lo è l'esclusione di miliardi di esseri umani, la morte di milioni di persone indifese che non hanno alcun tribunale a cui ricorrere per difendere la propria innocenza e per denunciare i colpevoli. Gli esclusi costituiscono il grande fatto del nostro tempo. Tuttavia, su di essi si stende un velo di silenzio, di più, di insabbiamento, finalizzato a negare la loro esistenza, nel momento in cui si generalizza una cultura dell'indifferenza.  Sobrino riscatta le vittime dall'oblio e dall'indifferenza di cui sono oggetto e le pone al centro della riflessione. Esse non offrono, è vero, una soluzione meccanica alla comprensione dei testi del Nuovo Testamento e delle dichiarazioni dottrinali successive su Gesù di Nazareth, ma pongono, sì, domande sul loro significato, smascherano le intenzioni a volte regressive dei loro autori e suscitano sospetti sui loro interpreti ufficiali, che tendono a porre i testi al servizio dell'istituzione ecclesiastica, più che al servizio dei diseredati della terra.

La prospettiva delle vittime aiuta a conoscere Gesù in chiave di impegno con la sua causa, che è "il regno di Dio per i poveri", e a leggere i documenti "rivelati" in chiave liberatrice. Apporta luce ed utopia, accoglienza e perdono, e al tempo stesso la speranza per il presente delle vittime e non solo per il futuro.  Questa è l'originale e impegnata prospettiva che guida la riflessione di Sobrino nei suoi tre nuclei fondamentali. Il primo è la resurrezione di Cristo, il cui centro è il Dio di Gesù che rende giustizia alle vittime ponendosi dalla loro parte. Il secondo si riferisce ai titoli attribuiti dal Nuovo Testamento a Gesù di Nazareth: mediatore, messia, signore, figlio di Dio, figlio dell'Uomo, Buona Novella, ecc., riletti a partire dall'America Latina alla luce della speranza degli impoveriti. Il terzo è quello dei dogmi cristologici nella loro dialettica umanità-divinità che Sobrino afferma nella loro totalità con rigore terminologico, coerenza dottrinale e credibilità storica. Non c'è ridimensionamento o svuotamento della divinità a favore dell'umanità, come neppure sottovalutazione di questa a favore di una divinità svincolata dalla storia. La prospettiva delle vittime aiuta a scoprire nuove dimensioni umanizzanti del Dio di Gesù, apporta una concezione globale della salvezza e contribuisce a ridelineare l'universalismo a partire dagli esclusi, assenti, a volte, nella teologia dogmatica cattolica.
L'opera di Sobrino non cade nel meccanismo espiatorio, che spesso ha caratterizzato la teologia cristiana e le pratiche ascetiche. Le vittime non sono la condizione necessaria per la riconciliazione; costituiscono, piuttosto, un ostacolo. La riconciliazione non si realizza ricorrendo al sacrificio delle vittime, ma attraverso la pratica della giustizia e della misericordia, in piena sintonia con il messaggio dei profeti di Israele e di Gesù di Nazareth: "Misericordia, non sacrifici". Questa posizione risponde alla concezione del filosofo della Scuola di Francoforte Max Horkheimer sulla teologia come "la speranza che l'ingiustizia che caratterizza il mondo non possa rimanere così e non possa venire considerata come l'ultima parola", e come espressione di un anelito: "che l'assassino non possa trionfare sulla vittima innocente". Il libro di Jon Sobrino merita una lettura a partire dalla solidarietà con le vittime e non da un'ortodossia rigida e senza misericordia, come quella di cui ha dato prova il Vaticano.

 

Juan José Tamayo , teologo della Liberazione            Adista Documenti N°28 2007