FAME E AFFARI
La situazione è drammatica
La situazione è drammatica. Ogni cinque secondi muore un bambino di meno di 10 anni per fame, e la situazione si sta aggravando. Circa 850 milioni di esseri umani non hanno nulla da mangiare. Il Pam [Programma alimentare mondiale] delle Nazioni unite stima che, a partire dalla crisi attuale, ci saranno altre 100 milioni di persone ridotte alla fame. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’agricoltura e l’alimentazione [la Fao], è esplosa una crisi alimentare in 37 paesi. Nel 2008 le nazioni più povere pagheranno il 65 per cento in più per le loro importazioni di cereali; in alcune nazioni africane l’incremento sarà del 74 per cento. Jean Ziegler, relatore speciale dell’Onu per il Diritto al cibo, sostiene: «Questo è un assassinio di massa silenzioso».
La scalata inflazionaria
Ad aggravare il quadro della situazione c’è da rilevare una scalata inflazionaria che tocca molti prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento. In Messico il litro di olio è salito da 6,73 pesos nel gennaio del 2006 a 36,50 nell’aprile del 2008, mentre il pane in cassetta è passato da 13,21 pesos nel gennaio del 2006 a 24 nell’aprile di quest’anno. In quasi tutto il mondo sono aumentati i latticini, le carni, le uova, i vegetali e la frutta. Amara ironia, nel corso del 2007 la produzione mondiale di granaglie è aumentata del 4 per cento sul 2006. La raccolta è stata di 2 miliardi e 300 milioni di tonnellate, un volume tre volte maggiore di quello del 1961. Eppure, in questo stesso periodo la popolazione umana è raddoppiata. Il problema della fame non è quindi la scarsezza di cibo ma il fatto che milioni di esseri umani non possono comprarlo. Al contrario di quel che dicono le leggi del mercato, secondo cui se la produzione aumenta i prezzi diminuiscono, il costo degli alimenti è salito.
Il grande affare
Parte del problema risiede nella crescente concentrazione monopolistica dell’industria agro-alimentare mondiale. La fame di molti è l’abbondanza per pochi. In momenti di avversità come la crisi attuale, un piccolo numero di imprese hanno visto crescere i suoi profitti in modo esorbitante. E’ il caso delle compagnie che fabbricano fertilizzanti. Nel 2007 Potato Corp ha incrementato i suoi guadagni del 72 per cento in confronto al 2006. Yara ha avuto un aumento dell’utile del 44 per cento. I profitti di Sinochem sono cresciuti del 95 per cento e quelli di Mosaic del 141. Vale anche per i grandi commercializzatori di grani. Nei primi tre mesi del 2008 Cargill ha ottenuto guadagni dell’86 per cento maggiori che durante lo stesso periodo dell’anno precedente.
Nel 2007 Adm ha avuto profitti superiori del 67 per cento in più sul 2006, Conagra del 30 per cento, Bunge del 49 e Noble Group del 92. La stessa fortuna conoscono le multinazionali trasformatrici di alimenti come Nestlé e Unilever, e le imprese che si dedicano alla produzione di sementi e di agro-chimica, come Dupont, Monsanto e Sygenta.
Perché?
Perché allora, se il volume del raccolto di granaglie nel 2007 ha raggiunto un record mondiale, i prezzi degli alimenti aumentano a questa maniera? Sostanzialmente, per il combinarsi di cinque fattori, nel quadro della crisi generale di un modello di produzione agricolo e dell’allevamento. Questi fattori sono:
1. L’utilizzazione di grani basici per produrre agrocombustibili;
2. L’aumento del prezzo degli investimenti;
3. Gli effetti del riscaldamento globale sull’agricoltura;
4. I cambiamenti nel modello del consumo alimentare;
5. La speculazione in borsa.
Tutto questo fa parte della crisi del modello agricolo industriale su grande scala, che è altamente dipendente dal petrolio, basato sulla logica dei vantaggi comparativi e del libero commercio: il modello oggi dominante.
In parallelo con l’aumento del prezzo del petrolio, nel mondo si è intensificata la produzione di agro combustibili…
La crescita della domanda mondiale di agrocombustibili ha ridotto la produzione di granaglie, riconvertito le coltivazioni di ampie superfici agricole e fatto esplodere i prezzi. La popolazione mondiale consuma direttamente meno della metà delle granaglie che si raccolgono. Il resto serve a nutrire il bestiame e i veicoli a motore.
Il Petrolio
L’incremento del prezzo del petrolio ha fatto salire i costi della produzione agricola. Il modello prevalente è drogato di petrolio. Non si può seminare senza combustibili fossili. I fertilizzanti e parte della chimica agricola utilizzati nei raccolti sono fatti con il petrolio. Le macchine e i veicoli per seminare, raccogliere, lavorare e trasportare hanno bisogno di combustibili e di oli derivati dal petrolio. Parte dell’energia elettrica richiesta per estrarre l’acqua e irrigare i seminati si produce con i derivati del petrolio. I teli di plastica che coprono le serre e le pompe per irrigare i campi sono fabbricati con materie prime provenienti dal petrolio. I materiali per inscatolare e trasportare fino ai mercati richiedono derivati del petrolio. E tutti questi prodotti costano di più, adesso…; anche il 70% in più nel confronto del 2003!
Il mercato agricolo si è finanziarizzato. Il cibo fa parte del casinò della speculazione finanziaria. Messi di fronte alla crisi dei mutui, alla debolezza del dollaro e alla recessione negli Stati uniti, i fondi di investimento si sono gettati sul lucroso affare della fame. Il cibo si è trasformato - molto più di quanto già non fosse - in un bene speculativo. Nel 2007 questi fondi hanno investito 175 miliardi di dollari nel mercato dei “futures” (contratti che obbligano a comprare o vendere una merce a un prezzo o in una data predeterminati).
Il cibo è uno strumento di pressione imperiale. John Block, ministro dell’agricoltura tra il 1981 e il 1985, ha affermato: «Lo sforzo di alcuni paesi in via di sviluppo di essere autosufficienti nella produzione alimentare deve diventare un ricordo di epoche passate. Questi paesi potrebbero risparmiare denaro importando alimenti dagli Stati uniti»….
da “Carta” n. 20 del 30 Maggio 2008