Fame, un morto ogni tre secondi

Oltre un miliardo di persone - un sesto dell’umanità, 100 milioni in più dell’anno scorso - soffre la
fame.
Ogni 3 secondi un uomo, una donna o un bambino muoiono di fame. I drammatici dati resi
noti ieri dalla Fao confermano una tendenza in atto da anni: ma a causa della crisi economica, della
diminuzione degli aiuti allo sviluppo e delle speculazioni sui prezzi del grano, superano le stime. E
a meno di interventi «sostanziali e duraturi», che non si intravedono, confermano quanto fosse
irrealistico l’obiettivo di «dimezzare entro il 2015 il numero degli affamati nel mondo».
Lanciato nel 1996 a Roma, il «progetto 2015» è stato riproposto periodicamente nei vertici
dell’«Agenzia dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura». Accompagnato da rituali rimproveri ai
Paesi industrializzati e alle istituzioni finanziarie internazionali («Le promesse non sono state
mantenute, gli atti contraddicono le parole», Jacques Diouf, Segretario generale Fao), e da
preoccupati moniti («Fallire nel raggiungimento di questa meta getterebbe tutti noi nella vergogna»,
Kofi Annan, Segretario generale Onu) facilmente rintracciabili negli archivi della Fao, che ha sede a
Roma. In novembre la capitale ospiterà un nuovo Summit mondiale sull’alimentazione: ma come fa
notare Actionaid - una delle principali organizzazioni internazionali che si occupano di aiuti allo
sviluppo - «nella lotta contro la fame manca una forte volontà politica», e «senza una decisa
inversione di rotta a sostegno del diritto al cibo, il numero degli affamati continuerà nella sua
crescita esponenziale».
Conferma Diouf: «Il problema della fame nel mondo è un problema
esclusivamente politico, i leader mondiali dovrebbero metterlo in cima all’agenda internazionale».

I dati resi noti ieri disegnano un’allarmante geografia della fame. L’insufficienza alimentare ha
punte drammatiche nei Paesi poveri ma non risparmia quelli sviluppati, dove le persone denutrite
sono 15 milioni, con un aumento del 15,4% rispetto all’anno scorso, il più significativo registrato
nel mondo. A pagare la crisi alimentare sono però soprattutto l’Africa sub-sahariana (265 milioni di
persone e la maggiore percentuale, 32% dell’intera popolazione) e l’Asia: la regione più popolosa
del pianeta ospita il maggior numero di affamati, 642 milioni. Nell’area Medio oriente-Nord Africa
le persone sottonutrite sono 42 milioni, con un aumento del 13,5%. Anche l’America Latina e i
Caraibi, l’unica regione che negli ultimi anni aveva mostrato segni di miglioramento, registrano un
forte incremento della denutrizione: +12,8%, per un totale di 53 milioni di persone.
L’aumento delle persone affamate - l’11% rispetto al 2008 - è dovuto secondo Diouf soprattutto a
una «combinazione letale»: da una parte la crisi economica globale che ha fatto aumentare la
disoccupazione e diminuire i redditi, compromettendo fra l’altro le rimesse degli emigranti;
dall’altra «la speculazione sulla fame»:
mentre i prezzi del grano si sono dimezzati in un anno (da
0,37 a 0,18 dollari al chilo), il prezzo del pane ha continuato ad aumentare sia nei Paesi ricchi sia in
quelli poveri. Del 24% rispetto al 2006, e del 33% rispetto al 2005. Ma una grande responsabilità
ricade anche sul mondo ricco, che ha sistematicamente disatteso gli impegni presi negli ultimi 25
anni. Per limitarsi all’Italia, l’ultima finanziaria ha tagliato del 50% le risorse destinate alla
cooperazione. Per non parlare delle sovvenzioni all’agricoltura: secondo Actionaid, basterebbe
meno di un decimo di quanto stanziato ogni anno (365 miliardi di euro) per i sussidi agricoli ai 30
Paesi Ocse - i più industrializzati del mondo - per «rispondere alla sfida globale dell’accesso al
cibo». Senza dimenticare gli sprechi: soltanto in Italia, ogni anno finiscono nelle discariche 240
tonnellate di prodotti alimentari ancora commestibili,
valore un miliardo di euro: basterebbero a
garantire 3 pasti al giorno a 600 mila persone.

Emanuele Novazio     La Stampa 20 giugno 2009