FAME, GLI OBIETTIVI MANCATI
La Fao ammette la sconfitta ma ripercorre le antiche ricette. Nel rapporto 2006 non vi è alcuna traccia della necessità di una ristrutturazione profonda nell'uso delle risorse della terra
In queste ore si sta consumando un evento che molti esperti si attendevano da
parecchi anni e che oggi finalmente è apparso in tutta la sua gravità. La FAO ha
deciso di far emergere ufficialmente la distanza che separa gli obiettivi che
circolano da dieci anni su tutti i documenti internazionali da una realtà ormai
innegabile, il numero delle persone sottonutrite, cioè che sono esposte al
rischio di morire di fame, non solo non è diminuito come si sperava ma anzi è
aumentato in valori assoluti. Quindi la sofferenza umana dovuta alla fame
ineluttabile e le morti, dovute alla mancanza assoluta di cibo e alle malattie
legate alla sottonutrizione protratta nel tempo, sono aumentate negli anni più
recenti.
La FAO ci tiene a sottolineare, nel suo Rapporto 2006 appena messo in circolazione, che gli Obiettivi per il Millennio che riguardano il settore di sua competenza, cioè l'alimentazione, l'agricoltura e la pesca, (ridurre alla metà "la proporzione" delle persone che soffrono la fame sul totale della popolazione mondiale ) sono in realtà meno difficili da raggiungere da quelli che la stessa Organizzazione si era data nel 1996, cioè la riduzione della metà del "numero" di persone che tentano di sopravvivere in "zona fame". Però tenendo conto del suo obiettivo, deve poi riconoscere che per conseguire lo scopo del Millennio entro il 2015, cioè entro i prossimi nove anni, si devono far uscire dall'area della fame almeno 31 milioni di persone ogni anno, cifra ben lontana da quella registrata negli ultimi anni del ‘900 (dell'ordine del milione e mezzo in media ogni anno).
Nelle analisi statistiche che costituiscono la parte centrale del documento è
evidente che il risultato globale è costituito da fenomeni opposti a seconda dei
paesi, ad esempio la Cina ha ridotto per diverse diecine di milioni il numero
degli abitanti in condizioni di sottonutrizione, mentre sono numerosi i paesi
che hanno visto aumentare la parte della loro popolazione esposti ai rischi
della fame. Questo andamento a forbice viene spiegato in termini molto
tradizionali, ridotto aumento della popolazione e politiche centrate sulla
popolazione rurale in Cina, da un lato, settore agricolo trascurato per scelte
alternative come il nucleare nella Corea del Nord, conflitti interni e invasioni
dall'esterno in paesi come la Somalia, il Congo, il Sudan in Africa.
In sostanza, a partire dai primi anni '90, i miglioramenti nella produzione di
alimenti che pure si erano verificati negli anni precedenti sono continuati in
pochi paesi, mentre in molti altri eventi politici e militari hanno danneggiato
in modo grave e diffuso i tentativi di sottrarre alla fame le popolazioni
immerse nella povertà estrema. Inoltre, pur riconoscendo che nel periodo
compreso tra il 1995-97 e il 2001-2003 almeno 23 milioni di persone si sono
aggiunte all'umanità sottonutrita, ben poco viene detto su come evitare questi
drammatici peggioramenti della situazione alimentare.
Purtroppo, almeno a giudicare dal rapporto, la FAO si limita, basandosi sui risultati del passato meno recente, a riaffermare la "sua" capacità di conseguire gli Obiettivi del Millennio e non introduce alcuna considerazione sulla necessità di modificare le strategie di intervento. Perfino la opportunità di porre la riconquista dell'autosufficienza alimentare da parte dei numerosi paesi che l'hanno perduta negli ultimi due decenni viene richiamata in termini di priorità assoluta, mentre non si rintracciano analisi accurate di fenomeni come la perdita delle varietà originali sotto la pressione delle piante geneticamente modificate o le carenze di acqua derivanti dall'uso eccessivo e altamente inquinante di prodotti chimici nelle culture agricole.
Le tre pagine che tracciano la via verso gli Obiettivi ("aumentare gli sforzi
volti alla eradicazione della fame") sono piuttosto deludenti. Dopo aver
riconosciuto che nel complesso il numero delle persone vittime della fame è
rimasto praticamente lo stesso a partire dal 1990-92, le lezioni apprese nel
recente passato sono espresse in termini piuttosto banali: "La riduzione della
fame è necessaria per accelerare lo sviluppo e la riduzione della povertà", " La
crescita dell'agricoltura costituisce un fattore critico per la riduzione della
fame", o ancora: "Il commercio può contribuire alla riduzione della fame e ad
alleviare la povertà" e "Gli investimenti pubblici sono essenziali per la
crescita dell'agricoltura". I successivi suggerimenti per una strategia del
settore appaiono ancora più deludenti.
Forse la frase che avrebbe meritato più corposi approfondimenti è contenuta
nella introduzione dal rappresentante della Banca Mondiale, Lynn Brown: "I dati
di questo rapporto sono ancora più deprimenti se se si tiene conto del fatto che
pochi mesi fa abbiamo appreso che oggi nel mondo vi sono più persone obese di
quante non siano quelle che lottano contro la fame". Questa citazione evidenzia
gli squilibri profondi che caratterizzano i consumi dei popoli ricchi nei
confronti del mondo della povertà e della fame, e soprattutto la necessità di
una ristrutturazione profonda nell'uso delle risorse della terra. Ma di tutto
questo nel rapporto non vi è ancora traccia.
Alberto Castagnola, Aprile ondine 31/10/2006