Falsi miti e luoghi comuni
intervista ad Emilio Gentile, a cura di Simonetta Fiori
«È il nostro paese, la nostra cultura nazionale, a non aver mai fatto i
conti fino in fondo con il
totalitarismo fascista. Le recenti sortite del sindaco di Roma e del
ministro della Difesa avvengono
in un contesto politico e culturale che le legittima, in un terreno favorevole
concimato in questi anni
da formulazioni e stereotipi diffusi purtroppo anche in parte della storiografia
e nel discorso
pubblico».
Quella di Emilio Gentile, storico del fascismo tra i più noti sul piano
internazionale, è un'antica
battaglia culturale. I suoi saggi - tradotti in molti paesi - insistono su
questo fenomeno tutto italiano
che è la "defascistizzazione del fascismo", lo svuotamento operato sul regime
dei suoi tratti
liberticidi originari, la negazione del carattere totalitario.
«In un mio saggio recente, a proposito di questa inclinazione nazionale all'autoassoluzione,
cito la
provocazione d'un anonimo secondo cui il fascismo non è mai esistito. Da battuta
è diventata
profezia».
In Germania è impensabile che il ministro della Difesa elogi il patriottismo
delle SS o il suo
collega francese pronunci accenti commossi per Vichy. Perché succede da noi?
«In Italia è stato cancellato tutto quello che il fascismo ha rappresentato
come distruzione della
democrazia e umiliazione della collettività. La defascistizzazione del fascismo
nasce da un totale
travisamento di quello che il regime è stato. A quest'offuscamento non è
estranea la cultura
antifascista. Per molti anni è prevalsa a sinistra l'immagine d'un regime
ventennale sciolto come un
castello di carte, una "nullità storica" con cui in sede storiografica s'è
cominciato a fare i conti
troppo tardi. A destra gli umori hanno oscillato tra la caricatura e
l'indulgenza, fino alla tesi del
fascismo modernizzatore: un'interpretazione che dura tuttora».
Per i suoi eredi politici il fascismo è una dittatura nata per caso.
«I neofascisti hanno sempre negato il carattere intenzionale della dittatura,
escludendone il trattototalitario. È la tesi circolata nel Movimento Sociale
fino agli anni Ottanta, uno schema interpretativo che si riflette sulle prime
dichiarazioni di Gianni Alemanno a Gerusalemme: da una
parte il fascismo, fenomeno complesso; dall'altra le leggi razziali, vergogna
indotta da Hitler».
Poi il sindaco di Roma ha affrettato una correzione, aggiungendo in modo
contorto che non
poteva disconoscere l´esito liberticida del fascismo.
«Sì, ha parlato di fenomeno totalitario, categoria negata ancora da molti
storici di destra, e non solo.
Ma non capisco come possano stare insieme il riconoscimento della natura
totalitaria del fascismo
con la sua assoluzione fino alle leggi razziali. Gran confusione alberga nella
destra postafscista
italiana, con un equivoco di fondo».
Quale?
«Partiamo da una domanda essenziale: la dittatura è un fatto accidentale o
appartiene all'essenza del
fascismo e alla volontà di Mussolini? Le leggi razziali sono estranee a ciò che
il fascismo era stato
fino a quel momento? Se noi optiamo per una lettura accidentale, le leggi
antisemite furono un
incidente di percorso dovuto a influenze esterne. Con tutto quello che ne
consegue: la buona fede, il
patriottismo, i valori di chi servì il fascismo».
È questa la lettura espressa da autorevoli dirigenti di Alleanza Nazionale
oltre che importanti
cariche istituzionali.
«Ma è un metodo inaccettabile! Con questi stessi criteri si possono riscattare
lo stalinismo e il
nazismo. Fino al 1941, quando il Führer decise la soluzione finale, il nazismo
fece tante cose buone:
nessuno potrebbe negare storicamente che fu per patriottismo e non per odio agli
ebrei che milioni
di tedeschi videro in Hitler il salvatore. Sempre seguendo questo metodo,
potremmo dire che De
Gaulle e Petain avevano in contrasto solo la linea del fronte: per il resto
erano due patrioti
francesi...».
Il patriottismo diviene una categoria molto arbitraria. Il ministro La Russa
ha reso omaggio
al valore dei "patrioti di Salò".
«Quale patria? Una delle caratteristiche del fascismo fin dalle origini fu
quella di negare l´esistenza
di una patria di tutti gli italiani: esisteva soltanto la patria di coloro che
aderirono al fascismo.
Anche soggettivamente il patriottismo fascista fu liberticida. È Mussolini
che il 4 ottobre del 1922,
prima della Marcia su Roma, dichiarò che lo Stato fascista avrebbe diviso gli
italiani in tre
categorie: gli indifferenti, i simpatizzanti e i nemici. Questi ultimi,
annunciò, andavano eliminati. Se
si parte da queste premesse, non c'è più una patria degli italiani: c'è solo la
patria dei fascisti. Per i seguaci del duce, Amendola e Sturzo non sono
italiani. È questa stessa logica che nel 1938 conduce Mussolini ad affermare che
gli ebrei sono estranei alla razza italiana e per questo vanno
discriminati».
Un altro stereotipo invalso in articoli, libri, interviste su Salò è quello
della buona fede dei
ragazzi che vi aderirono.
«Per capire storicamente si deve considerare anche la buona fede. Ho scritto
anch'io sul patriottismo
nella Rsi. Ma la buona fede non può essere un criterio di valutazione storica!
Se avessero vinto
Mussolini e il Führer, che ne sarebbe stato di questi patrioti idealisti o non
fascisti? Che fine
avrebbero fatto in un nuovo ordine dominato da Hitler, ancor più totalitario,
razzista e nutrito d'odio
feroce? Anche i responsabili dei campi di concentramento nazisti come Rudolf
Höss, il comandante
di Auschwitz, professarono d'essere bravi padri di famiglia e sinceri amanti
della patria. Forse lo
pensavano anche i guardiani dei gulag».
Perché secondo lei la destra postfascista ha difficoltà a riconoscere una
realtà storica così
evidente? La condanna di An finora s'è limitata alla vergogna delle leggi
razziali: mai una
parola sui delitti precedenti, da Amendola a Matteotti, Gobetti e i fratelli
Rosselli, Gramsci
che muore per la galera. Senza contare le vittime della violenza squadrista, tra
il 1920 e il
1922, circa tremila morti. E i ventottomila anni di carcere comminati
complessivamente dal
Tribunale Speciale agli antifascisti, con una trentina di condanne a morte. E
gli eccidi
commessi in Africa, più tardi centinaia di migliaia di italiani mandati a morire
nella guerra
voluta da Mussolini. Su tutto questo un prolungato silenzio.
«Una realtà storica che non si presta a equivoci. Sono persuaso che queste
dichiarazioni
estemporanee, confuse e contraddittorie, di due importanti esponenti di Alleanza
Nazionale siano
anche il frutto di scarsa conoscenza delle vicende del fascismo, di quel che ha
detto e fatto
Mussolini contro la democrazia. Nel neofascismo è sempre prevalsa una visione
mitico-nostalgica,
che evidentemente sopravvive ancora a dispetto della conoscenza storica».
Su questa visione irrazionale s´innesta la nuova vulgata suggerita anche da
tanta parte della pubblicistica che si professa liberale. È innegabile che in
questi anni abbia operato nella stampa quotidiana, in tv e in libri di successo
un filone neorevisionistico teso a screditare
l'antifascismo e a defascistizzare il fascismo.
«Se un autorevole storico come Piero Melograni dichiara al Corriere della Sera
che il fascismo non
è esistito ma è esistito il mussolinismo, posso contestarlo sul piano
storiografico, senza però
attribuirgli intenti ideologici. Certo, togliendo al fascismo i suoi attributi
originari per i quali fu
definito totalitario, si finisce per annacquarlo, facendone un fenomeno
riducibile alla responsabilità
di un solo individuo. E senza fare i conti con la vera natura del regime - nella
complessità della sua
origine, del suo svolgimento e della sua fine - sarà difficile affrontare con
consapevolezza critica il
problema dell'eredità fascista nelle istituzioni, nella politica, nella società
e nei costumi degli ultimi
sessant'anni. Ma una cosa più di tutto m´indigna».
Che cosa, professore?
«Che il nome di Renzo De Felice venga spesso citato per giustificare la
riduzione del male del
fascismo alle leggi antisemite e ridimensionare il problema della Rsi al
patriottismo in buona fede».
Accanto al De Felice storico c´è un De Felice più incline all'uso pubblico
della storia, cui si
richiamano alcuni dei suoi eredi.
«A me interessa il grande studioso di storia. Sulle leggi razziali De Felice
scrive che la
responsabilità maggiore fu di Mussolini, della sua "incosciente megalomania" di
trasformare gli
italiani "in nome di principi e ideali che erano negazione di ogni principio e
ogni ideale". Più chiaro
di così. E ancora: "La tragica conclusione del fascismo è nelle sue stesse
premesse e nella sua
logica, nella sua sostanza antidemocratica e liberticida, nella sua mancanza di
rispetto per i valori
più elementari della personalità umana". Anche su Salò si espresse in modo
inequivocabile,
attribuendo alla Rsi l'origine della guerra civile. Non sono opinioni
assolutorie».
Professore, non le sembra segno d´un grave ritardo culturale che ora ci
troviamo a ripetere
sul fascismo considerazioni che dovremmo considerare l'abc d'una coscienza
democratica?
«Dopo le grandi passioni ideologiche d´una volta, su una spinta cinica
e irrazionale il nostro paese
ha forse rinunciato sia all´ideologia che alla conoscenza storica. Appare come
svuotato, isterilito sul
piano etico e nella coscienza civica. Sull'apologia del fascismo prevale
l'apatia, l'insensibilità ai
problemi della libertà. Gli italiani sembrano indifferenti alla storia, dunque
più esposti alle
semplificazioni. Mi chiedo cosa accadrà fra tre anni, quando ricorderemo la
nascita dello Stato
italiano. Forse riconosceremo che, soggettivamente, avevano ragione Metternich e
Francesco
Giuseppe nel voler mantenere l'Italia divisa e sottomessa? E invece Mazzini,
Cavour, Garibaldi,
Vittorio Emanuele II oggettivamente sbagliarono a renderla unita e
indipendente?».
in “la Repubblica” dell'11 settembre 2008