Il fallimento del
Concilio
Quanti lettori avrà in Italia il grosso, e affascinante, libro di memorie di
Hans Küng, le cui più di
cinquecento pagine costituiscono solo il primo dei due volumi annunciati? La
domanda non è
oziosa, né solo legata all'aspetto «quantitativo» dell'opera.
Ciò che riesce difficile è valutare quanto ancora, oggi nel mondo cattolico
italiano segnato
dall'eredità di Wojtyla e dal pontificato di Ratzinger, possano suscitare
interesse le vicende di questo
grande teologo cattolico impegnato da sempre in un progetto di riforma della
Chiesa, ispirato anche
e soprattutto dal proposito di ritrovare un legame con la Riforma per
antonomasia, quella iniziata da
Lutero che ruppe, cinque secoli fa, l'unità della cattolicità europea.
Il libro costituisce senz'altro una lettura affascinante non solo per gli
storici, ma anche e
specialmente per chi ha vissuto, almeno in parte, le vicende della vita della
Chiesa degli anni i cui si
è formato ed ha operato, fino ad oggi, l'autore. Che, nato nel 1928, fu, tra il
1962 e il 1965, uno dei
più giovani consulenti del Concilio Vaticano secondo.
Proprio in questa qualità Küng ebbe occasione di partecipare alla grande impresa
di rinnovamento
avviata da Giovanni XXIII, che mobilitò tutta la grande teologia dell'epoca:
Küng collaborò, con
personalità come Congar, De Lubac, Daniélou, Schillebeecks, restando in costante
contatto con il
suo ispiratore Karl Barth, massimo teologo protestante del secolo ventesimo; e
si trovò a lottare con
i grandi «mostri sacri» del tradizionalismo cattolico, a cominciare dal famoso
cardinale Alfredo
Ottaviani, a lungo prefetto del Santo Uffizio, il dicastero vaticano (oggi
Congregazione per la
Dottrina delle fede) preposto alla difesa dell'ortodossia e bestia nera di quasi
tutti i teologi e
pensatori cattolici meno conformisti.
Le memorie offrono non poche pagine di gustosi aneddoti sulle discussioni e le
vere e proprie
battaglie che si svolsero nei tre anni del Concilio; con alterne vicende che
segnarono ora il prevalere
della volontà dei padri conciliari, ora, più spesso, la vittoria dei «curiali»,
per lo più in minoranza
ma anche quasi sempre sostenuti dall'autorità prevalente del papa, giacché
neanche Giovanni XXIII
riuscì a battere davvero il partito dei conservatori. E' questa prevalenza di
una minoranza
tradizionalista, che Küng chiama decisamente «medievale», ciò che segna la sua
insoddisfazione
per l'esito del Concilio e il fallimento sostanziale della grande occasione di
riforma che esso poteva
rappresentare.
A distanza di anni, anche riflettendo sulla possibilità di successo del libro
(edito in tedesco nel
2002), non si può non prendere atto che tra i sintomi di fallimento, più o meno
relativo, del Concilio
si deve annoverare anche la domanda che ci facciamo. Chi ricorda ancora i nomi
dei teologi
cattolici che in quegli anni facevano notizia fin nelle prime pagine dei
giornali, e per ragioni ben
diverse da quelle per cui ci si interessa oggi delle storie di tanti parroci e
vescovi accusati del reato
di pedofilia e affini?
Erano altri tempi, certo. Sarebbe difficile, però, negare che il mare di
scandali che hanno travolto
negli ultimi anni tante diocesi di tutto il mondo non abbia nulla da fare con
l'esito del Concilio e il
suo - relativo? - fallimento. Le questioni che si agitavano all'epoca, e intorno
a cui lavorarono anche
Küng e i teologi suoi colleghi, con pochi risultati, erano quelle dell'etica
familiare (aborto e
contraccezione, per esempio), del celibato ecclesiastico, e ovviamente quella
dell'infallibilità
papale. La quale ultima non ha a che fare direttamente con gli scandali sessuali
di Boston e dintorni;
ma certo con una concezione centralistica della Chiesa che non giova allo
sviluppo di una
spiritualità, anche dei chierici, meno formalistica e dunque anche meno ipocrita
e rassegnata.
E' così uno scandalo tra gli scandali il fatto che anche le memorie di Küng
rischino di apparire oggi
come preistoria, una messe di informazioni ormai destinate solo ad arricchire o
a mettere in
discussione questa o quella pagina della storia del Concilio (persino con la
storia pubblicata dal
cattolico progressista Giuseppe Alberigo Küng ha qualche ragione di polemica).
Noi stessi,
recensori partecipi e lettori entusiasti del libro, ci domandiamo alla fine se
esso si possa
raccomandare come una lettura «religiosa». Del resto, chiameremmo davvero
«religioso» l'interesse
che ispira fin dall'inizio la ricerca teologica di Küng, quella sull'ecumenismo,
cioè sulla possibilità
di riunificate le Chiese cristiane, che domina anche il suo primo grande studio
teologico sulla
giustificazione del peccatore, in cui si segnala la profonda convergenza
esistente sul tema tra la
dottrina cattolica del Concilio di Trento e le tesi luterane di Karl Barth?
Certo, su questo e altri temi del lavoro di Küng non possiamo che dichiararci
con lui e contro
l'ortodossia curiale. Ma non sarà ancora una volta «scandaloso» il fatto che
queste tematiche
«ecclesiologiche», riguardanti la gerarchia della Chiesa e la sua struttura più
che il rapporto del
fedele con Dio e Gesù Cristo, ci appaiano sempre più, oggi, come profondamente
remote dal
problema della nostra personale religiosità?
Gianni Vattimo La Stampa - Tuttolibri – del 28 giugno
2008